Come ogni sondaggio aveva previsto, Xiomara Castro, candidata della sinistra, è la nuova Presidente dell’Honduras. Dodici anni dopo il colpo di stato voluto da Hillary Clinton che estromise dal governo il legittimo Presidente Mel Zelaya, oggi alla guida del Partito Progressista Libero, Xiomara - che di Mel è moglie - ha riposto le cose nel loro ordine naturale, che vede il consenso popolare al governo e il golpismo all’opposizione. I tentativi disperati di impedire la vittoria di Xiomara ad opera del governo statunitense e dell’Unione Europea, per mano della OEA, sono risultati inefficaci.

Il margine straordinariamente ampio della vittoria di Xiomara ha impedito ogni frode possibile per quanto riguarda la presidenza e, sebbbene sulle elezioni dei sindaci la destra stia tentando operazioni sporche, l’impressione è che queste possano ridursi ad azioni di disturbo, che poco condizioneranno la proclamazione dei risultati effettivi.

Managua. Il 28 novembre oltre 5 milioni di honduregni saranno chiamati a eleggere il Presidente della Repubblica, 128 deputati al Congresso nazionale, 20 al Parlamento centroamericano, 298 sindaci e oltre 2000 consiglieri comunali. Man mano che si avvicina la data elettorale, si polarizza l'ambiente politico, si acutizza il conflitto e cresce la tensione sociale. Nessuno dimentica la violenta repressione del 2017 contro coloro che protestavano per i grossolani brogli elettorali che prolungarono l'agonia dell'attuale regime. In quell'occasione, oltre trenta persone persero la vita in modo violento e questi crimini restarono nella totale impunità. Gli accadimenti degli ultimi giorni risvegliano nuovamente i fantasmi della violenza e della repressione.

Anche se lanciata con slogan di “riforme” e “progressismo”, l’inedita coalizione che sta per dare vita al primo governo del dopo-Merkel in Germania si baserà fondamentalmente su tre principi non esattamente di sinistra: rigore fiscale, militarismo e competitività del capitalismo tedesco. Quello guidato dal cancelliere in pectore Olaf Scholz sarà anche un gabinetto con un orientamento di politica estera parzialmente diverso da quello uscente della “cancelliera”, cioè maggiormente ancorato alla NATO e all’alleanza con Washington, a discapito dei rapporti con potenze come Russia e Cina.

L’impennata dell’inflazione negli Stati Uniti è diventata una delle ragioni che stanno alimentando il malcontento degli americani nei confronti dell’amministrazione Biden. Ed è alla pompa di benzina che gli effetti del carovita si fanno sentire in maniera particolarmente pesante. Anche per questo motivo, la Casa Bianca ha autorizzato in via eccezionale l’immissione sul mercato di una parte della cosiddetta “riserva petrolifera strategica”, ovvero alcune decine di milioni di barili di greggio. La speranza di Biden, anche se difficilmente realizzabile, è di indurre un abbassamento delle quotazioni del petrolio, ma anche di fare pressioni sul cartello dei produttori e sulla Russia, riuniti nel meccanismo dell’OPEC+, per convincerli ad aumentare il ritmo di estrazione e sostenere la ripresa di un’economia ancora rallentata dal persistere della pandemia.

Su richiesta del governo israeliano, la Gran Bretagna ha deciso qualche giorno fa di aggiungere l’ufficio politico di Hamas alla lista delle organizzazioni ritenute di natura terroristica. Il provvedimento verrà con ogni probabilità ratificato a breve dal Parlamento di Londra e renderà possibile l’arresto o il congelamento dei beni eventualmente detenuti in Gran Bretagna dei membri del partito/organizzazione islamista palestinese che governa la striscia di Gaza, nonché l’incriminazione di chiunque esprima una qualche forma di sostegno per quest’ultimo.


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