di Carlo Benedetti

Mai dire mai perché - come avvertiva Stephen King - a volte ritornano. Avviene ora in Moldavia dove si è concluso il riconteggio dei voti delle elezioni politiche svoltesi il 5 aprile scorso. E così, ancora una volta, si è confermata la larga vittoria del partito comunista già al potere. Dal nuovo conteggio - voluto e imposto dalle opposizioni - non si sono evidenziate falsificazioni o violazioni delle norme elettorali. Tutto in regola, quindi. Lo ha reso noto il segretario della commissione elettorale centrale, Iuri Ciokan, dichiarando che “i risultati del nuovo scrutinio pervenuti alla commissione da tutti i seggi elettorali non hanno evidenziato violazioni di sorta a vantaggio di un qualche concorrente. E le differenze di qualche voto emerse in taluni casi sono talmente minime da non poter cambiare i risultati del voto già annunciati in precedenza dalla commissione elettorale”.

di Rosa Ana De Santis

Il Consiglio d’Europa ha espresso profonda preoccupazione per la condizione dei migranti nel nostro Paese. Così accogliente a detta dei politici, così pieno di carità cristiana a sentire i cattolici, eppure così sul filo di accuse pesantissime. Il rapporto del commissario per i diritti umani, Thomas Hammarberg, uscito il 16 aprile, dopo la visita in Italia di metà gennaio, gli incontri con le istituzioni e le amministrazioni locali, parla di “deep concern”. L’espressione è diplomatica, ma pone un allarme serio sull’atteggiamento politico del Belpaese nel contesto europeo. L’osservatore europeo ha visto con i propri occhi cosa accade nei campi rom, nei centri di espulsione di Lampedusa, nelle periferie in cui spesso sono ammassati gli stranieri. Nel mirino sarebbero andati soprattutto i nuovi provvedimenti sull’immigrazione, l’aggravante della clandestinità e da ultimo il clamoroso espediente dei medici spia.

di Fabrizio Casari

Il luogo è Santa Cruz, capoluogo dell’omonima regione, la più ricca del paese e, non a caso, la capofila dell’opposizione di destra al governo. La polizia boliviana, dopo una sparatoria durata mezz’ora in un hotel della città, elimina una cellula terrorista composta da mercenari europei. Le vittime sono tre, un ungherese, un croato (sembra) ed un irlandese. Da diverso tempo seguivano i movimenti del Presidente Evo Morales ed il funzionamento della struttura adibita alla sua sicurezza ma, da altrettanto tempo, erano a loro volta seguiti dalle forze di sicurezza boliviane. Il Vice ministro dell’Interno, Rùben Gamarra, in un incontro con la stampa nazionale ed estera, ha affermato che i tre uccisi erano “mercenari stranieri membri di una cellula terroristica che aveva come obiettivo l’assassinio del Presidente Evo Morales e del Vicepresidente Alvaro Garcia Linera”.

di Eugenio Roscini Vitali

Sono più di due secoli che gli antichi bazar della domenica animano la vita di Kashgar, la città oasi che sorge ai limiti del deserto del Taldamakan, a quattromila chilometri da Pechino, ultima tappa cinese dell’antica via della seta che dal 1° ottobre 1949 vive all’ombra della statua di Mao Zedong. Uzbeki, kazaki, tagiki, kirghizi, pakistani e afgani; centinaia di carovane che ogni settimana arrivano nel più importante centro commerciale dell’odierna provincia autonoma dello Xinjiang, nel vecchio Turkestan orientale: dal Kirghizistan, superando la catena del Tien Shan e il passo Torugart; dal Tagikistan, attraverso il Pamir e il passo Kulma; dal Pakistan, scavalcando il Karakorum lungo il passo Khunjerab. Popoli che s’incontrano in una terra antica, nella terra degli uiguri, la minoranza turcomanna che lotta contro le conseguenze dell’onda distruttiva di quella che un giorno fu la Rivoluzione popolare e che oggi è la nuova politica di “ripopolamento” targata Pechino.

di Rosa Ana De Santis

Catherine Ajok venne rapita dall’Esercito di Resistenza del Signore (LRA) la notte del 10 Ottobre 1996, quando era poco più di una bambina. Frequentava allora la scuola delle missionarie comboniane St. Mary, ad Aboke, nella diocesi di Lira. Catherine è tornata, con un figlio di soli 21 mesi avuto dal ribelle sanguinario Kony. Approfittando di un’imboscata che ha distratto l’esercito dei ribelli, questa giovane, che oggi ha 25 o 26 anni, è riuscita a fuggire. E’ comparsa qualche settimana fa dalle foreste del Congo. In quel ricamo di paradiso terrestre che segna a ovest uno dei confini della piccolissima Uganda. Una rete fittissima di vegetazione e suoni che incute ancora oggi un misto di timore e riverenza nelle persone del luogo, come di sacro rispetto. Così è tornata Catherine, come un fantasma dal passato.


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