di Michele Paris

Pochi giorni fa, la Corte Suprema del Perù ha emesso una sentenza esemplare nei confronti dell’ex presidente Alberto Fujimori, condannandolo a 25 anni di carcere per omicidio, sequestro aggravato, percosse e crimini contro l’umanità. Le accuse mosse contro Fujimori si riferiscono ad assassini e rapimenti commessi dal gruppo paramilitare La Colina tra il 1991 e il 1992 con l’esplicita autorizzazione presidenziale. Lo storico verdetto rappresenta la prima condanna di un presidente democraticamente eletto ed estradato dall’estero verso il proprio paese per essere processato per crimini di tale gravità. Oltre alle testimonianze schiaccianti di ex membri dello squadrone della morte peruviano, impegnato in operazioni militari contro i gruppi ribelli maoisti Sendero Luminoso e Tupac Amaru (MRTA), fondamentali nel processo contro “El Chino” - così soprannominato, nonostante le origini nipponiche - sono stati decine di documenti desecretati dal governo americano.

di Fabrizio Casari

Fine delle restrizioni per i viaggi e le rimesse in denaro. Il milione e mezzo di cubani residenti negli Usa, potranno recarsi quando vogliono a Cuba e saranno liberi, da ora, d’inviare la quantità di denaro che vogliono ai loro parenti sull’isola. Inoltre, le compagnie telefoniche statunitensi potranno chiedere regolari licenze di operatori per la telefonia cubana. Il Presidente statunitense Barak Obama, nel processo di smantellamento graduale delle politiche dell’Amministrazione Bush - che imponeva un viaggio ogni tre anni e un massimo di cento dollari mensili nell’invio di denaro - ha deciso di muovere un primo, significativo passo, verso la normalizzazione delle relazioni con Cuba. Non è ancora quello di cui c’è bisogno, ma è comunque qualcosa d’importante. Dopo quasi cinquant’anni di blocco, eufemisticamente definito embargo, anacronistico nelle sue logiche e criminale nei suoi effetti, gli Usa annunciano, pur con ogni prudenza, l’inizio di una nuova fase nella loro politica verso l’isola socialista.

di Mario Braconi

Era prevedibile ed é successo. Dopo che da due giorni anche i carri armati avevano fatto la loro comparsa per le strade di Bangkok, l'esercito ha usato per la prima volta armi vere. In rappresaglia i militanti hanno spinto pesanti autobus di linea contro i soldati, e il conto finale parla di due morti sul campo e decine di feriti - sembra un'ottantina - da entrambe le parti. L'assalto al ministero dell'Educazione, dato alle fiamme con bottiglie molotov, ha provocato nuove cariche in serata. "Finora abbiamo usato misure blande", ha dichiarato un portavoce dell'esercito. "Ma se sarà necessario passeremo a quelle più forti". Così il Primo Ministro Abhisit Vejjajiva tenta di dare concretezza alle minacce di un maggior rigore nei confronti dei dimostranti in camicia rossa, che hanno messo così gravemente in imbarazzo il suo governo impedendo lo svolgimento del meeting dell’ASEAN che si sarebbe dovuto tenere in una struttura alberghiera sulla spiaggia di Pattaya.

di mazzetta

Il sequestro di una nave italiana con alcuni marinai italiani a bordo, ha riportato sui nostri media l'attenzione per i pirati. Un'attenzione selettiva, perché pur essendo somali, della Somalia si parla pochissimo, nonostante sia da anni teatro di tragedie che fanno impallidire terremoti e altre disgrazie. Ma nel nostro paese c'è poco interesse per il destino dei poveri, a maggior ragione se sono negri: migliaia di migranti muoiono da anni nei nostri mari senza suscitare la minima commozione, mentre il governo si fa sempre più ostile nei loro confronti. Lo dimostra la prima storia di mare, quella di uno dei tanti barconi affondati tra la Libia e la Sicilia agli inizi di aprile. Si parlò allora di quasi duecento dispersi in un naufragio, ma la notizia venne passata insieme al “salvataggio” di un altro barcone stracolmo di gente da parte della nostra marina. Tutto vero, ma i “dispersi” che fine hanno fatto? I dispersi sono diventati ufficialmente morti pochi giorni dopo, nel numero esatto di duecentotrentasette. Numero esatto perché nonostante un diffusa convinzione contraria, ciascun migrante ha un passato, una storia, famiglie che non vedrà più e che ora li piange.

di Carlo Benedetti

Lotte, agitazioni, caos, contestazioni, scontri. E’ il quadro sociale e politico della Moldavia di queste ore dopo il contestato voto delle “parlamentari” che hanno segnato la vittoria di quanti vengono considerati come gli “eredi” del vecchio sistema comunista. Tutto ha preso avvio il 6 aprile scorso quando il Partito Comunista della Moldavia ha ottenuto una vittoria nelle elezioni legislative con circa il 50% dei voti. La formazione si è così assicurata la maggioranza assoluta con il 49,92% dei suffragi (nel 2005 aveva avuto il 46,1%) e, con i 61-62 seggi in Parlamento che ha conquistato, il partito dovrebbe avere la maggioranza dei tre quinti necessaria per l'elezione del nuovo Capo dello Stato. Il partito liberale ha ottenuto il 12,9%, il partito liberaldemocratico il 12,24% e Nostra Moldavia il 9,87%. Ma ora nel paese ci sono manifestanti che contestano il voto “comunista” e gridano di “essere romeni” e di voler entrare in Europa. Tutto nel nome di un bieco nazionalismo e di un forte spirito antidemocratico alimentato da Bucarest.


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