di Mazzetta


La Nigeria è indubbiamente un paese complesso e ricco nel quale gli abitanti non se la passano molto bene. Il suo presidente Olusegun Obasanjo sta cercando di ottenere la possibilità di farsi rieleggere a dispetto della costituzione, ma incontra grandi difficoltà. Il suo maggiore avversario è quello che fino a ieri era il suo miglior alleato, il vice-presidente Atiku Abubakar che si è opposto alla modifica della legge in quanto aspira lui stesso alla carica presidenziale. I due sono filati d’amore e d’accordo per anni, almeno apparentemente, poiché il loro rapporto era fondato sul principio dell’una mano che lava l’altra, o chuachua in lingua nigeriana. Non per niente la Nigeria è da anni in testa alla classifica dei paesi più corrotti. Un do ut des grazie al quale i due giganti della politica nigeriana hanno spartito tra i propri sostenitori (le due grandi borghesie nigeriane, quella dei proprietari terrieri e quella degli uomini d’affari) le immense risorse del paese, lasciando ben poco agli altri.Ora che la resa dei conti si avvicina e che sale la tensione, Obasanjo non ha trovato di meglio che cercare di trascinare Abubakar in galera con il pretesto di una delle tante malversazioni, innescando un loop di azioni e reazioni che difficilmente andrà beneficio del paese.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Le indagini sull’assassinio della giornalista Anna Politkovskaja, avvenuto a Mosca nell’ottobre dello scorso anno, pur se in alto mare registrano ora diverse versioni e tutte cariche di drammatiche rivelazioni. Si torna a parlare, in primo luogo, della pista cecena, riferendosi al fatto che l’allora premier di Grozny, Ramzan Kadyrov, aveva dichiarato apertamente di essere un “nemico” della giornalista di Mosca. La Politkovskaja, ricordiamolo, stava indagando sulla corruzione del potere filorusso della Cecenia e sulle torture effettuate dai soldati russi contro la popolazione caucasica. Ma nel suo taccuino c’erano anche dati precisi sul traffico delle armi e sui rapporti “commerciali” tra la guerriglia cecena e le truppe d’occupazione.Altra pista che si segue in questo periodo è quella relativa al ruolo che avrebbero avuto i servizi segreti del Cremlino. Il quotidiano dove la Politkovskaja scriveva – Novaja gazeta - fa notare in proposito che va messa nel conto anche la tesi di un assassinio su commissione. Segue la versione che affronta il tema delle forze nazionaliste.

di Raffaele Matteotti

Il primo gennaio 2007 l’Unione Europea si è fatta un po’ più grande ed ha accolto Bulgaria e Romania, ma soprattutto i suoi abitanti, nella grande famiglia europea. L’avvenimento è stato festeggiato alla grande nei due paesi, gli abitanti dei quali si sentono di aver raggiunto uno status che fino a ieri era stato loro negato, quello di europei con gli stessi diritti di tutti gli altri europei. Al di là della retorica, per bulgari e rumeni l’accoglimento dei loro paesi nella UE significa soprattutto la fine di un apartheid cominciato alla fine della seconda guerra mondiale, quando i due paesi, insieme ad altri, si ritrovarono dalla parte più sfortunata della Cortina di Ferro. L’ingresso nella UE significa ovviamente altro, prima fra tutte la possibilità di un sostanziale miglioramento del tenore di vita e l’apertura delle ostili frontiere che fino a ieri significavano, per i cittadini di questi paesi, l’essere considerati europei di serie B.

di Giuseppe Zaccagni

Il Cremlino incassa ma non tace. E così commenta: “Come volevasi dimostrare”. Tutto questo in relazione al fatto che l’Alleanza Atlantica, dopo aver scatenato la guerra contro la Jugoslavia, apre - a sette anni da quei tragici eventi - un suo “Ufficio permanente” a Belgrado. Sceglie come sede un intero piano del ministero della Difesa. Entra cioè nel cuore del sistema “difensivo” della Serbia. E compie questo gesto anche in modo simbolico. Perchè furono proprio gli aerei della Nato che nei raid del 1999 ridussero in polvere l’edificio della Difesa jugoslava.E così questo nuovo inquilino - entrato nel Paese a colpi di bombe provocando morte e distruzione - si appresta ora a dettare anche le regole per il futuro. Lo fa con una cerimonia ufficiale (presenti il ministro della difesa serbo, Zoran Stankovic e il vicesegretario generale della Nato, l'italiano Alessandro Minuto Rizzo) nel corso della quale torna a ribadire la necessità di una adesione della “nuova Serbia” ai programmi di partnership for peace. Primo passo - precisano i nuovi padroni dell’Alleanza - sul cammino di una adesione totale che, comunque, è stata già formalizzata.

di Mazzetta

La situazione in Somalia è ormai chiara, ma purtroppo l’evidenza descrive ancora una volta il fallimento della politica statunitense e dei suoi occasionali alleati. L’offensiva etiope si è risolta in una facile vittoria, le Corti Islamiche hanno rinunciato a dare battaglia e dopo i cruenti scontri intorno a Baidoa l’esercito etiope controlla ora il paese, compresa la città di Kisimayo, segnalata come “roccaforte” degli islamici, che invece sono evaporati all’apparizione degli etiopi. Se le cose stessero come propagandato dal governo statunitense, quello etiope, i loro alleati somali e qualche commentatore troppo allineato a Washington, la Somalia saluterebbe oggi il 2007 finalmente liberata dai terribili talebani intravedendo la possibilità di risollevarsi dopo quindici anni senza un governo, vissuti nell’anarchia tribale e nella violenza. Purtroppo la situazione della Somalia è oggi molto peggiore di quanto non fosse una settimana fa, prima che l’Etiopia scatenasse la guerra di Natale che l’ha portata ad invadere l’indifeso vicino. Dalla menzogna non può nascere nulla di buono e che l’Etiopia sia stata costretta all’intervento perché era minacciata dall’UIC è una falsità mal costruita al punto da risultare controproducente.


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