di Mariavittoria Orsolato

Pare sia finalmente finita l’odissea dei 140 migranti stipati sul mercantile turco Pinar, che lo scorso giovedì li aveva tratti in salvo nel canale di Sicilia scatenando un braccio di ferro diplomatico tra l’Italia e Malta. Un gruppo di naufraghi, circa una ventina, sono giunti ieri mattina a Porto Empedocle su un guardacoste della Guardia di finanza, altri 90 sono arrivati successivamente a bordo della nave Danaide della Marina militare, mentre i restanti 20 erano già stati portati domenica a Lampedusa, assieme alla donna incinta trovata cadavere sulla Pinar dai primi soccorritori. Ma andiamo per ordine. Il 16 aprile il cargo turco Pinar avvista due barconi alla deriva; essendo in acque maltesi, il capitano Asik Tuygun contatta le autorità portuali di La Valletta che, immediatamente, si offrono di coordinare i soccorsi e indicano alla nave porta container diretta a Sfax, in Tunisia, di fare rotta verso il porto più vicino, ovvero Lampedusa. Le autorità italiane - pur inviando un’equipe medica per accertarsi delle condizioni dei migranti - non autorizzano il Pinar a dirigersi verso l'isola e lo bloccano a 25 miglia a largo della maggiore delle Pelagie. Perché?

di Carlo Benedetti

Prima hanno fatto un deserto bombardando e distruggendo cittadine e villaggi. Poi - parafrasando Tacito - hanno definito il “tutto” come pace. Quindi hanno trovato un Quisling. Poi hanno portato sul posto oligarchi e banchieri per avviare la “ricostruzione”. Ed ora i nuovi padroni dell’intero paese cantano vittoria. La martoriata Cecenia, la regione (15.500 chilometri quadrati con 1.500.000 abitanti) che da anni si batte per l’indipendenza e contro il dominio russo, ormai è “cosa loro”. Mosca, dopo aver scatenato dal 1994 una guerra senza precedenti provocando decine di migliaia di vittime e profughi, distruzioni e genocidi, lancia il “tutti a casa”, richiamando un primo contingente di 20mila uomini. Dichiara al mondo di aver raggiunto il suo obiettivo che era quello di normalizzare la situazione.

di Michele Paris

Il quinto summit delle Americhe si è concluso a Port of Spain (la capitale di Trinidad e Tobago) senza un consenso fra i 34 Paesi sulla dichiarazione finale, ma l’amichevole stretta di mano tra Obama e Hugo Chávez o i cordiali scambi di battute tra il neo-presidente americano con Evo Morales e Daniel Ortega sarebbero di per sé sufficienti a spiegare il senso e a tracciare un bilancio del quinto summit dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA). La popolarità del nuovo inquilino della Casa Bianca ha contribuito in maniera decisiva al clima positivo di un vertice che tre anni e mezzo fa a Mar del Plata, in Argentina, si concluse invece in un totale fallimento e segnò il punto più basso nei rapporti tra l’America di Bush e il resto del continente. Il rinnovato interesse di Washington nei confronti dell’America Latina dopo otto anni d’indifferenza e la nuova disponibilità al confronto senza pregiudiziali, è dunque la cifra principale dell’incontro tra i 34 leader, anche se ai sorrisi di circostanza dovranno fare seguito ora cambiamenti sostanziali nei rapporti diplomatici continentali. Con due banchi di prova su tutti per gli USA: Cuba e Venezuela.

di Carlo Benedetti

Mai dire mai perché - come avvertiva Stephen King - a volte ritornano. Avviene ora in Moldavia dove si è concluso il riconteggio dei voti delle elezioni politiche svoltesi il 5 aprile scorso. E così, ancora una volta, si è confermata la larga vittoria del partito comunista già al potere. Dal nuovo conteggio - voluto e imposto dalle opposizioni - non si sono evidenziate falsificazioni o violazioni delle norme elettorali. Tutto in regola, quindi. Lo ha reso noto il segretario della commissione elettorale centrale, Iuri Ciokan, dichiarando che “i risultati del nuovo scrutinio pervenuti alla commissione da tutti i seggi elettorali non hanno evidenziato violazioni di sorta a vantaggio di un qualche concorrente. E le differenze di qualche voto emerse in taluni casi sono talmente minime da non poter cambiare i risultati del voto già annunciati in precedenza dalla commissione elettorale”.

di Rosa Ana De Santis

Il Consiglio d’Europa ha espresso profonda preoccupazione per la condizione dei migranti nel nostro Paese. Così accogliente a detta dei politici, così pieno di carità cristiana a sentire i cattolici, eppure così sul filo di accuse pesantissime. Il rapporto del commissario per i diritti umani, Thomas Hammarberg, uscito il 16 aprile, dopo la visita in Italia di metà gennaio, gli incontri con le istituzioni e le amministrazioni locali, parla di “deep concern”. L’espressione è diplomatica, ma pone un allarme serio sull’atteggiamento politico del Belpaese nel contesto europeo. L’osservatore europeo ha visto con i propri occhi cosa accade nei campi rom, nei centri di espulsione di Lampedusa, nelle periferie in cui spesso sono ammassati gli stranieri. Nel mirino sarebbero andati soprattutto i nuovi provvedimenti sull’immigrazione, l’aggravante della clandestinità e da ultimo il clamoroso espediente dei medici spia.


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