di Bianca Cerri

Oltre ad uccidere milioni di persone e a devastare paesi interi, la guerra corrode mente ed anima di chi crede di combattere per una giusta causa. I traumi non derivanti da battaglia, come vengono definiti in gergo militare impediscono ai reduci di riprendere il controllo sulla propria esistenza spingendoli spesso a commettere atti irreparabili. I comandi militari minimizzano per paura di perdere consenso, ma qualcosa sta iniziando ad emergere grazie alle testimonianze di uomini e donne sconvolti dall'esperienza vissuta nell'esercito. Invasione dopo invasione, l'America ha visto i suoi soldati impazzire, finire nella strada e nelle carceri per aver assorbito tanta violenza da non riuscire più ad esprimersi se non attraverso altra violenza. I giovanissimi soldati inviati in Vietnam alla fine degli anni Sessanta, furono catapultati a forza in un mondo fatto di notti all'addiaccio, giorni di calore insopportabile e morte, dove solo i più fortunati riuscirono a salvarsi. Finita l'epoca della leva obbligatoria, è iniziata quella del reclutamento di volontari inesperti, incapaci di sopportare la durezza di un conflitto, addestrati a lanciare bombe e sparare ma non a convivere con sé stessi. Forse vanno cercati qui i motivi che hanno portato a circa novanta i suicidi nei ranghi dell'esercito americano di stanza in Iraq, ai quali il Pentagono ha reagito lavandosene le mani al punto di non includere i nomi degli scomparsi nelle liste dei caduti.

di Simone Bruno

Alvaro UribeVelez Ha modificato la Costituzione e le leggi ordinarie per poter essere rieletto. Alvaro Uribe, Presidente e punto di riferimento della destra più anacronistica e violenta della Colombia, é di conseguenza il candidato favorito nelle elezioni che si svolgeranno nel prossimo Maggio.
Così almeno dicono i sondaggi, che in Colombia danno il Presidente uscente come il candidato da battere. Si parla di un 70% dei consensi che sarebbero a disposizione del pupillo di Washington.
Però in Colombia, come forse ovunque, dei sondaggi non ci si può fidare ad occhi chiusi: generalmente sono condotti nelle 5 città principali, in centri commerciali molto costosi situati nelle zone più "cool" del paese.
Un esempio della fallacità dei sondaggi colombiani, è stato il fallimento del referendum uribista del 2003. Il piano, ricordiamo, prevedeva 19 punti per smantellare lo stato sociale sancito dalla costituzione del 1991. Uribe, pure dato dai sondaggi all'80% dei consensi, non ha raggiunto neppure il 25% del quorum su nessuno dei 19 punti. Questo nonostante una martellante campagna pubblicitaria, durante la quale è apparso addirittura in diretta nella casa del "grande fratello" a cantare con gli abitanti una canzone a favore del referendum.

di mazzetta

Dopo oltre quattro anni dall'invasione dell'Afghanistan la Global War on Terror non è riuscita a conseguire i suoi obiettivi. Una considerazione condivisa dall'amministrazione Bush che ha iniziato già dalla metà del 2005 un deciso cambiamento di rotta, favorita in questo dal suo completo dominio sull'apparato, dalla maggioranza nel Congresso e ora nella Corte Suprema, oltre che dalla libertà supplementare data al Presidente che raggiunge il secondo termine oltre il quale non può essere ri-eletto. Molti dicono che il fatto di non potere e dovere essere più giudicato dagli elettori, liberi i presidenti da molti vincoli, elettorali, morali, e psicologici.
Nel completo disinteresse dei partner europei e degli americani, a parte qualche decina di scandali che non sembrano capaci di mettere a rischio l'Amministrazione, gli Usa hanno preso atto del fallimento, che è nei fatti. All'attivo delle due campagne belliche Bush può portare poco; una sostanziale vittoria nell'imporre il suo quadro ideologico agli alleati ed alle opinioni pubbliche e un mare di quattrini per le aziende che hanno sostenuto il presidente. Il successo politico-militare, invece, non risulta da nessun punto di vista.

di Liliana Adamo

Florian Stammler, antropologo, nomade, etnologo presso l'Università di Colonia, si è recato a varie riprese nei territori degli Hanti, Mansi e Nenci, nella Siberia occidentale. Il racconto dettagliato dei suoi viaggi, di ciò ha visto e compreso vagando nelle terre del circolo polare artico, riguarda lo sfruttamento delle risorse (petrolio e gas), che alimenta la complessa macchina della nostra economia e dunque, in linea retta, il sistema nel quale stabiliamo la nostra vita d'occidentali.
In un'analisi approssimativa parrebbe cosa futile soffermarsi sulle condizioni degli indigeni della Siberia; difficile immaginare, utilizzando i più banali consumi quotidiani, persone distanti dalla nostra organizzazione sociale, costrette a vivere su quello che una volta era il loro territorio (e una delle più grandi riserve d'acqua potabile del mondo), interamente ricoperto da una spessa patina di lubrificanti, dove gli animali muoiono nella melma di scarto fuoruscita dalle raffinerie e dal trattamento dei gas.

di Maurizio Musolino

Le manifestazioni che nei giorni scorsi riempivano le strade di Beirut per contestare nazioni europee ree di aver permesso la pubblicazione di vignette blasfeme nei confronti del Profeta e di Allah erano, ad uno sguardo distratto, ben diverse da quelle che appena un anno fa si svolgevano nella stessa capitale del Paese dei Cedri. Diverse sì, ma in un certo senso frutto proprio di quei giorni. Proviamo ad analizzare cosa possano avere in comune quei volti sorridenti di ragazzi e ragazze - tutti bellissimi e copiosamente offerti dai media - con i volti arrabbiati dei militanti islamici che hanno protestato in questi giorni sotto le ambasciate dei Paesi scandinavi.
Innanzitutto la relativa spontaneità. I protagonisti della "rivoluzione dei Cedri" non erano certo spinti da spontaneismo, bensì da precise indicazioni e da un coinvolgimento, anche finanziario, di due potenze come la Francia e gli Stati Uniti, desiderose di riacquistare una influenza sul Paese solo momentaneamente lasciata alla Siria.


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