di Agnese Licata

Una gran victoria”. Così, l’ha definita il segretario del Partito socialista spagnolo, José Blanco. 169 seggi contro i 153 dei popolari: 16 deputati in più, come nella legislatura conclusasi con le elezioni di ieri. Una vittoria praticamente certa fin dall’inizio della campagna elettorale, anche di fronte a una situazione economica non più particolarmente rosea. Eppure, una vittoria che il Psoe di José Luis Rodríguez Zapatero ha avuto paura di vedersi sfuggire all’ultimo momento, alla stessa velocità con cui nel 2004, tre giorni dopo l’attentato di Madrid, gli elettori spagnoli avevano deciso di strappare la guida del proprio Paese al popolare José María Aznar per assegnarla proprio a Zapatero. Perché quando un gruppo terroristico come l’Eta torna ad uccidere, non c’è sondaggio capace di prevedere le scelte di voto. Soprattutto se il partito al governo è accusato di aver usato poca fermezza contro lo stesso gruppo armato.

di Luca Mazzucato

La scena riporta alla memoria quel terribile periodo della Seconda Intifada in cui ogni settimana a Gerusalemme saltavano in aria autobus carichi di gente. Decine di ambulanze fanno la spola tra l'ospedale e la yeshiva Mercaz Harav di Gerusalemme Ovest: un uomo armato di mitragliatrice è riuscito ad entrare nella biblioteca facendo fuoco sulla folla di studenti religiosi, uccidendone nove e ferendone una dozzina, finché uno studente armato ha ingaggiato l'assalitore in una sparatoria, uccidendolo dopo pochi minuti. Si tratta dell'attentato più grave dal 2004, che colpisce la scuola religiosa simbolo del movimento sionista. Ora la strada dei falchi è tutta in discesa: l'unica opzione sul tavolo diventa la rioccupazione di Gaza, dove Hamas e la Jihad si preparano all'arrivo delle truppe israeliane. Segnali di una Terza Intifada alle porte trascinano l'intera regione ancora una volta nel circolo vizioso di attacchi e rappresaglie.

di Bianca Cerri

Baby Girl Voigt era una bambina americana nata morta nel 1969 a causa delle percosse inflitte dal padre alla madre durante la gravidanza. L’uomo fu processato e condannato per i danni arrecati alla moglie ma non per la morte della bambina. I giudici dell’epoca sostennero che a livello giuridico un feto non può essere considerato una persona a tutti gli effetti. Nel 1978, la Commissione Americana per i Diritti Umani ha ritenuto invece eticamente corretto tirare in ballo la sacralità della vita ponendo sullo stesso piano delle creature viventi gli esseri ancora in embrione. Si trattò però più che altro di un’indicazione morale, senza alcun elemento giuridicamente vincolante. Nel 2004, George Bush ha invece firmato una legge, nota come Unborn Victims of Violence Act (Legge a favore delle vittime della violenza prima della nascita ndr) per mettere definitivamente fine alla discriminazione nei confronti del feto. Detto altrimenti: tra vita pre e post natale non esistono più limiti temporali e chiunque compia un’azione risultante nella perdita di un feto viene automaticamente accusato di omicidio volontario.

di Agnese Licata

Di sorprese, alle elezioni politiche che la Spagna affronterà domenica prossima, non ne prevede praticamente nessuno. La vittoria di José Luis Rodríguez Zapatero e del “suo” Partito socialista appare scontata, guadagnata in quei quattro anni di riforme sociali ed economiche che hanno portato la Spagna a fare enormi passi avanti non solo per diritti civili, ma anche per tutele sociali e crescita economica. Difficile immaginare che dalle urne possa uscire un risultato inatteso quanto quello che nel 2004, tre giorni dopo l’attentato di Madrid, decretò la sconfitta del premier uscente José María Aznar. Anche il duello televisivo di lunedì scorso – l’ultimo della campagna elettorale – e i sondaggi successivi non hanno fatto altro che confermare la distanza tra Zapatero e lo sfidante del Partido popular, Mariano Rajoy. Un dubbio però c’è, ed è rappresentato dal margine di vantaggio che gli elettori spagnoli sceglieranno di assegnare ai socialisti. Percentuale che i vari sondaggi faticano a prevedere in modo unanime: 5, 10, addirittura 20 per cento.

di Giuseppe Zaccagni

Si annunciano tempi duri per Sarajevo. Perché dall’Europa di Bruxelles arrivano, firmate dal commissario all’Allargamento Olli Rehn, forti sollecitazioni per accelerare l’ “Accordo di stabilizzazione e associazione” (Asa) con l’Ue e per decidere, di conseguenza, se prolungare o meno il mandato dell'Alto rappresentante speciale, lo slovacco Miroslav Lajcak (che ha la facoltà di legiferare o destituire funzionari pubblici). Ma sulla Bosnia-Erzegovina soffia anche il vento della rivolta che arriva da Pristina. E c’è il pericolo che l’effetto domino si faccia sentire da queste parti. E tutto questo senza tener conto che la questione bosniaca è stata vista dall’occidente sempre e solo come un problema di unità militari da sciogliere ed eliminare. Si è così data pochissima importanza alle pesanti differenze culturali e religiose reputate insignificanti. Tanto da permettere tranquilli anni di lavoro ad intere equipe di agitatori e missionari di vario stampo. E di conseguenza si è arrivati, a poco a poco, all’apparizione di nuove forme di gestione politica cariche di conseguenze sempre più gravi per l’identità e la stabilità nazionale.


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