BERLINO. A dieci anni dalla morte i tedeschi si chiedono ancora se Heinrich Graf von Einsiedel, pronipote del cancelliere Otto von Bismarck, debba essere considerato un traditore o un eroe. E’ un tormentone che in Germania si trascina da più di quarant’anni. Infatti risalgono al 1973, in piena guerra fredda e con il paese diviso in due parti, le sei pagine che il settimanale Die Zeit dedicò alla questione, la quale non si è ancora conclusa e ogni tanto riaffiora.

di Liliana Adamo

Come un sociopatico al cospetto d’atti violenti sia capace perfino a provare dei sentimenti, così Michael Slezak (columnist di The Guardian, fra più preparati e agguerriti sulle tematiche ambientali), è riuscito quanto basta ad avere reazioni emotive dinanzi al pericolo soverchiante dei cambiamenti climatici. Dopo cinque anni ad acquisire conoscenze scientifiche in base a un fenomeno complesso dagli esiti tuttora imprevedibili, il suo distacco professionale si è finalmente trasformato in panico.

C'è chi cerca un banco vicino alla finestra per guardare fuori e sognare di essere in un altro luogo; chi si mette in prima fila, rassegnato per il suo destino di 'primo banco' e chi, invece, ha lo spirito del buon samaritano e cerca sempre di sobbarcarsi tutti i problemi. Sono solo alcuni degli alunni tipo che il professor Ardeche (un bravo Fabrizio Bentivoglio) si trova di volta in volta di fronte.

Caratteristiche che può riscontrare ogni anni anche se i ragazzi cambiano. L'ora di ricevimento diretto da Michele Placido e andato in scena al teatro Secci di Terni, narra le gesta di un professore di lettere che insegna nell'esplosiva e multietnica banlieue di Les Izards, ai margini dell'area metropolitana di Tolosa. La scolaresca che gli è stata affidata quest'anno è ancora una volta un mix di culture che con non poca fatica l'insegnante dovrà far combaciare.

Ed è proprio durante l'ora di ricevimento con i genitori che verranno fuori tutte le difficoltà, le paure e i luoghi comuni che caratterizzano le varie culture e religioni, spinte forse un po' troppo all'eccesso. “Un incalzante mosaico di brevi colloqui con questa umanità assortita di madri e padri, che prende vita sulla scena l'intero anno scolastico della classe Sesta sezione C. Sullo sfondo, dietro una grande vetrata, un grande albero da frutto sembra assistere impassibile all'avvicendarsi dei personaggi, al dramma dell'esclusione sociale, ai piccoli incidenti scolastici di questi giovani apprendisti della vita”, afferma Stefano Massini, autore del testo.

Si ride ma allo stesso tempo si riflette, guardando scorrere sul palcoscenico i genitori dei diversi alunni, che non vengono mai mostrati, ma che sembra di conoscere e quasi di vedere nelle descrizioni fatte dall'insegnante. Un mondo quasi parallelo quello che si vive all'interno della scuola, ma che inevitabilmente influenzerà e sarà a suo volta influenzato dall'esterno, in un gioco di ruoli e di destini incrociati.


Accettare la perdita, la scomparsa della persona amata, della madre, della moglie, non è cosa facile. E lo è ancora di più mantenere intatto il suo ricordo. O, meglio, ricordare tutto di quella persona. Come se fosse ancora lì presente. La vita ferma: sguardi sul dolore del ricordo è un “dramma di pensiero in tre atti”, come lo definisce la regista, Lucia Calamaro, che ne è anche l'autrice. Un testo che affronta la morte di un familiare e lo fa scandagliando le profondità della psiche e dell'inconscio.

In questi giorni molto s’è letto sulle repressioni in Turchia, ma poco o nulla sul perché del vasto consenso che sostiene il suo presidente e la sua “rivoluzione”. Poco si è scritto sulla “ secolarizzazione kemalista” che dal 2002 Erdogan assieme al suo partito, l’ Akp, combatte, e che l’Occidente invece amò e continua ad amare, sebbene il regime che Mustafa Kemal Atatürk impose alla Turchia si ispirava al fascismo degli anni Trenta, con modalità forse peggiori.


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