di mazzetta

La tradizionale campagna militare primaverile si è aperta in anticipo in Afghanistan. Ogni anno, ormai da secoli, chi invade l’Afghanistan sa che con il disgelo riprendono le attività dei guerrieri afgani. che sia stato per effetto del “global warming” o per impazienza, l’anticipo dell’apertura della stagione bellica è stato una sorpresa solo per le NATO e per il comando americano. Mentre il segretario dell’alleanza atlantica De Joop dice che “spezzeremo le reni” agli afgani cattivi, i comandi americani chiedono più uomini e mezzi. Non per resistere, dicono loro, ma per sferrare una “offensiva” decisiva. La situazione nel paese è chiaramente giunta allo stallo e nessuna grande battaglia potrà risolvere l realtà sul campo. Da una parte ci sono le forze alleate che non possono essere cacciate, dall’altra c’è un’alleanza afgana allargata che non può essere spazzata via in campo aperto. In mezzo una popolazione per la quale la vita è sempre difficile e il panorama è sempre più punteggiato dai burka.

di Elena Ferrara

Reduce dalla tournee indiana alla testa di 400 imprenditori Prodi lancia una campagna per una maggiore presenza italiana nel continente “Cindia”. Parla di interdipendenza economica segnata dall’epoca della globalizzazione e, poi, sostiene che la vera alternativa alla quale rifarsi è quella del “multilateralismo”. Intendendo con questo termine una connotazione legalitaria nell’ambito del riconoscimento di una legittimità italiana. Quindi nessuno spazio a scelte “unilaterali”, ma sempre un’azione tesa a ricercare soluzioni “condivise”. Multilateralismo attivo, in sintesi. E Prodi ha insistito proprio su questi aspetti nei colloqui avuti in India con la dirigenza di quel paese ricordando che dopo il crollo del mondo bipolare, c’è stato anche chi si è creato l'idea di un mondo unipolare, dove i problemi si possono risolvere in un solo centro. Non è così – ha detto il premier italiano - perché sappiamo che aumentano le crisi e diminuisce la capacità di risolverle.

di Giuseppe Zaccagni

E’ un compromesso storico quello raggiunto a Pechino dopo giorni di trattative. Perché il governo nordcoreano di Pyongyang ha deciso di sospendere il suo programma nucleare in cambio di un milione di tonnellate di greggio l'anno a partire dal momento del blocco del suo reattore di Yongbyon (attualmente utilizzabile anche per scopi militari dal momento che è in grado di produrre uranio indispensabile per la costruzione di armi atomiche) e di ottenere, poi, due milioni di kilowatt di elettricità al suo definitivo smantellamento. Crisi salvata, quindi. Almeno per il momento, conoscendo le passate impennate del leader coreano Kim Jiong-Il. Comunque i negoziatori – Corea del Sud, Russia, Cina, Stati Uniti – lasciano soddisfatti la capitale cinese che è stata l’arena di un tour de force diplomatico che tendeva, sin dai primi passi, a convincere i nordisti a sospendere il loro programma atomico di carattere militare.

di Fabrizio Casari

Sull’l’Iran tornano a soffiare i venti di guerra. Vuoi per l’inconciliabilità delle posizioni tra Washington e Teheran, vuoi per le prese di posizioni europee che nella ricerca di una mediazione possibile si scontrano con il “no” pregiudiziale di Stati Uniti e Gran Bretagna, il timore di un attacco militare statunitense all’Iran torna di preoccupante attualità. Le pretese occidentali di proibire la messa a punto dei reattori nucleari iraniani, che Teheran assicura destinati solo ad usi civili, si fondano, all’apparenza, sul rischio che il regime teocratico possa assumere un ruolo di primo piano nello scacchiere atomico. D’altra parte, le posizioni politiche del Presidente Ahmadinejad, certo non aiutano a fidarsi delle assicurazioni circa la destinazione d’uso del plutonio.

di Carlo Benedetti

Negli Usa i funerali di stato sono fissati per ottobre. Ma la morte della famosa emittente anticomunista ed antisovietica è già stata annunciata: la Voice of America, che trasmetteva 24-ore-su-24 - dal 1947 - nelle lingue dei popoli dell’Urss (Golos Ameriki, in russo), sarà chiusa dopo aver servito fedelmente i suoi proprietari, il governo americano, la Cia e il Pentagono. E per par condicio cesseranno anche le analoghe emissioni che erano rivolte all’Ucraina, alla Georgia e all’Usbekistan, sempre nelle lingue locali. La Voice scomparirà così nell’etere - dopo averlo dominato per oltre 60 anni – perché Bush, convinto (oggi) dell’inutilità di un tale servizio radiofonico, ha deciso di concentrare gli sforzi propagandistici sull’area musulmana. E subito la “Voce” parlerà arabo e concentrerà la sua attività per diffondere la politica degli Usa in zone che oggi sono particolarmente al centro dell’attenzione militare della Casa Bianca e del Pentagono. Le onde americane arriveranno ora (oltre che nell’Iraq occupato) anche nel Medio Oriente, nell’Iran, Afghanistan e Pakistan per raggiungere anche quei musulmani che vivono in Europa.


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