di Eugenio Roscini Vitali

E’ difficile prevedere quanto durerà e come andrà a finire, ma la crisi economica e strutturale che sta colpendo il sistema produttivo italiano sarà certo più lunga di quanto i maghi della finanza e il governo vogliono farci credere. Una crisi di cui si sono già visti gli effetti finanziari, che attacca l’economia reale e i consumi e che si sta espandendo al sistema industriale. Il cambiamento è palpabile, si legge negli occhi dei precari, degli operai, degli impiegati, degli studenti, di chi ha perso la speranza di trovare un lavoro e di chi ha paura di perderlo; di quei 7 milioni e 542 mila italiani che costituiscono la parte più povera del paese e di chi povero potrebbe diventarci domani. Si vede nei fatti di tutti i giorni, nella disperazione di una ragazza incinta, una precaria, incensurata e con un lavoro part time, che a Milano non può neanche permettersi di comprare la carne una volta al mese e che viene fermata in un supermercato mentre tenta di uscire con tre confezioni di spezzatino sotto al giubbotto.

di Carlo Benedetti


MOSCA. In Russia li chiamano rusiny. Sono gli ultimi appartenenti ad un gruppo etnico ucraino. Vivono in diecimila nell’occidente delle terre subcarpatiche conosciute come Galizia e Bucovina che sono le provincie orientali di quella Slovacchia che dopo la Seconda guerra mondiale venne annessa all’Urss col nome di Transcarpatia e che è, oggi, una provincia dell’Ucraina. Sentiremo ora sempre più parlare di questi rusiny che, di fatto, abitano la regione che noi conosciamo come Rutenia che era il nome della Russia nel medioevo, adottato poi dalla monarchia austro-ungarica per designare il proprio territorio carpatico. Perchè è qui, nel cuore di un’Ucraina che guarda all’Ovest, che prende avvio un movimento che tende all’autonomia e che potrebbe creare seri problemi alla dirigenza di Kiev e a paesi come la confinante Polonia. Eccoli, quindi, i ruteni-rusiny. Fratelli di razza e di lingua degli ucraini della Galizia e della Bucovina e anche degli ucraini russi, che vivevano per la maggior parte nelle regioni montagnose del nord-est slovacco dell'Ungheria. E che prima di riconoscersi come ucraini, si diedero il nome di Rusiny.

di Luca Mazzucato

NEW YORK. La prima conferenza stampa di Barack Obama come presidente eletto è stata un enorme sollievo per la maggior parte degli americani, anche solo per il semplice fatto di non vedere Dick Cheney in seconda fila dietro il presidente, né fare capolino tra i drappeggi delle tende. Insomma, “in America il cambiamento è arrivato.” Obama ha riassunto con chiarezza i capisaldi del suo programma per i primi cento giorni, tutti centrati sull'economia: uscire dalla crisi del credito, aiutare le famiglie in difficoltà e stimolare la creazione di posti di lavoro con il taglio delle tasse per la classe media. Vediamo di cosa si tratta e quali sono le prime nomine della futura amministrazione democratica. Conan O'Brien su NBC ha riassunto egregiamente la situazione del paese: “Il presidente eletto ha detto che l'America avrà successo se riusciremo a superare settarismo e interessi di parte. In altre parole, siamo spacciati.” La diagnosi per l'economia americana è molto grave: per il decimo mese consecutivo la disoccupazione continua ad aumentare, un milione duecentomila posti di lavoro sono stati persi nell'ultimo anno.

di Giuseppe Zaccagni

Con Obama nuovo inquilino della Casa Bianca, negli Usa si pensa già ad una sorta di “check up” dell’economia, nel tentativo disperato di sapere in anticipo cosa andrà peggio nel prossimo futuro nel campo della finanza internazionale. L’appuntamento è a Washington per il prossimo 15 novembre. Qui le onoranze funebri per il grande capitale internazionale saranno celebrate dall’(ex ormai) presidente George Bush che, nonostante la scadenza del suo mandato alla Casa Bianca, incontrerà Capi di stato e di governo. Ci saranno i Paesi del G-20 (Argentina, Australia, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea del Sud, Messico, Russia, Arabia Saudita, Sudafrica, Turchia, Regno Unito, Stati Uniti e Unione Europea), i responsabili del Fondo monetario internazionale, della Banca Mondiale, il segretario generale dell'Onu e il Presidente del Forum di Stabilità Finanziaria.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Per il duce Michail Saakashvili - uomo degli americani della Cia e del Pentagono e degli israeliani del Mossad - arriva il giorno del giudizio. E tutto è ora nelle mani di una signora georgiana che risponde al nome di Ninò Burdzanadze. E’ lei che sta organizzando la protesta contro il presidente di Tbilissi e presentando il conto ad un regime che ha portato la Georgia nel baratro della guerra lasciando sul campo morti e distruzioni (oltre alla perdita di una bella fetta di territorio e di popolazione). Ecco quindi sulla scena del Caucaso l’intrepida Ninò. Sguardo penetrante, viso tipicamente georgiano, bella ed austera. Un leader che si sta sempre più imponendo nell’arena dell’ex Unione Sovietica mentre le diplomazie locali - da Tbilisi a Mosca - si trovano a fare i conti con il cambiamento avvenuto oltreoceano.


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