Un anno fa, nel Giugno 2021, la NATO ci informava che la guerra era cambiata e che questa non si combatteva più solo con le armi convenzionali, ma anche attraverso strumenti cosiddetti ibridi,  ideati cioè per scopi altri rispetto alla guerra ma comunque funzionali ad obiettivi strategici. Ad esempio, l’informazione viene identificata come uno di questi strumenti ibridi, ed è pertanto - ci dicono - da considerare come una vera e propria  minaccia alla sicurezza qualsiasi campagna di disinformazione attraverso le cd fakenews, se e quando questa sia in grado di incidere sulle dinamiche democratiche di un Paese alleato mettendone a rischio la stabilità.

Pertanto, le analisi sulle minacce alla sicurezza avrebbero dovuto – da allora in poi - comprendere non solo scenari militari convenzionali, ma anche questi scenari ibridi. Poiché le analisi sulle minacce comprendono anche la predisposizione delle risposte a queste minacce, è diventato altresì necessario allargare le competenze strategiche della NATO per permetterle di adattarsi a tali mutamenti di prospettiva.

Dopo quasi quattro mesi dall’inizio della “operazione militare speciale” russa in Ucraina, il vento della propaganda in Occidente sembra essere forse sul punto di cambiare. Il disastro militare a cui stanno andando incontro le forze del regime di Kiev, assieme alle conseguenze economiche provocate dalle sanzioni e al crollo dell’interesse dell’opinione pubblica per un conflitto venduto assurdamente come una battaglia per la democrazia, rendono sempre meno sostenibile la situazione attuale. Non è perciò da escludere che a breve ci possano essere cambiamenti nell’atteggiamento di Stati Uniti ed Europa, fino a una possibile cessazione delle ostilità.

Lanciato con roboanti quanto banali slogan, a Los Angeles si è aperto il Vertice delle Americhe. Giù il sipario, a Los Angeles va in onda uno show mal riuscito, una manifestazione retorica e inutile nel più perfetto stile yankee, dove ai palloncini e alle majorettes si sono sommati appelli al continente perché confermi la sua fedeltà a Washington. Lo scenario è imbarazzante: i paesi assenti superano per peso politico i presenti e la feccia golpista raccattata tra Cuba, Nicaragua e Venezuela, fatta di finti presidenti, falsi democratici, autentici assassini e inesistenti partiti, girovaga in una questua poco dignitosa.

La mozione di censura contro l’Iran, approvata mercoledì a larga maggioranza dal Consiglio dei Governatori dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) è l’ennesima dimostrazione di come l’atteggiamento degli Stati Uniti e dell’Europa rappresenti l’ostacolo maggiore al ripristino dell’accordo sul nucleare della Repubblica Islamica (JCPOA). Le accuse rivolte a Teheran sono a dir poco discutibili e riflettono in grandissima parte l’agenda israeliana, ma rischiano di diventare un nuovo elemento di scontro in grado di complicare i negoziati in corso da oltre un anno a Vienna.

A dodici mesi dallo storico accordo di governo che aveva estromesso dal potere Benjamin Netanyahu dopo 12 anni, lo stato ebraico si ritrova sull’orlo di una nuova grave crisi politica che potrebbe portare all’ennesima elezione anticipata. L’esilissima maggioranza che sostiene l’esecutivo guidato dal primo ministro Naftali Bennett sta perdendo pezzi ormai da qualche tempo e questa settimana ha incassato una sconfitta umiliante dopo la mancata approvazione in prima lettura di una legge decisiva per la sopravvivenza del sistema di apartheid imposto ai palestinesi in Cisgiordania.


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