di Sara Michelucci

Una voce che da sola può fare di tutto. Portare il pubblico nell’America del blues o in quella del funky. Quella del 22 gennaio è stata una serata interessante all’auditorium Gazzoli di Terni, con il concerto della cantante Karima, che ha aperto ufficialmente l’undicesima rassegna musicale dell’associazione ternana Visioninmusica. Karima, classe 1985, ha presentato in esclusiva regionale un progetto completamente dedicato a Burt Bacharach, uno degli autori di massimo rilievo nel panorama musicale mondiale degli ultimi cinquant’anni.

Il repertorio della serata, tutto incentrato sui brani del compositore, include, fra altri popolarissimi successi dell’artista americano, il pezzo Come in ogni ora, regalo che Burt Bacharach ha voluto fare a Karima e con il quale la cantante esordì nel 2009 al Festival di Sanremo, nella categoria Nuove proposte. Karima ha interpretato anche alcuni tra i più intensi brani di Bacharach, rivisitandoli in chiave moderna e del tutto personale, con una strepitosa voce R&B.

Il progetto presentato, Karima Sings Burt Bacharach, è quello portato attualmente in tournée dall’artista; a dicembre 2014 è stato anche inciso in edizione limitata per la Svizzera. Una tecnica vocale impeccabile, che riesce a raggiungere vette altissime.

La passione per la musica nasce in lei in tenera età e il suo esordio sulle scene avviene ufficialmente nel 1997, con la partecipazione alla trasmissione televisiva Bravo Bravissimo. A soli quindici anni scopre un grande amore per Burt Bacharach: appena adolescente, infatti, le viene regalato un disco di grandi successi, Dionne Warwick Sings the Bacharach & David Songbook.

Le tracce di Bacharach la sorprendono, toccano le corde della sua anima. Dieci anni dopo, successivamente alla partecipazione al programma Amici di Maria De Filippi, dove nell’edizione 2006 arriva in finale classificandosi terza, Karima va a Los Angeles, a casa dell’autore suo idolo, ad essere prodotta in alcune delle sue composizioni.

Nel 2009, proprio sul palco dell’Ariston, duetta al fianco di Bacharach, insieme a Mario Biondi, con il singolo Come in ogni ora, che la consacra definitivamente.

Nello stesso anno vengono pubblicati i singoli Amare le differenze e Come le foglie d’autunno, partecipa ad Amici – La sfida dei talenti, su Canale 5 e canta al concerto di solidarietà Amiche per l’Abruzzo. Incide Un’avventura con Nicky Nicolai e Simona Molinari e a fine anno lavora nell’ambito del doppiaggio, prestando la voce nel film Fame e interpretando delle canzoni nel classico Disney, La principessa e il ranocchio.

Nel 2010 esce il suo primo album, Karima, registrato a Los Angeles sotto la direzione di Burt Bacharach. Nello stesso anno apre un concerto per Whitney Houston e pubblica altri due singoli, Uno meno zero e Just Walk Away. Dal 2012 partecipa al circuito big nel serale del programma Amici di Maria De Filippi.

di Liliana Adamo

Tutto ha inizio da uno scarabeo: quando Carl Gustav Jung rivolge lo sguardo verso la finestra, vedendolo battere sul vetro, ripetutamente, come se reclamasse d’entrare, egli allora osserva più attentamente la sua paziente, una giovane donna chiusa nel suo alto livello culturale, in un modus operandi così raziocinante da essere resistente a ogni introspezione.

E nel momento in cui lei racconta come, in sogno, le viene donato uno scarabeo d’oro, il ticchettio ostinato di una cetonia aurata (uno scarabeo, appunto), giunge a sbloccare la situazione: “Ecco il suo scarabeo!”, esclama l’analista. Si apre dunque una breccia nella logica granitica della paziente verso un mondo più vasto di ciò, che, perentoriamente, può suggerirle l’intelletto.

E’ il momento della “sincronicità”, perché Jung, riporta l’episodio nel suo libro dedicato a questa particolare speculazione, atipica, innovatrice: “A differenza della causalità, la sincronicità si dimostra un fenomeno connesso principalmente con processi che si svolgono nell’inconscio. Alla psiche inconscia spazio e tempo sembrano relativi, ossia la conoscenza si trova in un continuum spaziotemporale in cui lo spazio non è più spazio e il tempo non è più tempo. Se quindi l’inconscio sviluppa e mantiene un certo potenziale alla coscienza, nasce la possibilità di percepire e conoscere eventi paralleli…”.

E tali “eventi paralleli”, vale a dire due situazioni complesse, contemporaneamente connesse, totalmente acasuali ma legate da un rapporto del medesimo contenuto, non possiedono, tuttavia, valenza scientifica (né ai primi del Novecento, tantomeno oggi) e vanno di diritto ad ascriversi in quelle che i più definiscono “fenomenologia paranormale”; cosa che ha sempre affascinato lo psicanalista elvetico, pur avendo egli stesso condotto la paranormalità in una dimensione conoscitiva oltre ciò che ne consegue ogni sistema logico.

Procediamo per ordine: nel 1916, poco dopo la defezione dal gruppo che sosteneva a spada tratta il metodo scientifico (cui i risultati sono oggettivi, affidabili, verificabili e condivisibili), Jung riflette a lungo sulla possibilità d’affiancare al principio di casualità, quello finalistico. Pertanto: “La casualità è solo un’origine, la psicologia non si esaurisce con metodi casuali, perché lo spirito (la psiche), vive ugualmente di finalità…”. E distingue di netto, la sincronicità dal sincronismo (dove gli eventi possono accadere nello stesso tempo, ma privi di significanti comuni).

La sincronicità si basa, invece, su una visione collegata al pensiero magico, a qualcosa di poco comprensibile scientificamente; accadimenti nella nostra vita che sembrerebbero precognitivi, legati a una sorta di “divinazione interiore”, segnali sparsi ad arte sul nostro percorso, per comunicare un nesso che ci riguarda strettamente, in colloquio profondo con la nostra psiche. Che sia affermativa o negativa è una risposta esterna oggettivamente impersonale ma simbolicamente rappresentata. La sincronicità, quella credibile, porta con sé un alone di mistero, di sopranaturale. E’ ineffabile e allora ci colpisce, mettendo a dura prova certezze e buon senso.

Il presunto rapporto tra fisica quantistica e sincronicità? Jung credeva fermamente in una simmetria tra fisica e dottrina psicanalitica, due cognizioni solo formalmente distanti tra loro. In Energetica Psichica è chiaro come il concetto di energia pura si armonizzi con quello della fisica teorica, un’intuizione formidabile per quei tempi (1928).

E avviene proprio in quegli anni l’incontro che rafforza tale tesi, con Wolfang Pauli, fisico austriaco, premio Nobel nel 1945. Pauli, suo paziente, era un dissociato psichico, forse anche per l’impegno profuso negli studi e il fallimento del suo matrimonio…ma se l’analisi è presto abbandonata, da quell’incontro nascono altri elementi utili a entrambi.

Se “Pauli non capiva niente di psicologia e Jung non capiva nulla di fisica” tutti e due avevano studiato le scienze d'Alchimia Ermetica e, dunque, la condivisione di certe idee, dalle quali scaturivano le problematiche psichiche cui soffriva Pauli; tra i due s’instaura una profonda amicizia.

La ricerca di Jung e Pauli si concentra sul “quarto escluso” identificato in fisica teorica nel modello di “triade” e (in Alchimia), per ciò che concerne la psicoanalisi, la rappresentazione, appunto, di una triade in attesa del “quarto elemento”: un escluso, che decretasse la legittimità di tutto ciò che finora, era stato annoverato, costatato e accettato. In questa fase, la sincronicità si rivela, di per sé, traccia fondamentale, anche nel modello di fisica teorica.

E dunque: tempo/spazio/casualità, mentre, il “quarto escluso” è ascritto nella “sincronicità”. In corrispondenza al caso che agisce in progressione temporale, si mettono in connessione “eventi” (“segni” del nostro percorso interiore), che intervengono nel medesimo spazio ma in momenti diversi (o in momenti strettamente correlati). S’ipotizza, quindi, l’esistenza di un principio che ammette tale connessione, in un tempo equivalente ma in spazi diversi, perché essendo casuali, non provocati da un effetto, sono così pertinenti al principio di atemporalità.

La sincronicità non fa che mettere in luce la dimensione olistica all’interno della quale viviamo. Ciò che chiamiamo materia e ciò che chiamiamo mente appartengono entrambi a un unico livello di senso, a un orizzonte d’interconnessioni cui noi siamo parte…La ricerca più avanzata della fisica apre le porte a una “smaterializzazione” sempre più netta della materia, mostrandoci come essa possa venire concepita alla stregua di un campo dinamico che veicola incessantemente informazioni. In quanto coscienze in atto, produciamo informazione, che a nostra volta riceviamo a un livello inconscio dal mondo in cui siamo immersi…”.

Uno dei principi della fisica quantistica è nell’asserto, esse est percipi (esistere è essere percepito). La coscienza e il pensiero umano vanno considerati come entità fisiche. E già questo asserto ha in sé un che di sorprendente. E, nel campo della fisica, molto più sorprendenti sono le teorie che, da Pauli in poi, si sono rivelate esatte: pensiamo alle ultimissime tecnologie, i semiconduttori che sono alla base di ogni dispositivo elettronico, oppure, ad esempio, la luce laser, i navigatori satellitari, la branca della spettroscopia, con la quale s’indaga l’Universo, i computer quantistici e tanto altro.

E’ dunque è a una nuova visione e interpretazione della realtà (non più deterministica), cui dobbiamo guardare: in un possibilismo che non produce più distinzioni nette tra cause, effetti, osservatore e osservato e ci pone una condizione, che include una certa libertà di scelta, rispetto alla precedente.

Ciò nonostante, dopo che Jung scrisse "Sincronicità come Principio di Nessi Acausali" (1952), dopo anni di conflitti etici, logici, egli finì per ritenersi inabile a una formulazione definitiva e attendibile. Da studioso inflessibile e pragmatico, Jung si sentiva intralciato dalla sua stessa comunità di psicoanalisti e da quella scientifica. Eppure, i dati empirici di vent’anni e più dedicati alla sincronicità, una fenomenologia priva d’applicazione in campo scientifico, gli fanno affermare, nella prefazione della sua opera che: “La sincronicità… può aprire una strada verso una regione ancora oscura, ma di grande importanza per quanto riguarda la nostra concezione del mondo…”.


di Vincenzo Maddaloni

BERLINO. Certamente i ricchi ne sono rimasti sconcertati. Se per essi si intende quella classe di persone che considera gli altri esseri umani dei beni di consumo, come scrisse Fitzgerald nel “Grande Gatsby” e nel suo breve racconto “Il Ragazzo Ricco”, la vittoria della sinistra tedesca in Turingia non se l'aspettavano proprio. Infatti, è la prima volta dalla caduta del Muro che Die Linke (La Sinistra), comunemente ritenuta erede del Partito comunista della Germania dell’Est (SED), ottiene un risultato di questo livello in uno dei sedici stati federati di cui è composta la Germania. Ed è anche la prima volta che un candidato socialista - Bodo Ramelow (nella foto ndr) - diventa governatore di uno stato tedesco dalla caduta del muro di Berlino.

Tuttavia, le moltitudini in Europa occidentale non vi hanno prestato una reale attenzione, anche perché questo avvenimento la grande stampa l'ha pressoché ignorato. Non lo ha notato nemmeno la gran parte della sinistra occidentale, la quale continua a rifiutarsi di riconoscere che quanto le sta accadendo nei Paesi intorno può diventare una grande occasione per l'Europa e l’umanità intera.

Eppure da qualche anno a questa parte nei paesi ex comunisti dell’Europa centro orientale, che sono stati fino a ieri i più devoti sostenitori del capitalismo, molti sono i segnali premonitori di un’inversione di tendenza. E' come se gli elettori, indignati dalla incapacità della politica di dare risposte adeguate, scandalizzati dalla corruzione che dilaga nei centri del potere, ne avessero abbastanza del ventennio di sperimentazione liberale e aspirassero al ritorno di uno stato forte, in grado di farsi carico dei loro problemi.

Beninteso, la Turingia, uno degli stati geograficamente centrali della Germania, appartenente alla ex DDR, è uno tra i più piccoli del paese. Ha una popolazione di poco più di 2 milioni di abitanti, ma comunque questa vittoria rischia di diventare epocale se si tiene conto che è accaduto nella nazione di Angela Merkel.

Infatti, dappertutto - tranne che in Germania - le riforme economiche della “terapia shock” hanno colpito particolarmente i contadini e gli operai dell’industria motivandoli a collaborare se non ad unirsi con quelli che vivono vite precarie: profughi, senzatetto, disoccupati. E' nata una nuova generazione di masse, così come nuova generazione di giovani intellettuali ha creato gruppi come la Rete degli Studenti in Ungheria, CriticAtac in Romania, Nuove Prospettive di Sinistra in Bulgaria, Critica Politica in Polonia. Nuovi partiti tendenti a sinistra come il LMP (la Politica Può Essere Diversa) e l’Iniziativa per il Socialismo Democratico in Slovenia, hanno promesso un genere di politica nuovo di zecca.

Un discorso a parte merita KSCM, il Partito comunista di Boemia e Moravia. Erede diretto del Partito comunista di Cecoslovacchia, il KSCM ha sempre goduto di un consenso non di poco conto, registrando, alle ultime elezioni regionali dell’ottobre 2012, il 23 per cento dei voti e 14 seggi su 45.

Naturalmente quanto sta accadendo nell'Europa centro orientale non fa storia a sé, ne è una conferma appunto la vittoria della Die Linke in Turingia, nell'Europa dell'Ovest. Evidentemente qualcosa di diverso si muove, e non è una moda. Infatti, non ci vuole molto a capire che la diffusione capillare dell’ideologia del capitalismo attraverso i mezzi d’informazione, e la soppressione - soprattutto a livello accademico - delle voci critiche, hanno permesso agli oligarchi (chiamiamoli così) della politica e del denaro di orchestrare la più grande disuguaglianza di reddito del mondo industrializzato.

Non è una storia nuova. I ricchi  in tutta la storia dell’umanità, hanno sempre trovato il modo di soggiogare le masse. E le masse, in tutta la storia dell'umanità, si sono ciclicamente risvegliate. E' questo che sta accadendo da qualche anno a questa parte nell'ex Europa comunista e da ultimo in Turingia, nella Germania di Angela Merkel?

Sono stati gli oligarchi a sospettarlo per primi il prevedibile risveglio, comunque a temerlo e hanno ricominciato a rinvestire in maniera massiccia sui meccanismi di controllo delle idee. Molto vi contribuiscono i politici compiacenti, gli ignari intrattenitori e una insulsa cultura popolare alimentata dalle grandi imprese, che indica i ricchi come esempi da imitare perché “se siamo bravi e lavoriamo sodo un giorno lo diventeremo anche noi”. Come scrisse Marx: “Le idee al potere non sono che l’espressione ideologica delle relazioni materialistiche dominanti, le dominanti relazioni materialistiche che assurgono a ideologia”.

Si tenga a mente quel che sta accadendo in Italia, dove le politiche elettorali, la sicurezza interna, il sistema giudiziario, il mondo accademico, le arti e la finanza, e praticamente tutte le varie forme di comunicazione, sono nelle mani dei grandi gruppi d’impresa. La nostra democrazia, con quei falsi dibattiti televisivi sempre con gli stessi “attori” dei due diversi gruppi politico/imprenditoriali, non sono che teatrini senza senso.

Il risultato è che lo squallore e la sofferenza inflitti ai lavoratori nel Novecento, li ritroviamo speculari nel presente, ma con una differenza sostanziale: oggi siamo privati di qualsiasi difesa. Il paradosso è che se  nell'altro secolo il dissenso era schiacciato in nome dell'anti-comunismo, oggi ridiventa un crimine perché così hanno stabilito Renzi e Napolitano che si definiscono uomini di “sinistra”.

S'è venuto così a creare - in Italia come altrove - una sorta di scenario nel quale la massa continua a impoverirsi, mentre la casta degli oligarchi continua ad accumulare ricchezze. In Italia per tutelarsi essi hanno stravolto il sistema politico, scoraggiato il ritorno alle urne, in modo da impedire l'elezione di un governo democratico e proteggere la proprietà privata e i privilegi di casta. Insomma la parola d'ordine è che le masse devono essere tenute a bada.

In Italia appunto ci stanno riuscendo magnificamente con l'intraprendenza del capo del Governo e segretario del Pd Matteo Renzi, il quale promuovendo il capitalismo del libero mercato e della globalizzazione, sta creando una nazione di padroni e di servi, come lo era nel Medioevo.

Non altrettanto accade (chi l'avrebbe mai detto!) in Bulgaria con la Nuova Sinistra. “Usiamo questa espressione per cercare di scavarci uno spazio tra la vecchia sinistra, quella formata dai comunisti ortodossi, dai nostalgici del socialismo alla sovietica”, spiega l’attivista Georgi Medarov, aggiungendo “l’obiettivo del socialismo o del comunismo non dogmatico è semplice e chiaro: una vita migliore per il popolo, con  città e paesi vivibili, minor paura, più cultura, istruzione, dignità, e spazi (perché no?) anche per il divertimento!”.

Medarov ricorda a chi l'ascolta che la Cina sta reintroducendo l’assistenza sanitaria gratuita, la paga con il lavoro del proprio popolo, “come ovviamente fanno Cuba, Venezuela, Cile, Argentina e Sudafrica”. Insomma Medarov è convinto che qualcosa di nuovo e positivo accadrà anche in Bulgaria ad opera della sinistra, forte del fatto che studenti, ambientalisti e altri attivisti della società civile tengono da più di un anno il Paese in uno stato pressoché costante di dimostrazioni contro la corruzione politica ed economica.

La nuova sinistra della Polonia ha ambizioni ancora più vaste. A farla nascere nel 2002 è stato un gruppo di intellettuali attivisti che si definiscono Krytyka Polityczna (Critica Politica) e che rappresentano la nuova generazione della sinistra in Polonia. Fu il dibattito sull’accesso alla UE che portò per la prima volta in primo piano Krytyka Polityczna. Acquistò la notorietà non mediante uno sciopero, come aveva fatto Solidarnosc nel 1980, bensì con gli strumenti dell’intellighentsia. La loro lettera, sottoscritta da 250 tra i maggiori intellettuali polacchi, intervenne sul tema più controverso: l’adesione all’Unione Europea. Appoggiò l’adesione, sollecitò lo spostamento della UE in una direzione progressista, e così facendo si guadagnò il consenso della maggioranza dell'elettorato polacco. “Fu una lezione molto importante per noi poiché si dimostrò che - ricorda il leader del movimento Slawomir Sierakowski - si può entrare nella grande politica semplicemente con una buona idea, una penna e un foglio di carta”.

Il successo di Krytyka molto dipende dal nuovo approccio con il quale si affrontano i problemi del Paese. “Si può utilizzare apertamente il linguaggio di classe e non essere considerati uno del passato. Abbiamo realmente introdotto il linguaggio critico e le prospettive di sinistra nel dibattito pubblico”,  informa  Sierakowski.

Ma forse l’origine vera del suo successo sta nel fatto che, in un Paese concentrato soltanto sul rischio d’impresa e alla domenica sulla parrocchia, il movimento Krytyka Polityczna è riuscito a risvegliare le coscienze. “Solo l’azione produce solidarietà”, spiega Sierakowsky, “Se io e te collaboriamo nel fare qualcosa, col tempo ciò produrrà una fiducia reciproca sufficiente a farci assumere insieme il rischio di qualcosa”. E’ un messaggio che trova vasta eco in un Paese nel quale, sebbene siano passati 34 anni, è ancora vivissimo il ricordo delle decine di migliaia di persone che rischiarono la loro vita per creare un movimento di massa chiamato Solidarnosc.

Sono queste alcune delle nuove realtà che inquietano gli oligarchi del potere economico e politico. Sicché lo sbarco della “lotta di classe” nel cuore della Germania di Angela Merkel, rischia di diventare per essi davvero un incubo. Poiché abituati come sono a circondarsi di lavoratori ubbidienti, servi e adulatori, essi vedono le masse turbolente come dei fastidiosi insetti. Sanno bene che vanno sopportate, anche rabbonite, purché rimangano sotto controllo, in modo - s'è detto - da poter continuare ad accumulare ricchezza e denaro.

La formula per rimediarvi è sempre la stessa, e nel “Grande Gatsby” è spiegata bene. “Tom e Daisy, erano due sconsiderati” racconta Fitzgerald della coppia ricca attorno alla quale ruotava la vita di Gatsby. “Erano capaci di distruggere cose e persone e poi si ritiravano incuranti nel loro denaro e nella loro incuranza, o qualsiasi altra cosa che li tenesse insieme, e lasciavano agli altri il compito di rimediare ai loro disastri”. In Italia ci sta pensando Matteo Renzi? Pare che ai ricchi non dispiaccia questa nuova sinistra all'italiana. E lo si vede.

di Liliana Adamo

Sua Eccellenza, Signor Presidente,
il sottoscritto Taha Mohammad al-Shadhli desidera metterla a conoscenza dell’ingiustizia e del torto subito agli esami di ammissione all’accademia di polizia, da parte del signor generale capo della commissione d’esame. Ha detto il Profeta, che Dio lo benedica e gli dia pace:
“Che siano puniti coloro che salvano il ricco che ha rubato e castigano il povero, come avveniva prima dell’islam. Se Fatma la figlia del Profeta dovesse rubare, che le venga tagliata la mano. Abbiate fede nella parola del Profeta”.
Signor Presidente, ho studiato con impegno fino a diplomarmi con la votazione di 89/100 in materie umanistiche e con l’aiuto di Dio ho superato tutte le prove di ammissione all’Accademia di polizia. Signor Presidente le sembra giusto che mi venga vietata l’immatricolazione all’accademia di polizia solo per il fatto che mio padre, uomo povero e onesto, lavora come portiere? Non è forse una professione rispettabile?
Signor Presidente la prego di leggere questa denuncia con gli occhi di un padre affettuoso che non consentirebbe mai che sia fatta un’ingiustizia nei confronti dei suoi figli.
Signor Presidente il mio avvenire è nelle sue mani. Confido nella sua generosa imparzialità. Che Dio le conceda lunga vita.
Il suo sincero figlio Taha Mohammad al-Shadhli.


Per chi avesse letto per intero questa (splendida) narrazione, saprà che Taha, respinto dalla società civile egiziana perché figlio del portiere di Palazzo Yacoubian, finirà per infoltire le già gremite milizie islamiche, invece che fare il poliziotto come ambiva.

Ma “Palazzo Yacoubian” non è solo il libro (poi diventato film con la regia di Marwan Hamed), più famoso e controverso mai pubblicato nel mondo arabo (così come discusso è il suo autore, Ala Al-Aswani), l’opera più letta dopo il Corano (e il parallelo ha davvero dell’incredibile, antitesi del contraddittorio), è una dissacrante radiografia di un Egitto mai oleografico e turistico, lontano dai fasti del passato e dal conformismo di tanta retorica sciovinistica.

Racconta invece, con sarcasmo variopinto e realismo, uno spaccato emblematico di una società, quell’egiziana moderna, retroflessa e disordinata, dominata dall’ipocrisia, quanto da un capillare, inestricabile sistema di corruzione; un paese intrappolato in una rassegnazione quiescente, in un sistema atavico e farraginoso che finisce per fuorviare le stesse vite dei protagonisti, metafora della società civile. Come qualcuno ha scritto, “il best seller del mondo arabo risiede in un palazzo satanico…”. 

Da “Palazzo Yacoubian” alla primavera araba di Piazza Tahrir, il passo è breve e da columnist sui giornali d’opposizione, Ala Al-Aswani, co-fondatore del Movimento Kifaya (Basta), ha raccolto i suoi articoli, pubblicandoli in “La rivoluzione Egiziana” (Feltrinelli 2011).

Lui stesso si è recato in quella piazza, la più importante del Cairo, tra via Qasr al-Ayn, via Tal At Harb e via Qasr el Nil, nei pressi della metropolitana (fermata Sadat), dove si erge una grande statua ottomana e oltre, la moschea di Omar Makram. Dal 29 gennaio 2011, per diciotto giorni consecutivi, ha vissuto tra la piazza e quelle strade, “eccetto le poche ore di sonno che mi sono concesso e a dei momenti in cui sono andato a controllare come stesse la mia famiglia…”. E finalmente, a protestare contro l’annosa tirannia di Hosni Mubarak, ha incontrato i “nuovi egiziani”…

Ciò che è accaduto dopo quei momenti unici nella storia, drammatici e straordinari, è cronaca degli ultimi anni; come altri intellettuali e senza sottintesi, Al-Aswani si è schierato a favore della destituzione del presidente Mors?, del nuovo governo guidato dal generale Al-S?s?, della (brutale) repressione ai Fratelli Musulmani.

Un’islamizzazione radicale in Egitto? Più rischiosa di un’occupazione militare, a tal punto d’affermare perentoriamente di come “L’esercito mi ha anche processato, ma i Fratelli Musulmani sono terroristi”. E dunque? E dunque, alla lunga, prevarrà il popolo…Quel popolo di “nuovi egiziani” e tra i giovani di Tahrir c’è anche linfa per Cairo Automobil Club, suo ultimo lavoro, da poco pubblicato in Italia.

“La rivoluzione è un cambiamento umano. Ci sono state continue ondate di creatività, dopo il 1919 sono nati grandi creativi e poi dopo il 1952. Vedo cinema e arte in ottimo stato. Per questo ho un seminario settimanale per giovani scrittori, come il poeta Mustafa Ibrahim e vedo nuovi documentaristi e registi in grado di liberare la televisione. Credo che abbiamo presentato un modello all’umanità, superando una dittatura in modo pacifico: quando ci sono trenta milioni per le strade, loro hanno l’autorità. Ci sono stati milioni di contestatori contro la guerra in Iraq ma nulla è cambiato, invece qui, abbiamo dimostrato che l’autorità risiede nel popolo…”.

Dopo i fatti accorsi durante il 2013 (la destituzione del presidente Morsi, le proteste, gli arresti, le stragi indiscriminate, l’ombra lunga della guerra civile…), può apparire alquanto singolare agli occhi di un occidentale, se parte sostanziale dell’intellighenzia egiziana, a conti fatti, si schieri sempre più con l’esercito. Dichiarazioni simili a quella di Ala Al-Aswani, sono state riportate da Ahmed Mourad, il giovane autore di “Vertigo”, come dell’anziano e combattivo Sonallah Ibrahim, artefice di “La Commissione”, romanzo scritto nel 1981, fortemente critico verso i regimi autoritari arabi…

Tuttavia, è evidente di come i Fratelli Musulmani (democraticamente eletti), abbiano, a un certo punto, cancellato la Costituzione nel momento in cui, secondo lo scrittore, Mors? si è comportato come “un sultano turco” e se in democrazia il diritto all’impeachment (con tanto di raccolta di firme e manifestazioni nelle piazze), è tutt’altro che un elemento evasivo, l’esercito, per Al-Aswani, ha protetto il paese prima che si trasformasse in un’altra Libia o in un’altra Siria.

In “Cairo Automobil Club”, lo scrittore ci presenta una monarchia dispotica nell’Egitto degli anni Quaranta, ma, nel mal comune… anche in democrazia il rischio è nella corruzione. Non basta il controllo ferreo sulle entrate e uscite di denaro pubblico, ma un governo del popolo, giacché tale, urge di un vitale bisogno nel ricambio delle idee e persone, di partecipazione attiva per tutti gli strati sociali, senza emarginazione alcuna. Un sogno, nell’attuale scenario geopolitico e non solo in Medio Oriente. “Guardo ai paesi del Nord Europa, come esempio evidente di democrazia: Danimarca, Svezia e Norvegia…”.

Facoltoso dentista e scrittore “povero”, Al-Aswani conosce alla perfezione il contesto in cui colloca il suo ultimo libro, poiché in quel Cairo Automobil Club, suo padre vi aveva svolto la professione di avvocato. In un Egitto monarchico, in realtà governato dal protettorato britannico, l’Automobil Club è luogo esclusivo, dove, colonialisti arricchiti ostentano la loro protervia, onorati dalla presenza di un re fantoccio quanto dissoluto, strumento occulto di un visir corrotto, sottomesso con i potenti, tirannico con gli egiziani.

I “servi” che gravitano in questo entourage, braccati, mal pagati, malmenati, oltremodo, sono costretti a versare tangenti per lavorare e sostenersi, delineando, insomma, quei personaggi universali (quasi alla Victor Hugo), dove si muore di stenti ma anche per umiliazioni. Da questo microcosmo mefistofelico nascono i primi bagliori di una “rivolta” clandestina, fomentata da una donna, “pasionaria” e anticonformista, da un principe “primula rossa”, cui si uniscono giovani che chiedono “rispetto”, pronti ad affrontare il carcere e la morte pur di riscattare l’Egitto.

Ma i veri impulsi all’ipocrisia, all’inettitudine e al disprezzo per il dolore altrui (una sorta di cattiveria sociale), sono magistralmente descritti in un romanzo - diario (I quaderni di ‘Issam ‘Abd Al-‘Ati), unitamente a una raccolta di racconti brevi. “Se non fossi egiziano”, pubblicato trentatré anni dalla sua ideazione e soltanto grazie al successo mondiale di “Palazzo Yacoubian”, è un’opera già matura e complessa, contrastata e ripetutamente rifiutata dall’allora Ente Egiziano del Libro, perché “nociva al prestigio della nazione…”.

“Se non fossi egiziano, egiziano vorrei essere”: dall’assioma del nazionalista Mustafa Kàmil, Ala – Al Aswani, pone una connotazione ironica che ne ribalta completamente il significato. Da questi undici racconti e undici protagonisti, il ritratto dell’Egitto di oggi che ne vien fuori è impietoso: lontano dal forestierismo cultural - turistico, dalla retorica “impegnata”, ripiegato su un’umanità piccolo-borghese improduttiva, ineluttabilmente allo sbaraglio, priva d’identità, chiusa in una facciata d’onorabilità ma moralmente abbietta.

Il personaggio di Issam ‘Abd Al-‘Ati, nel Diario, è memorabile: un giovane colto e sensibile, fiaccato dal dispotismo ipocrita della società che lo circonda, un ricercatore presso l’Ente nazionale per la chimica, elefantiaco agglomerato di funzionari corrotti, d’impiegati mediocri e servili, disposti a tacere sulle prevaricazioni subite dai propri colleghi.

La storia si apre con una lunga, articolata disquisizione sull’assioma di Mustafa Kàmil, quel Se non fossi egiziano, egiziano vorrei essere… “prototipo di una partigianeria tribale […] idiota…”, sui vizi e l’inettitudine della classe dirigente e dell’intera società egiziana: la figliata difettosa e guasta di una soldataglia vincitrice […] accoppiata con una massa servile e sconfitta”.

Come Taha e gli altri protagonisti di “Palazzo Yacoubian”, come Hatim, giornalista inappuntabile ucciso dal suo amante nubiano Abdu, o il vecchio Zaky, tiranneggiato dalla sorella e sedotto da una giovane povera e bellissima, anche Issam, sarà destinato a soccombere, stritolato dai meccanismi di un sistema illiberale, corrotto fin dalle viscere.



di Sara Michelucci

È una società corrotta, abietta e grottesca quella portata in scena da L’Ispettore generale, di Nikolaj Gogol, nell’adattamento di Damiano Michieletto, andato in scena al Secci di Terni e in programma in diversi teatri italiani. Una satira pungente contro la società dell’epoca, ma che ben si confà anche a quella contemporanea, dove purtroppo poco è cambiato. L’opera gioca sullo scambio di persone, sul malinteso, mettendo in scena una graffiante denuncia della corruzione pubblica.

Tutto si svolge in un bar di uno sperduto paese della campagna russa, luogo di incontro di personaggi corrotti e profittatori. Non mascalzoni qualunque, ma uomini delle istituzioni. Anche se tutto farebbe presupporre il contrario. C’è il sindaco, il provveditore scolastico, l’ispettore sanitario, l’impiegato delle poste che apre le lettere dei cittadini per pura curiosità. Un’umanità degenerata, che viene ben rappresentata in tutti i suoi aspetti.

Tutti sono in fermento e impauriti, perché hanno saputo dell’arrivo di un ispettore generale dalla capitale. E sembra proprio che sia in incognito. Inizia così una corsa per capire chi possa essere il temutissimo sovrintendente, tanto che lo si scambia per un giovinastro squattrinato che capisce subito quali benefici può trarre dalla situazione.

Un classico della tragicommedia, basato sull’imbroglio e il malaffare, dove la morale è totalmente calpestata e nemmeno in casa del sindaco ci sono remore. Tanto che il giovane scambiato per l’ispettore flirta sia con la moglie che con la figlia del primo cittadino, senza curarsi di nulla.

Il giovane regista veneziano, ideatore di molti allestimenti di prosa, ha la capacità di riportare in scena una grande classico del teatro, dove sfera pubblica e sfera privata si mescolano e si contaminano. Non ci sono né regole né leggi, se non quelle della sopraffazione e del decadimento morale. E la scena finale, che richiama parecchi reality contemporanei e fa venire in mente anche l’immagine della festa nel film premio Oscar, La grande bellezza, la decide tutta sull’impoverimento dell’uomo contemporaneo.


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