di Carlo Benedetti

Con la morte dell’ottantenne Patriarca ortodosso, Aleksei II, si annuncia a Mosca un radicale cambiamento politico-religioso. Questa è almeno la speranza che viene avanti in molti ambienti della chiesa locale e nelle alte sfere della diplomazia del Cremlino. Perché la scomparsa del religioso (il nome reale era Aleksei Ridgher, nato in Estonia, a Tallin, il 23 febbraio 1929) apre un capitolo nuovo quanto a relazioni interne nella Russia, nel campo della chiesa ortodossa e, soprattutto, nei rapporti con la Chiesa di Roma. Intanto, mentre gli alti prelati (abituati alla politica del “niet” che accomunò il ministro sovietico Gromyko al religioso Ridgher) si affrettano ad eleggere un “reggente”, comincia il giro delle illazioni e delle previsioni sul futuro della gestione dell’intero Patriarcato. La questione - dal punto di vista della geopolitica russa - è complicata, proprio perché la direzione di Ridgher, quanto a rapporti con l’altra grande chiesa (quella di Roma), era stata conflittuale ed anche caratterizzata da forti differenze.

di Ilvio Pannullo

La gravità della crisi in cui versa il settore automobilistico americano è sintetizzabile nei volti di Rick Wagoner, Alan Mulally e Bob Nardelli. Le espressioni che si leggono sulle facce degli amministratori delegati delle “Big Three” di Detroit General Motors, Ford e Chrysler, non hanno bisogno di commenti. Costretti a recarsi in pellegrinaggio al Congresso, per metà come imputati della crisi e per metà come questuanti alla ricerca di aiuti, hanno dichiarato che senza soccorsi rapidi è in gioco la stessa sopravvivenza delle loro rispettive corporations. La profondità del collasso è misurata dallo sprofondare delle vendite, cadute ai minimi da 25 anni con una flessione-simbolo del 32% in ottobre, la dodicesima consecutiva, a 836.156 veicoli, pari a vendite su base annuale inferiori ai 10,6 milioni rispetto ai 16 del 2007: il mese più nero dalla fine della seconda guerra mondiale. Solo nei primi dieci mesi del 2008 il declino è stato del 15 per cento. E novembre e dicembre, secondo gli analisti, potrebbero chiudere ancora peggio.

di Carlo Benedetti

Ora non ci sono più dubbi: a Mosca è regime. Perché quegli emendamenti alla Costituzione russa decisi con un colpo autoritario dal presidente Dmitri Medvedev aprono una pagina “nuova” nella vita del Paese. Per alcuni fedeli del capitalismo selvaggio sono solo alcuni punti interrogativi sul futuro del Paese, ma la realtà è ben chiara. Il duo Putin-Medvedev ha scoperto le carte di un gioco di corte attuato con l’assenso dei boiardi. Si prepara infatti - a quanto sembra - il ritorno al Cremlino di Vladimir Putin fra tre anni. E questo vorrà dire che quella fetta di servizi deviati del vecchio Kgb avrà ancora una volta vinto la partita ottenendo, con un colpo solo, il pieno controllo del potere. Non ci sarà più differenza (ammesso che ci sia stata…) tra il vecchio palazzo della Lubjanka e l’austero Cremlino. Ci si avvia, infatti, all’attuazione di una serie di modifiche istituzionali racchiuse in tre punti chiave: in primo luogo il prolungamento del mandato presidenziale da quattro a sei anni e di quello dei deputati da cinque a sei, quindi a un maggiore controllo del Parlamento sul Governo.

di Eugenio Roscini Vitali

E’ passato un anno dalla conferenza di Annapolis, il negoziato di pace che, secondo il presidente americano George W. Bush, avrebbe dovuto mettere fine alla crisi israelo-palestinese e dare stabilità ai delicati equilibri mediorientali. In realtà l’impegno preso dal premier israeliano Ehud Olmert e dal presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen) non si è dimostrato altro che un tenue soffio di speranza, l’ennesima illusione di pace che si è scontrata con la realtà di tutti i giorni, quella che il popolo palestinese vive ora dopo ora a Gerusalemme est, Betlemme, Ramallah, Hebron, Nablus, Jericho, Jenin, Gaza… Di quanto inutile sia stata la conferenza di Annapolis ne parla il segretario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, Mustafa Barghouthi, che in un articolo pubblicato dall’agenzia di stampa Maan riassume la situazione con la fredda e disarmante razionalità dei numeri.

di mazzetta

Giunge la notizia che in Croazia sia stato arrestato l'autore di un gruppo intitolato “Scommettiamo che trovo cinquemila persona che odiano il primo ministro?”. A suo carico le autorità hanno prima millantato il possesso di materiale nazifascista, per ripiegare poi sull'accusa non meno pesante di possesso di materiale pedopornografico, dopo averlo rilasciato per l'inconsistenza della prima accusa. La scommessa nel titolo è stata vinta dall'autore, che però potrebbe ritrovarsi a perdere la partita se le accuse saranno confermate. Niksa Klecak, questo il nome dell'arrestato, non è stato affatto originale, ma ha scontato anche le colpe di altri utenti croati di Facebook che hanno fatto di tutto per irritare il governo. Come racconta Ana Peraica su Nettime, sulle pagine croate del popolare social-network campeggiano già due enormi gruppi di oppositori del ministro, che hanno ormai sessanta e ottantamila iscritti, un numero davvero notevole se si considera che gli utenti croati di FB sono quattrocentomila, numero che solo nell'ultimo mese è aumentato del 15% grazie al traino dei due gruppi. Su quattro milioni e mezzo di abitanti è decisamente un numero rilevantissimo.


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