di Luca Mazzucato

New York. Dei settecento miliardi di dollari consegnati i primi di ottobre da un Congresso sotto shock al Segretario del Tesoro, Henry Paulson, ex capo di Goldman Sachs, trecento ne sono già stati spesi a completa discrezione di Paulson; ma dove sono finiti? Quel che è certo è che gli azionisti delle banche di affari stanno brindando a caviale e champagne, sul ponte del Titanic. Il Tesoro, insieme ad Obama, salva l'ennesima Citigroup, paventando un conflitto d'interessi per la nuova amministrazione democratica, mentre Bloomberg News scopre che la Federal Reserve, la cassaforte americana, ha elargito segretamente due trilioni di dollari in prestiti, prima del piano di salvataggio. La Fed non scuce dettagli, ma i giornalisti gli fanno causa. Era la fine di settembre. Al primo tentativo di salvataggio, Bush pretese che il Congresso mettesse il timbro su una striminzita paginetta, un assegno in bianco senza garanzie e senza supervisione, per spendere settecento miliardi di dollari a discrezione del Tesoro.

di Stefania Pavone

Alcuni giorni fa, il neopresidente Usa Barack Obama ha annunciato le linee guida del nuovo piano di pace per il Medio Oriente. Nelle parole di Obama e del suo staff, il ritornello solito che ha animato i continui fallimenti diplomatici che hanno contrassegnato la perenne guerra tra Israele e Palestina. Ecco che ricompare il principio dei due popoli, due stati. Ecco che lo stato ebraico vuole mantenere i propri territori concedendo briciole ai palestinesi. Una terra nel deserto del Neghev adiacente alla Striscia di Gaza e un passaggio libero tra Gaza e la Cisgiordania e null’altro per il futuro stato della Palestina. E ancora: nessun riconoscimento del diritto di ritorno ai profughi. Niente di niente, dunque, per i Palestinesi.

di Michele Paris

A poco più di due settimane dall’elezione a 44esimo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama sta procedendo in maniera insolitamente spedita nella formazione del proprio governo che, a partire dal 20 gennaio prossimo, dovrà farsi carico ufficialmente degli enormi problemi che affliggono il Paese. Se in realtà nessuna nomina riguardante il nuovo gabinetto è stata finora annunciata in maniera ufficiale, anticipazioni e indiscrezioni abbondano ormai da parecchi giorni su tutti i media americani, occupati soprattutto a pesare le effettive chances di far parte dell’amministrazione Obama della ex first lady Hillary Clinton, candidata al prestigioso incarico di Segretario di Stato. Nomina non priva di ostacoli, dal momento che la scelta della ex first lady è vincolata alla disponibilità del marito Bill a rendere noti i nomi dei benefattori della sua fondazione (“William J. Clinton Foundation”) e i suoi interessi finanziari frequentemente legati a governi ed aziende estere.

di Eugenio Roscini Vitali

Neanche in guerra il fine giustifica i mezzi e tanto meno giustifica le cluster bomb lanciate dagli eserciti russo e georgiano durante il conflitto scoppiato l’estate scorsa, armi di distruzione di massa rimaste inesplose sul terreno che stanno colpendo la popolazione civile in modo irreversibile. La denuncia arriva da Human Rigth Watch che durante il secondo congresso sulle armi convenzionali, in particolare sulla parte riguardante il Protocollo V sui residui esplosivi di guerra, ha presentato dati allarmanti circa la costante minaccia a cui è sottoposta la popolazione civile. Fino ad ora sarebbero almeno 17 le vittime e decine le persone ferite da questo tipo di ordigni, numeri registrati da dall’organizzazione internazionale per i diritti umani che segue costantemente l’evolversi della crisi e che da ottobre sta ispezionando le zone colpite dal conflitto. L’uso delle cluster russe, quelle che hanno causato maggiori incidenti, è stato documentato in sei località, mentre quelle georgiane, bombe a grappolo di fabbricazione israeliana, sarebbero state rilevate in nove città e villaggi.

di mazzetta

Due anni fa le armate etiopi del dittatore Meles Zenawi invadevano la Somalia appena pacificata sotto il governo delle Corti Islamiche, il primo dopo quindici anni di vuoto assoluto di potere e di faide tra signori della guerra. Il pretesto etiope era l'impossibile attacco somalo all'Etiopia, potenza regionale, da parte degli stessi somali male in arnese e piegati da tre lustri di distruzioni continuate. La più classica “guerra preventiva” contro una minaccia inesistente, la brutta copia dell'invasione dell'Iraq. Ma allora ci fecero caso in pochi, anche se la Somalia è considerata il paese potenzialmente più ricco di petrolio del continente dopo il Sudan. La realtà è quella di un'invasione per procura americana e nessuno ha mai creduto realmente che in Somalia qualcuno abbia mai pensato a suicidarsi aggredendo il potente vicino.


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