di Fabrizio Casari

Le elezioni amministrative in Nicaragua hanno prodotto una schiacciante vittoria del Frente Sandinista de Liberaciòn Nacional. Il risultato elettorale, in qualche modo prevedibile data l’inversione di tendenza netta del governo sandinista dai precedenti governi ultraliberisti, tanto in termini di politiche sociali come di collocazione internazionale del paese, conferma - anzi aumenta - la già rimarchevole presenza sandinista al governo nella maggioranza delle amministrazioni locali. Erano 146 i municipi chiamati al voto e, secondo i dati forniti dal CSE, in 101 hanno vinto i sandinisti, oltre ad essersi aggiudicati 11 su 17 capoluoghi di provincia. La capitale, Managua, e tutte le più popolose città del paese, sono ora governate dal Fsln. Quella sandinista é una vittoria che sembra premiare i due anni di attività del governo guidato da Daniel Ortega. Il candidato dell’estrema destra, Eduardo Montealegre, ex funzionario somozista e candidato sconfitto alle presidenziali di due anni orsono, si é però rifiutato di riconoscere la sconfitta ed ha invitato i suoi squadristi ad invadere le strade. Il Consiglio Supremo Elettorale, unica autorità istituzionale ad aver titolo per dichiarare i risultati ufficiali, ha assegnato la vittoria al partito rojojnegro respingendo reiteratamente le accuse di brogli che l’opposizione liberale filo-statunitense denunciava già da diversi mesi prima del voto.

di Carlo Benedetti

Non è certo un ritorno a Bretton Woods, a quella conferenza che si tenne dal 1 al 22 luglio del 1944 nella piccola cittadina statunitense del New Hampshire (dove si stabilirono regole e linee fondanti per le relazioni commerciali e finanziarie tra i principali paesi industrializzati del mondo), ma è certo che ora, a Washington, dove i leader del G20 (un club di Paesi che insieme determinano l'82 per cento dell'economia mondiale e oltre il 60 per cento della popolazione del pianeta) si sono riuniti per ricercare quella cosiddetta “via d’uscita” da una crisi violenta - vero tsunami generale - si scopre che l’avventura non è finita pur se si notano all’orizzonte alcuni progressi. Washington, quindi, come sede di nuovi mercanteggiamenti e di nuove fasi di studio?

di Eugenio Roscini Vitali

Secondo Teheran è colpa del prezzo del petrolio, passato dai 147 dollari al barile di luglio ai 64 dollari di fine ottobre. Sta di fatto che in Iran si iniziano a vedere i primi segni di stretta creditizia, difficoltà che si aggiungono allo stato di malessere che attraversa il mondo politico ed istituzionale e che dipendono solo marginalmente dalla crisi economica mondiale. Riserve per 175 miliardi di dollari e una grande voglia di spendere si scontrano infatti con una paurosa crescita dell’inflazione e una forte svalutazione del rial, la moneta iraniana. Il quotidiano Kargozaran denuncia che l’aumento dei prezzi è un fatto del tutto irrazionale e in un articolo pubblicato il 29 settembre scorso parla di un’impennata del costo della vita pari a circa il cinquanta per cento, valore registrato in un solo mese su un paniere di 45 prodotti alimentari.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Ora ha 82 anni. Si chiama Lana Peters e vive da oltre trenta anni negli Usa, in una casa per anziani abbandonati dalle famiglie. Ma lei è pur sempre un personaggio. Perchè il suo vero nome è Svetlana Alleluieva, figlia di Josif Vissarionovic Stalin. Ora, dopo aver dato alle stampe un libro di ricordi intitolato "Venti lettere a un amico" - una potente requisitoria contro il sistema comunista e best-seller delle vendite negli Stati Uniti - decide di comparire in tv, rompere un lungo silenzio e parlare, con l’aiuto della regista Irina Ghedrovic, al grande pubblico russo: a quanti la ricordano e a quanti non hanno mai conosciuto la sua storia. E il successo è notevole. I telespettatori di tutta la Russia si concentrano sul primo programma nazionale dove si trasmettono le due puntate di “Svetlana”, la figlia di Stalin. Si scoprono particolari inediti della vita privata e l’immagine che viene fuori è quella di una anziana che vive di ricordi mantenendo acceso uno spirito combattivo. Dice: “Si, so che lo chiamavano Stalin e che era mio padre... Ma con lui ho sempre avuto un rapporto difficile, anzi difficilissimo”.

di Eugenio Roscini Vitali

E’ difficile prevedere quanto durerà e come andrà a finire, ma la crisi economica e strutturale che sta colpendo il sistema produttivo italiano sarà certo più lunga di quanto i maghi della finanza e il governo vogliono farci credere. Una crisi di cui si sono già visti gli effetti finanziari, che attacca l’economia reale e i consumi e che si sta espandendo al sistema industriale. Il cambiamento è palpabile, si legge negli occhi dei precari, degli operai, degli impiegati, degli studenti, di chi ha perso la speranza di trovare un lavoro e di chi ha paura di perderlo; di quei 7 milioni e 542 mila italiani che costituiscono la parte più povera del paese e di chi povero potrebbe diventarci domani. Si vede nei fatti di tutti i giorni, nella disperazione di una ragazza incinta, una precaria, incensurata e con un lavoro part time, che a Milano non può neanche permettersi di comprare la carne una volta al mese e che viene fermata in un supermercato mentre tenta di uscire con tre confezioni di spezzatino sotto al giubbotto.


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