di Michele Paris

A poco più di due settimane dall’elezione a 44esimo presidente degli Stati Uniti, Barack Obama sta procedendo in maniera insolitamente spedita nella formazione del proprio governo che, a partire dal 20 gennaio prossimo, dovrà farsi carico ufficialmente degli enormi problemi che affliggono il Paese. Se in realtà nessuna nomina riguardante il nuovo gabinetto è stata finora annunciata in maniera ufficiale, anticipazioni e indiscrezioni abbondano ormai da parecchi giorni su tutti i media americani, occupati soprattutto a pesare le effettive chances di far parte dell’amministrazione Obama della ex first lady Hillary Clinton, candidata al prestigioso incarico di Segretario di Stato. Nomina non priva di ostacoli, dal momento che la scelta della ex first lady è vincolata alla disponibilità del marito Bill a rendere noti i nomi dei benefattori della sua fondazione (“William J. Clinton Foundation”) e i suoi interessi finanziari frequentemente legati a governi ed aziende estere.

di Eugenio Roscini Vitali

Neanche in guerra il fine giustifica i mezzi e tanto meno giustifica le cluster bomb lanciate dagli eserciti russo e georgiano durante il conflitto scoppiato l’estate scorsa, armi di distruzione di massa rimaste inesplose sul terreno che stanno colpendo la popolazione civile in modo irreversibile. La denuncia arriva da Human Rigth Watch che durante il secondo congresso sulle armi convenzionali, in particolare sulla parte riguardante il Protocollo V sui residui esplosivi di guerra, ha presentato dati allarmanti circa la costante minaccia a cui è sottoposta la popolazione civile. Fino ad ora sarebbero almeno 17 le vittime e decine le persone ferite da questo tipo di ordigni, numeri registrati da dall’organizzazione internazionale per i diritti umani che segue costantemente l’evolversi della crisi e che da ottobre sta ispezionando le zone colpite dal conflitto. L’uso delle cluster russe, quelle che hanno causato maggiori incidenti, è stato documentato in sei località, mentre quelle georgiane, bombe a grappolo di fabbricazione israeliana, sarebbero state rilevate in nove città e villaggi.

di mazzetta

Due anni fa le armate etiopi del dittatore Meles Zenawi invadevano la Somalia appena pacificata sotto il governo delle Corti Islamiche, il primo dopo quindici anni di vuoto assoluto di potere e di faide tra signori della guerra. Il pretesto etiope era l'impossibile attacco somalo all'Etiopia, potenza regionale, da parte degli stessi somali male in arnese e piegati da tre lustri di distruzioni continuate. La più classica “guerra preventiva” contro una minaccia inesistente, la brutta copia dell'invasione dell'Iraq. Ma allora ci fecero caso in pochi, anche se la Somalia è considerata il paese potenzialmente più ricco di petrolio del continente dopo il Sudan. La realtà è quella di un'invasione per procura americana e nessuno ha mai creduto realmente che in Somalia qualcuno abbia mai pensato a suicidarsi aggredendo il potente vicino.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Continua e si estende la ostpolitik vaticana nei confronti della Russia, mentre si evidenzia sempre più che i due “polmoni” d’Europa - Est ed Ovest - hanno davanti a se l’occasione di ricomporre la secolare frattura fra Occidente e Oriente cristiano. Prima il cardinale Dionigi Tettamanzi, poi l'arcivescovo di Napoli, cardinale Crescenzio Sepe (latore di un messaggio di Ratzinger ad Alessio II) quindi il cardinale francese André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza dei vescovi di Francia. Quest'ultimo é personaggio di spicco, esperto negoziatore. Tutte nuove tappe nelle relazioni tra Chiesa ortodossa russa e Chiesa cattolica. Sembra quindi superata la crisi intercorsa a motivo della riorganizzazione delle strutture ecclesiastiche cattoliche in Russia, nei primi mesi del 2002, che segnò il punto più alto delle tensioni che avevano caratterizzato tutti gli anni Novanta e che erano andati a condensarsi attorno a due questioni: la presenza di strutture ecclesiastiche cattoliche nei territori ex sovietici, soprattutto nella Federazione Russa, con la conseguente accusa da parte ortodossa di proselitismo, e la rinascita della Chiesa greco-cattolica ucraina.

di Fabrizio Casari

Le elezioni amministrative in Nicaragua hanno prodotto una schiacciante vittoria del Frente Sandinista de Liberaciòn Nacional. Il risultato elettorale, in qualche modo prevedibile data l’inversione di tendenza netta del governo sandinista dai precedenti governi ultraliberisti, tanto in termini di politiche sociali come di collocazione internazionale del paese, conferma - anzi aumenta - la già rimarchevole presenza sandinista al governo nella maggioranza delle amministrazioni locali. Erano 146 i municipi chiamati al voto e, secondo i dati forniti dal CSE, in 101 hanno vinto i sandinisti, oltre ad essersi aggiudicati 11 su 17 capoluoghi di provincia. La capitale, Managua, e tutte le più popolose città del paese, sono ora governate dal Fsln. Quella sandinista é una vittoria che sembra premiare i due anni di attività del governo guidato da Daniel Ortega. Il candidato dell’estrema destra, Eduardo Montealegre, ex funzionario somozista e candidato sconfitto alle presidenziali di due anni orsono, si é però rifiutato di riconoscere la sconfitta ed ha invitato i suoi squadristi ad invadere le strade. Il Consiglio Supremo Elettorale, unica autorità istituzionale ad aver titolo per dichiarare i risultati ufficiali, ha assegnato la vittoria al partito rojojnegro respingendo reiteratamente le accuse di brogli che l’opposizione liberale filo-statunitense denunciava già da diversi mesi prima del voto.


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