di Michele Paris

A quasi due mesi di distanza dall’ultimo grande successo in una delle primarie in corso per la nomination democratica (1 marzo in Mississippi con un margine di 24 punti percentuali), Barack Obama torna a conquistare uno Stato prevalendo in North Carolina con il 56% delle preferenze contro il 42% della sua rivale. Una vittoria limpida quella del Senatore dell’Illinois che, assieme al quasi pareggio dell’Indiana (49% a 51%), gli permette di consolidare il suo vantaggio su Hillary Clinton sia nel bilancio dei delegati conquistati, sia per quanto riguarda il voto popolare, nonché di guardare con una certa fiducia ai rimanenti appuntamenti in calendario fino ai primi di giugno vedendo aumentare anche le proprie chances di unificare il Partito Democratico intorno alla sua candidatura dopo le polemiche delle ultime settimane. Per l’ex First Lady, sulla quale verosimilmente nei prossimi giorni aumenteranno le pressioni per un ritiro dalla competizione, non è arrivata invece quella vittoria travolgente che auspicava in Indiana sulla scia delle precedenti affermazioni in Ohio e in Pennsylvania, né il margine in North Carolina è stato ridotto in maniera significativa nonostante il potente dispiegamento di mezzi messo in campo dal suo staff.

di Carlo Benedetti

Arriva il cambio della guardia. Tutto come previsto dai signori del Cremlino. Vladimir Putin lascia la presidenza e passa il testimone a Dimitry Medvedev. Ed è la cerimonia del 7 maggio che sancisce l’inizio del nuovo periodo istituzionale. Ma Putin non esce di scena, perché si fa subito incoronare primo ministro. E così, in pratica, siede su due poltrone, perché si sa che il delfino Medvedev ha già accettato di essere un presidente dimezzato. L’era di Putin, quindi, continua. E potrebbe continuare alla grande perché a Mosca c’è chi sostiene che, in futuro, ci potrebbe anche essere un ritorno di Putin tra le mura del Cremlino. E, ovviamente, sulla poltrona che ha già occupato. Intanto l’astuto ex presidente ha provveduto a mettere alcuni paletti sul suo campo d’azione. Ha fatto approvare leggi e regolamenti che sanciscono il controllo del capo del governo sull’apparato economico e burocratico dello Stato, riuscendo a limitare non poco il potere presidenziale.

di Saverio Monno

A sentire i fori economici internazionali le cose vanno a meraviglia in Egitto. Lo scorso ottobre, il Fondo Monetario Internazionale presentava una relazione che esaltava i fasti di un sistema economico in mirabile fermento. Un tasso di crescita del 7,1%, una diminuzione della disoccupazione di 9 punti percentuali, investimenti esteri per circa 11 miliardi di dollari. Questi alcuni numeri dello straordinario “boom” egiziano. Le cause dell’exploit risiederebbero, secondo la relazione dell’FMI, nel grande dinamismo di un settore privato, assistito dalle “premure” del presidente Hosni Mubarak. Il dittatore egiziano, infatti, ha avviato, ormai da qualche tempo, la privatizzazione di alcune importanti imprese pubbliche, comprese banche e terreni.

di Michele Paris

Spesso criticato da avversari e compagni di Partito per la sua scarsa capacità di comprendere i meccanismi dell’economia nazionale e globale, il candidato repubblicano alla Casa Bianca John McCain sta finalmente chiarendo da qualche giorno a questa parte le proposte che, in caso di elezione, la sua amministrazione metterà in atto per venire incontro ad una allarmante recessione che, con ogni probabilità, deve ancora produrre i propri effetti più dirompenti. Se però sono gli americani delle classi medio-basse a vivere quotidianamente le angustie determinate dalla crisi dei mutui, dalla scomparsa dei posti di lavoro e da un crescente costo della vita, le ricette proposte dal Senatore dell’Arizona non sembrano discostarsi troppo dalla politica di George W. Bush, basata in gran parte sul taglio delle tasse per le grandi aziende e per i redditi più alti. Una posizione questa che suona come un cambio di rotta per McCain dopo che negli anni passati si era tenacemente opposto alla politica fiscale del Presidente uscente.

di Carlo Benedetti

Putin non dimentica il suo protettore Eltsin. E Medvedev, uomo di Putin, si accoda. E tutti e due decidono di rendere omaggio - in occasione del primo anniversario della morte - al “Primo presidente della Russia” che si distinse per aver ordinato il cannoneggiamento del Parlamento e la conseguente distruzione dell’Urss. La storia, ovviamente, va avanti. Ma i conti con il passato vanno pur sempre saldati. E così il Cremlino fa costruire un monumento a Eltsin che è inaugurato con tutti gli onori - politici e militari - nel cimitero di Novodievici (quello delle “Vergini”) accanto alle tombe di uomini di ben altro calibro come Cechov e Krusciov. Alla cerimonia inaugurale si sono ritrovati Putin (“presidente funzionante”, così è definito nel linguaggio burocratico del vertice russo che attende la fine ufficiale del mandato) e Medvedev (“presidente eletto” secondo la definizione del Cremlino). Ma accanto ai due - come previsto nel cerimoniale della presidenza - si sono allineati il Patriarca di tutte le Russie Alexei II e i famigliari del defunto, la vedova Naina, le figlie Tatjana (che curava l’immagine del padre e che non disprezzava gli affari di famiglia) ed Elena accompagnata dal marito Valerij Okulov, un personaggio che in questi giorni è al centro dell’attenzione del mondo dei grandi affari. E’ lui, infatti, il direttore generale della compagnia aerea “Aeroflot”. Sistemato da Eltsin ed ora sponsorizzato dal duo Putin-Medvedev nella corsa verso l’Alitalia.


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