di Alessandro Iacuelli


Un improvviso allarme arriva da un'organizzazione afghana per i diritti umani che l'11 maggio ha dichiarato che delle persone, in particolare dei civili, siano state colpite da armi al fosforo bianco durante uno scontro tra truppe americane e ribelli. In effetti, i medici afghani della provincia di Farah hanno in cura 16 pazienti con gravi ustioni, dopo lo scontro armato avvenuto il 4 maggio scorso. Ustioni che i medici classificano come "inusuali". La commissione indipendente per i diritti umani in Afghanistan ha deciso di aprire un’inchiesta sul possibile uso di fosforo bianco o di equivalenti armi chimiche di tipo incendiario contro i civili durante lo scontro. Nader Nadery, un membro di questa commissione, ha dichiarato al governatore di Farah che anche molti dei cadaveri ritrovati hanno il corpo fuso o ricoperto da ustioni estese.

di Carlo Benedetti

A Mosca e a Washington, in questo momento, sembra che prevalgano le posizioni più pragmatiche degli ultimi anni. La parola d’ordine comune – sempre nel quadro di un ritratto mondiale sfaccettato e problematico - è quella che annuncia che il futuro non dovrà essere peggio del passato. Ed è con questo “spirito” che le due capitali vanno verso precisi appuntamenti di ordine politico, militare e diplomatico. E così partono insieme verso un summit - che si terrà a Mosca dal 18 al 20 maggio - durante il quale il russo Medvedev e l’americano Barack si troveranno faccia-a-faccia per rinnovare il Trattato sulla riduzione delle armi strategiche al fine anche di allontanare le eventuali tensioni. L’intera questione è sul tavolo delle due diplomazie, dal momento che la proliferazione delle armi di distruzione di massa, in primis quelle nucleari, costituisce la principale minaccia del secolo. È dunque necessario – rilevano Mosca e Washington - compiere più chiari e coraggiosi passi in avanti. Soprattutto nei tre principali settori che compongono il Trattato di non proliferazione: il disarmo, l'uso pacifico del nucleare e, appunto, la non proliferazione.

di Elena Ferrara

All’anagrafe diplomatica la lotta continua. Perché ancora non si è raggiunta una decisione definitiva su chi potrà chiamarsi, ufficialmente, “Macedonia”. E mentre la situazione si fa sempre più complessa, l’Europa non parla e non agisce con l’autorità di cui potrebbe disporre. I macedoni di Skopje rivendicano il nome sostenendo che è un Doc; i greci di Atene sostengono, invece, che il marchio è loro. Intanto si muove qualcosa pur se con toni e commenti diversi. C’è il segretario generale della Nato, Jaap de Hoop Scheffer il quale, direttamente dalla “Republika Makedonija”, fa sapere di sperare che venga risolta quanto prima la disputa sul nome che oscilla fra interpretazioni e applicazioni diverse. E’ questa controversia - ha ribadito l’uomo della Nato - l'unico ostacolo che resta per l'adesione del paese balcanico all'Alleanza Atlantica. La Nato, aggiunge Scheffer, non è coinvolta direttamente negli sforzi per trovare una soluzione, anche se l'Alleanza vorrebbe vedere tale questione “chiusa il più presto possibile”.

di Giuseppe Zaccagni

Tutti insieme, appassionatamente, questa mattina al Senato per la “Giornata celebrativa dedicata al 60mo anniversario dell’Alleanza atlantica”. Cose in grande, con diretta da Sky e un ovvio intervento del presidente del Senato Schifani. Hanno preso la parola (dopo il saluto di Sergio De Gregorio, presidente della delegazione italiana presso l'Assemblea parlamentare Nato e la relazione di Enrico La Loggia, presidente del Comitato Atlantico italiano) personaggi come Bruce George e Karl A. Lamers. Sul podio della “Giornata” (una vera manifestazione d’impotenza) c’erano il presidente del comitato militare della Nato, ammiraglio Giampaolo Di Paola, con Giulio Andreotti, Massimo D'Alema, Piero Fassino, Franco Frattini, Paolo Guzzanti, Giorgio La Malfa, Franco Marini, Lech Walesa. L’occasione, si è detto, è quella di un bilancio di sessant'anni di storia e una riflessione sui nuovi scenari. Con una certa Italia che “fa festa” e che cerca, ovviamente, di far dimenticare le tante realtà storiche dell’avventura atlantica.

di Carlo Benedetti

Certo, non siamo a Fulton, negli Usa, quando in nel marzo del 1945 Churchill prefigurò l’Europa e il mondo divisi con quella sua affermazione divenuta poi storica ( “da Stettino nel Baltico fino a Trieste sull’Adriatico una cortina di ferro è calata sul continente”). No, i venti della guerra fredda sono lontani, la Mosca di Medvedev non è più quella di Stalin e Washington non è più quella di Truman. Eppure c’è un temporaneo raffreddamento del clima che le diplomazie mondiali segnalano con preoccupazione. Perché a Bruxelles – dove si doveva sancire la ripresa di un dialogo Est-Ovest - nel corso della riunione del consiglio Nato-Russia della settimana scorsa si è verificata una situazione d’allarme. La riunione, dopo una sospensione durata ben otto mesi, si è sciolta nel giro di poche ore e, di conseguenza, riproponendo ciclicamente il tradizionale “scontro” tra le due parti.


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