di Bianca Cerri

Il 27 ottobre del 2006, in un canale di scarico che costeggia una ferrovia abbandonata alla periferia di Atlantic City, la polizia trovò i corpi senza vita di quattro donne. L’assassino o gli assassini le avevano gettate nell’acqua melmosa probabilmente dopo averle uccise altrove, un particolare facilmente deducibile dai piedi scalzi delle vittime. Il luogo del ritrovamento è conosciuto come Black Hawk Pike e di giorno somiglia ad una città-fantasma mentre di notte si trasforma in una landa desolata dove solo le prostitute anziane e le tossicomani pronte a vendere il loro corpo per una dose osano avventurarsi. Passeggiano lungo i bordi della strada con una bomboletta lacrimogena da autodifesa nella borsa perché gli scippi e le aggressioni fanno parte della routine e generano una paura dilagante. Nessuno si sognerebbe mai di ambientare un film come Pretty Woman sulla Black Hawk Pike, dove la prostituzione rivela il suo volto più brutale.

di Michele Paris

Le elezioni presidenziali americane sono regolate dal secondo articolo della Costituzione e si fondano sul concetto di “Collegio Elettorale”. Esso consiste in una delegazione di 538 rappresentanti eletti direttamente dai cittadini in ognuno dei 50 stati degli USA e nel District of Columbia, i quali a loro volta, pur essendo teoricamente liberi di votare per un qualsiasi candidato alla presidenza del paese, si esprimono in accordo alla decisione presa dagli elettori. Il candidato che riceve la maggioranza dei voti elettorali (270) viene così eletto presidente degli Stati Uniti. Ogni singolo stato assegna un certo numero di voti elettorali in relazione al numero di propri parlamentari presenti al Congresso, attribuzione a sua volta determinata in base al numero di abitanti. In seguito alla ratifica del 23esimo emendamento nel 1961, anche al District of Columbia – il distretto federale che ospita la capitale Washington – sono stati garantiti 3 voti elettorali, pari al numero di quelli assegnati dagli stati meno popolosi.

di Alessandro Iacuelli

Tra i paesi non aderenti al Protocollo di Kyoto figurano gli USA, cioè quel Paese che da solo è responsabile del 36,2% del totale delle emissioni. Eppure, l'11 dicembre 1997, alla fine della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, tenuta nella città giapponese, il presidente Bill Clinton aveva firmato il Protocollo ed aveva poi confermato l'adesione durante gli ultimi mesi del suo mandato. George W. Bush, poco tempo dopo il suo insediamento alla Casa Bianca, come uno dei primi atti della sua amministrazione, ritirò l'adesione inizialmente sottoscritta. Erano gli anni di una delle più famose frasi negativamente celebri di Bush: "Lo stile di vita non è negoziabile". La scusa addotta dall'Amministrazione Bush fu il ritenere non provata la relazione tra emissioni di CO2 e riscaldamento globale; in seguito da Washington hanno aggiustato il tiro, dichiarando come motivazione la perdita di competitività dovuta ai costi necessari per ridurre le emissioni di anidride carbonica rispetto a Cina ed India, che invece non sono obbligate dal protocollo a limitare le proprie emissioni in quanto Paesi Emergenti.

di Bianca Cerri

Nessuno ha il diritto di rallegrarsi per l’arresto di una persona ma se mai è esistito un uomo che meritava di conoscere quello che la detenzione riesce a fare alla mente e all’anima di un essere umano questi è Jon Burge, ex-capo della polizia di Chicago per oltre un ventennio, arrestato in Florida il 21 ottobre scorso. Per il momento Burge, che aveva accolto l’arrivo degli agenti con la consueta arroganza, è riuscito ad ottenere i domiciliari contro una cauzione di 250.000 dollari ma le autorità gli hanno ritirato il passaporto. L’11 maggio del 2009 verrà processato per aver autorizzato l’uso della tortura durante gli interrogatori e ostruito il corso della giustizia dichiarando il falso sotto giuramento davanti al gran giurì. Rischia dai nove ai quaranta anni di carcere.

di Saverio Monno

Ogni quattro anni la corsa alla presidenza degli Stati Uniti ripropone, pedante, un copione che, dai tempi della dichiarazione d’Indipendenza ad oggi, non ha subito sostanziali modifiche. “Una sceneggiatura in quattro atti e due protagonisti”, questo l’elemento distintivo di un sistema elettorale reso complesso, non tanto dalla forma federale dello Stato, quanto da una visione segnatamente aristocratica della democrazia, com’era nello spirito dei padri costituenti alla fine del ‘700. L’elezione del presidente costituisce il momento più importante nella vita politica statunitense: l’Inquilino della Casa Bianca infatti, ricopre sia la funzione di Capo dello Stato, sia quella di Presidente del Consiglio dei Ministri e rappresenta, dunque, l’espressione più compiuta del potere esecutivo. Ma a dispetto delle rilevanti prerogative ad esso riservate, la procedura che conduce alla nomina della carica più prestigiosa dell’ordinamento statale, è soggetta ad un sistema elettorale indiretto, che non garantisce l’effettivo esercizio del diritto di voto.


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