La notizia, resa nota nel fine settimana, dell’episodio ischemico sofferto da Julian Assange durante un’udienza lo scorso mese di ottobre ha ingigantito il senso di disgusto provocato dalla vergognosa sentenza, pronunciata venerdì dall’Alta Corte britannica, con cui è stato dato il via libera all’estradizione negli Stati Uniti del fondatore di WikiLeaks. Contro l’appello del governo di Washington vi era semplicemente una montagna di elementi che un tribunale anche solo passabilmente democratico avrebbe preso in considerazione. Al contrario, la farsa giudiziaria della persecuzione di Assange si è avviata verso l’epilogo peggiore per fare della sua vicenda un esempio in grado di scoraggiare qualsiasi futura rivelazione dei crimini dell’imperialismo americano.

Sorprendendo non poco la comunità internazionale, il Nicaragua ha deciso di riallacciare al massimo livello i rapporti diplomatici con la Cina e, di conseguenza, rompere i rapporti diplomatici con Taiwan, che sono stati sempre di natura commerciale, mai politica. Non è un caso che Taiwan non si sia mai espressa a sostegno di Managua nelle diverse fasi del suo agire politico e non abbia mai tentato di esercitare pressioni sul suo grande sponsor – gli Stati Uniti – ai quali hanno sempre ricordato come la relazione fosse solo di affari. La zona franca è l’unica porzione di territorio nicaraguense che interessava ai taiwanesi, che ora risultano essere riconosciuti solo da 13 Paesi, oltre al Vaticano, sui 197 che conformano l’intera comunità internazionale.

Non pare abbiano sortito effetti i colloqui telefonici tra Joe Biden e Vladimir Putin. Quella che si sviluppata al confine tra Russia e Ucraina è una crisi costruita politicamente e mediaticamente. Alla complessiva quanto conclamata ostilità tra Kiev e Mosca non si era aggiunta nessuna particolare tensione e la stessa intelligence militare del regime filo-nazista di Kiev non segnalava nessun pericolo da parte russa.

Il tentativo di rovesciare il governo centrale nelle isole Salomone e il durissimo scontro politico che continua ad attraversare il paese del Pacifico meridionale sono un riflesso della competizione sempre più accesa che sta mettendo di fronte la Cina agli Stati Uniti e ai loro alleati in questa remota area del globo. Per quanto periferica, la posizione dell’arcipelago a nord-est dell’Australia ricopre un’importanza strategica rilevante, come confermano anche gli eventi accaduti durante la Seconda Guerra mondiale, e le potenze coinvolte nelle vicende interne di questo e di altri paesi dell’Oceano Pacifico investono risorse tutt’altro che trascurabili per fare in modo che i propri interessi vengano garantiti dalle classi dirigenti indigene.

Il nodo dei negoziati sulla questione del nucleare iraniano, ripresi questa settimana a Vienna dopo cinque mesi di stallo, sembra a prima vista piuttosto semplice: il governo americano guidato dal presidente Biden dovrebbe semplicemente invertire la decisione presa da Trump nel 2018 e rientrare nell’accordo stipulato tre anni prima con Teheran e altri cinque paesi (Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna, Germania). In realtà, i colloqui in corso sono complicati da svariati fattori, principalmente di ordine strategico, che rischiano di far saltare le trattative e accelerare l’escalation dello scontro nella regione mediorientale.


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