La morte per complicazioni da Coronavirus dell’ambasciatore iraniano in Yemen, Hassan Irloo, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica internazionale la drammatica situazione umanitaria imposta dal regime saudita al paese più povero della penisola arabica. Allo stesso tempo, la vicenda ha rappresentato un caso esemplare di disinformazione, alimentata dai media ufficiali in Occidente, con l’obiettivo di colpire gli interessi di una Repubblica Islamica sempre più coinvolta e in grado di giocare un ruolo determinante nello scacchiere mediorientale.

Il senatore democratico del West Virginia, Joe Manchin, ha affossato probabilmente in maniera definitiva il limitato pacchetto di riforme sociali al centro del programma di governo dall’amministrazione Biden e spento le residue speranze del suo partito di conservare la risicata maggioranza al Congresso di Washington dopo il voto di “metà mandato” del novembre 2022. La decisione di Manchin, uno dei membri più reazionari della delegazione parlamentare democratica, è arrivata significativamente in un’intervista nel fine settimana a Fox News, durante la quale ha fatto sapere di non essere disposto a votare a favore di un provvedimento da poco meno di duemila miliardi di dollari in fase di negoziazione da mesi sotto gli auspici della Casa Bianca.

Scampato pericolo. Alle presidenziali cilene, 15 milioni di elettori erano chiamati a scegliere tra Josè A. Kast candidato fascista, apertamente nostalgico del dittatore Augusto Pinochet, e Gabriel Boric, candidato del centrosinistra largo. La destra uscente ha tentato in ogni modo e fino all’ultimo di spianare la strada al suo figlio prediletto, persino bloccando il sistema di trasporti pubblico per impedire alla gente di recarsi alle urne. Ma non è servito. I cileni a votare sono andati ed il verdetto è indiscutibile: sebbene si cerchino spiegazioni nella defezione dell’elettorato di Parisi, dieci punti di distanza tra il fascismo e la democrazia misurano il termometro politico cileno.

Gli uragani che si sono abbattuti lo scorso fine settimana su alcuni stati del centro e del sud degli Stati Uniti hanno provocato la morte di quasi cento persone, ma non tutti i decessi registrati finora possono essere ascritti esclusivamente all’ennesimo eccezionale evento climatico. Almeno 14 morti sono piuttosto la diretta conseguenza delle condizioni di lavoro imposte sempre più dal capitalismo, in America come altrove. Non a caso, infatti, sei delle vittime indirette dell’uragano che ha colpito una parte dello stato dell’Illinois erano dipendenti di Amazon, cioè la corporation con i precedenti più tragici in materia di sicurezza sul lavoro, di fatto intrappolati nel sito di distribuzione del colosso di Jeff Bezos nella località di Edwardsville.

La guerra degli Stati Uniti contro lo Stato Islamico (ISIS) in Iraq e in Siria tra il 2014 e il 2019 è stata, secondo la versione ufficiale, una sorta di modello esemplare di battaglia del ventunesimo secolo, condotta in nome di una causa giusta e con strumenti di incomparabile precisione per limitare al massimo il numero di vittime tra la popolazione civile. Che questa tesi fosse pura propaganda era noto fin dall’inizio, quanto meno al di fuori delle redazioni dei media “mainstream”, ma nei giorni scorsi lo ha confermato ulteriormente una nuova rivelazione proprio di una testata ufficiale come il New York Times, che ha raccontato nel dettaglio le azioni deliberatamente criminali delle forze speciali USA d’avanguardia nella lotta all’ISIS in Medio Oriente.


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