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di Thierry Meissan - Voltairenet.org
Nel 2006, il Cremlino ha denunciato il proliferare di associazioni straniere in Russia, alcuni dei quali presumibilmente coinvolte in un piano segreto per destabilizzare il paese, orchestrato dalla Fondazione Nazionale per la democrazia (National Endowment for Democracy - NED). Per evitare una "rivoluzione colorata", Vladislav Surkov ha sviluppato una severa regolamentazione di queste "organizzazioni non governative” (ONG). In Occidente, questo provvedimento amministrativo è stato descritto come un nuovo attacco del "dittatore" Putin e del suo consigliere alla libertà di associazione. Questa politica è stata seguita da altri Stati che, a loro volta, sono stati presentati dalla stampa internazionale come "dittature".
Il governo degli Stati Uniti garantisce che lavora per "promuovere la democrazia in tutto il mondo." Sostiene che il Congresso può sovvenzionare la NED e che può, a sua volta e in modo indipendente, direttamente o indirettamente portare assistenza a associazioni, partiti politici o sindacati, lavorando in tal senso in tutto il mondo. Le ONG essendo, come suggerisce il nome, "non governative" possono prendere iniziative politiche che le ambasciate non potrebbero prendere senza violare la sovranità degli stati che le ospitano. L’intera questione è dunque questa: la NED e la rete di ONG che finanzia, sono esse iniziative della società civile ingiustamente punite dal Cremlino o coperture dell’intelligence statunitense colte in piena interferenza?
Per rispondere a questa domanda, torniamo alle origini e dal funzionamento del National Endowment for Democracy. Ma soprattutto, dobbiamo analizzare cosa significa il progetto ufficiale degli Stati Uniti. per “l’esportazione della democrazia”.
Quale democrazia?
Gli statunitensi, come popolo, rispettano l’ideologia dei loro padri fondatori. Si pensano come una colonia giunta dall’Europa per fondare una città obbediente a Dio. Vedono il loro paese come "una luce sulla montagna", secondo le parole di S. Matteo, ripresa da due secoli nei discorsi politici della maggior parte dei loro presidenti. Gli Stati Uniti sarebbero una nazione modello, che brillando dalla cima della collina, illumina il mondo. E tutti gli altri popoli del mondo hanno la speranza di copiare questo modello, per raggiungere la loro salvezza.
Per gli statunitensi, questa fede ingenua da per scontato che il loro paese è sia una democrazia esemplare, che hanno il dovere messianico di estendere al resto del mondo. Mentre San Matteo prevedeva la propagazione della fede solo con l’esempio di una vita retta, i padri fondatori degli Stati Uniti pensavano all’accensione e alla propagazione dell’incendio come a un cambiamento di regime.
I puritani inglesi decapitarono Carlo I prima di fuggire in Olanda e nelle Americhe, ed i patrioti del Nuovo Mondo respinsero l’autorità del re Giorgio III d’Inghilterra proclamando l’indipendenza degli Stati Uniti. Immersi nella mitologia nazionale, gli statunitensi non percepiscono la politica estera del loro governo come imperialista. Ai loro occhi, è ancora più legittimo rovesciare un governo che aspira a incarnare un modello diverso dal loro, dunque malefico. Allo stesso modo, sono convinti che investiti della loro missione messianica, siano riusciti a imporre con la forza la democrazia nei paesi che hanno occupato.
Imparano, per esempio, nelle loro scuole, che i GI hanno portato la democrazia in Germania. Non sanno che la storia è esattamente l’opposto: il loro governo ha aiutato Hitler a rovesciare la Repubblica di Weimar e a stabilire un regime militare per combattere i sovietici. Questa ideologia irrazionale impedisce loro di mettere in discussione la natura delle loro istituzioni e l’assurdità del concetto di "democrazia forzata". Ora, secondo le parole del presidente Abraham Lincoln "La democrazia è il governo del popolo, dal popolo, per il popolo."
Da questo punto di vista, gli Stati Uniti non sono una democrazia ma un sistema ibrido, in cui l’esecutivo proviene da un’oligarchia, mentre il popolo ne limita l’arbitrio attraverso i contropoteri legislativi e giudiziari. Infatti, se il popolo elegge il Congresso e alcuni giudici, sono gli Stati federati ad eleggere l’esecutivo e quest’ultimo nomina gli alti magistrati. Anche se i cittadini sono chiamati a votare sulla scelta del loro presidente, il loro voto sulla questione è solo consultiva, come ricordato dalla Corte Suprema nel 2000, nel caso Gore contro Bush. La Costituzione degli Stati Uniti non riconosce la sovranità del popolo, perché il potere è condiviso tra lui e gli Stati federati, vale a dire tra i leader della comunità.
Per inciso, osserviamo che la Costituzione della Federazione Russa è, al contrario, democratica - almeno sulla carta - come dice: "Il portatore della sovranità e l’unica fonte del potere nella Federazione Russa è il suo popolo multinazionale" (Titolo I, Cap. 1, articolo 3). Questo contesto intellettuale spiega che gli statunitensi sostengono il loro governo quando annuncia di voler "esportare la democrazia", anche se il loro paese non lo è costituzionalmente.
Ma non si vede come si possa esportare ciò che non si ha e non si vuole avere a casa. Negli ultimi trenta anni, questa contraddizione è stata sostenuta dalla NED ed s’è concretizzata con la destabilizzazione di molti Stati. Migliaia di attivisti e ONG creduloni hanno violato la sovranità dei popoli con il sorriso beato della buonafede.
Una Fondazione pluralista e indipendente
Nel suo famoso discorso dell’8 giugno 1982 davanti al Parlamento britannico, il presidente Reagan ha denunciato l’Unione Sovietica come "L’impero del male" e si offrì di aiutare i dissidenti lì e altrove. "Si tratta di contribuire a creare le infrastrutture necessarie per la democrazia: la libertà di stampa, di sindacato, di partiti politici e delle università, i popoli saranno liberi di scegliere la strada che gli converrà per sviluppare la loro cultura e risolvere le controversie con mezzi pacifici", aveva detto. Sulla base di questo consenso per la lotta contro la tirannia, una commissione di riflessione bipartisan auspicò l’istituzione a Washington della National Endowment for Democracy (NED). Fu fondata dal Congresso nel novembre del 1983 e immediatamente finanziata. La Fondazione supporta quattro strutture indipendenti che ridistribuiscono denaro all’estero, mettendolo a disposizione di associazioni, sindacati e padronati, partiti di destra e di sinistra. Esse sono:
L’Istituto dei Sindacati Liberi (Free Trade Union Institute - FTUI), ora rinominato Centro Americano per la Solidarietà Internazionale dei Lavoratori (American Center for International Labor Solidarity – ACILS), gestita dal sindacato AFL-CIO;
Il Centro Internazionale per le Imprese Private (Center for International Private Enterprise - CIPE), gestito dalla Camera di Commercio degli Stati Uniti;
L’Istituto Repubblicano Internazionale (International Republican Institute - IRI), gestito dal Partito Repubblicano;
L'’Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (National Democratic Institute for International Affairs - NDI), gestito dal Partito Democratico.
Presentati in questo modo, la NED e i suoi quattro tentacoli appaiono basati sulla società civile, riflettendo la diversità sociale e il pluralismo politico. Finanziate dal popolo statunitense, attraverso il Congresso, avrebbero lavorato a un ideale universale. Esse sarebbero completamente indipendenti dall’amministrazione presidenziale. E l’azione trasparente non potrebbe nascondere operazioni segrete che servano a interessi nazionali inconfessati. La realtà è completamente diversa.
Una messa in scena della CIA, dell’MI6 e dell’ASIS
Il discorso di Ronald Reagan a Londra si svolse dopo gli scandali che circondarono la rivelazione delle commissioni sugli sporchi trucchi della CIA. Il Congresso aveva vietato all’agenzia di condurre ulteriori colpi di stato per conquistare dei mercati. Alla Casa Bianca, il Consiglio di Sicurezza Nazionale cercò di sviluppare altri strumenti per aggirare questo divieto.
La Commissione di riflessione bipartisan fu costituita prima del discorso di Ronald Reagan, anche se dopo ha ufficialmente ricevuto un mandato dalla Casa Bianca. Pertanto, essa non è conseguente alle grandiose alle ambizioni presidenziali, ma le precede. Pertanto, il discorso è solo un abbellimento retorico di decisioni già concordate a grandi linee e destinate ad essere messe in scena dalla commissione bipartisan. Fu presieduta dal rappresentante speciale degli Stati Uniti per il Commercio, indicando che essa non prevedeva la promozione della democrazia ma, secondo una terminologia attuale, la "democrazia di mercato". Questo concetto strano è il modello degli Stati Uniti: una oligarchia economica e finanziaria impone le sue scelte politiche attraverso il mercato e lo Stato federale, mentre i parlamentari e i giudici eletti dal popolo proteggono le persone da un governo arbitrario.
Tre delle quattro agenzie periferiche del NED sono state formate per l’occasione. Tuttavia, non è stato necessario creare la quarta, l’organizzazione del lavoro (ACILS). Essa esiste dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, anche se ha cambiato nome nel 1978, quando si dimostrò la sua subordinazione alla CIA. Quindi si può dedurre che CIPE, IRI e NDI non nascono per generazione spontanea, ma egualmente sotto la guida della CIA. Inoltre, anche se la NED è un’associazione di diritto statunitense, non è uno strumento della sola CIA, ma uno strumento comune con i servizi britannico (il motivo per cui fu annunciata da Reagan a Londra) e australiano. Questo punto centrale è sempre stato ignorato. Eppure è confermato dai messaggi di congratulazioni inviati dai primi ministri Tony Blair e John Howard per il ventesimo anniversario della cosiddetta "ONG". La NED e i suoi tentacoli sono organi del patto militare anglo-sassone che collega Londra, Washington e Canberra, nonché la rete di intercettazione elettronica Echelon. Questo dispositivo può essere richiesto non solo dalla CIA, ma anche dall’MI6 britannico e dall’australiano ASIS.
Per nascondere questa realtà, la NED ha suscitato preso gli alleati la creazione di organizzazioni che lavorino con essa. Dal 1988, il Canada ha un centro per i diritti e la democrazia, che ha privilegiato Haiti e l’Afghanistan. Nel 1991, il Regno Unito ha istituito la Westminster Foundation for Democracy (WFD). Il funzionamento di questo organismo pubblico è modellato su quello della NED: l’amministrazione è affidata ai partiti politici (otto delegati, tre per il Partito Conservatore, tre per il Partito Laburista, uno per il Partito Liberale, e uno per gli altri partiti rappresentati in Parlamento). La WFD ha lavorato a lungo in Europa orientale. Infine, nel 2001, l’UE ha lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani (EIDHR), che desta meno sospetti rispetto alle sue controparti. Questo ufficio è l’Europe Aid, guidato da un alto funzionario tanto sconosciuto quanto potente, l’olandese Jacobus Richelle.
Direttiva Presidenziale 77
Con il voto per la fondazione della NED, il 22 novembre 1983, i parlamentari non sapevano che già esistesse in segreto, con una direttiva presidenziale del 14 gennaio.
Questo documento, che è stato declassificato vent’anni dopo, organizza la "diplomazia pubblica", termine politicamente corretto per indicare la propaganda. Esso crea alla Casa Bianca dei gruppi di lavoro interni al Consiglio di Sicurezza Nazionale, tra cui uno con la responsabilità di guidare la NED.
Di conseguenza, il consiglio d’amministrazione della Fondazione non è che una cinghia di trasmissione del Consigli di sicurezza nazionale. Per mantenere le apparenze, si decise che, in modo generale, agenti ed ex agenti della CIA non potessero essere nominati amministratori.
Le cose sono tuttavia trasparenti. La maggior parte dei funzionari che hanno giocato un ruolo centrale nel Consiglio di sicurezza nazionale, sono stati amministratori della NED. Questo è per esempio il caso di Henry Kissinger, Frank Carlucci, Zbigniew Brzezinski e Paul Wolfowitz; personalità che non passeranno alla storia come l’ideale della democrazia, ma della strategia cinica della violenza.
Il bilancio della Fondazione non può essere interpretato in modo isolato, ricevendo istruzioni dal Consiglio di Sicurezza Nazionale per intraprendere azioni all’interno di ampie operazioni inter-agenzie. I fondi soprattutto provengono dall’Agenzia per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e passano senza che figurino nel bilancio del NED, proprio per "non-governalizzarli”. Inoltre, la Fondazione riceve soldi indirettamente dalla CIA, dopo essere stata riciclata da intermediari privati, come la Smith Richardson Foundation, la John M. Olin Foundation o la Lynde and Harry Bradley Foundation. Per valutare la portata di questo programma, dobbiamo combinare il bilancio della NED con le corrispondenti voci di bilancio del Dipartimento di Stato, dell’USAID, della CIA e del Dipartimento della Difesa. Tale stima è impossibile.
Tuttavia, alcuni elementi noti consente di avere un ordine di grandezza. Gli Stati Uniti hanno speso negli ultimi cinque anni, un miliardo di dollari per le associazioni e i partiti in Libano, un piccolo paese di 4 milioni di abitanti. Nel complesso, la metà di questa manna è stata pubblicamente rilasciato da Dipartimento di Stato, USAID e NED, e l’altra metà è stata versata segretamente dalla CIA e del Dipartimento della Difesa.
Questo esempio viene utilizzato per estrapolare il bilancio generale della corruzione istituzionale da parte degli Stati Uniti, che è nell’ordine delle decine di miliardi di dollari ogni anno. Inoltre, il programma equivalente dell’Unione europea, che è interamente pubblico e propone l’integrazione delle azioni degli Stati Uniti, è di 7 miliardi di euro all’anno.
In definitiva, la struttura giuridica della NED e il volume del suo bilancio ufficiale sono solo delle esche. In sostanza, non è un organismo indipendente per le azioni legali precedentemente assegnate alla CIA, ma è una vetrina a cui il Consiglio di sicurezza nazionale da l’incarico di eseguire gli elementi legali delle operazioni illegali.
Strategia trotskista
Durante la sua fase di attuazione (1984), la NED è stata presieduta da Allen Weinstein, poi per quattro anni da John Richardson (1984-88) e, infine, da Carl Gershman (dal 1998). Questi tre uomini hanno tre cose in comune. Sono ebrei, sono stati attivi nel partito trotskista SocialDemocratici USA e hanno lavorato presso la Freedom House.
C’è una logica in ciò: per odio allo stalinismo, alcuni trotskisti si sono arruolati nella CIA per lottare contro i sovietici. Hanno portato con loro la teoria di acquisizione globale, recependo le "rivoluzioni colorate" e la "democratizzazione". Hanno semplicemente spostato la vulgata trotzkista applicandola alla lotta culturale analizzata da Antonio Gramsci, il potere si esercita più con la mente che con la forza. Per governare le masse, l’élite deve prima inculcare un’ideologia che programma l’accettazione del potere che le domina.
Il Centro Americano per la Solidarietà dei Lavoratori (ACILS)
Conosciuto anche come Solidarity Center, l’ACILS, ramificazione della NED, è di gran lunga il suo principale canale. Distribuisce più della metà delle donazioni della Fondazione. Ha sostituito le organizzazioni precedenti che sono servite, durante la guerra fredda, ad organizzare sindacati in tutto il mondo non comunista, dal Vietnam all’Angola, passando per la Francia e il Cile. Il fatto di scegliere dei sindacati per coprire un programma della CIA è un fatto di rara perversione. Lontano dallo slogan marxista "Proletari di tutti i paesi, unitevi!", l’ACILS unisce i sindacati statunitensi all’imperialismo che schiaccia i lavoratori di altri paesi.
Questo settore è stato diretto da un personaggio pittoresco, Irving Brown, dal 1948 fino alla sua morte nel 1989. Alcuni autori assicurano che Brown era figlio di un russo bianco, compagno di Alexander Kerensky. Quel che è certo è che è stato agente dell’OSS, il servizio d’intelligence degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, ed ha partecipato alla creazione della CIA e della rete Gladio della NATO.
Si rifiutò di prenderne la direzione, preferendo concentrarsi sulla sua specialità, i sindacati. Abitò e lavorò a Roma e Parigi, non a Washington, così ha avuto una particolare influenza sulla vita pubblica italiana e francese. Alla fine della sua vita, si vantava di non aver smesso di dirigere da dietro le quinte il sindacato francese Force Ouvrière, di aver diretto le fila del sindacato studentesco UNI (dove militarono Nicolas Sarkozy e i suoi ministri François Fillon, Xavier Darcos, Herve Morin e Michèle Alliot-Marie e il presidente dell’Assemblea nazionale Bernard Accoyer e il presidente del gruppo parlamentare della maggioranza, Jean-Francois Cope) e di aver creato personalmente a sinistra un gruppo scissionista trotzkista, tra cui i membri vi erano Jean-Christophe Cambadelis e il futuro primo ministro Lionel Jospin.
Nei tardi anni ’90, i membri della confederazione AFL-CIO hanno chiesto conto della reale attività dell’ACILS, mentre la sua natura criminale, in molti paesi è stata ampiamente documentata. Si sarebbe potuto pensare che le cose sarebbero cambiate dopo questa grande svelamento. Non è stato così. Nel 2002 e nel 2004, l’ACILS ha partecipato attivamente al fallito colpo di stato in Venezuela contro il presidente Hugo Chavez, e in quello riuscito ad Haiti, che rovesciò il presidente Jean-Bertrand Aristide.
Oggi l’ACILS è diretto da John Sweeney, ex presidente della confederazione AFL-CIO, che proviene anch’egli dal partito trotskista dei Social-Democratici USA.
Il Center for International Private Enterprise (CIPE)
Il Center for International Private Enterprise (CIPE) si concentra sulla diffusione dell’ideologia liberale capitalista e della lotta contro la corruzione.
Il primo successo del CIPE fu la trasformazione, nel 1987, dell’European Management Forum, un club del grande padronato europeo, nel club-transnazionale World Economic Forum. Il grande raduno annuale del gotha politico ed economico mondiale, presso la stazione sciistica svizzera di Davos, che ha contribuito a forgiare una classe dell’appartenenza esterna alle identità nazionali.
Il CIPE assicura che non ha alcun legame strutturale con il Forum di Davos, e non è possibile -per ora- dimostrare che il World Economic Forum è uno strumento della CIA. Al contrario, i responsabili di Davos troverebbero difficile spiegare perché alcuni leader politici hanno scelto il loro Economic Forum, per svolgervi degli eventi della massima importanza, come se si trattasse di operazioni previste dal Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti d’America. Ad esempio, nel 1988, a Davos, e non alle Nazioni Unite, la Grecia e la Turchia hanno fatto la pace.
Nel 1989, a Davos le due Coree, da un lato e la Germania dall’altro, tennero il loro primo vertice a livello ministeriale per gli uni, e il primo vertice sulla riunificazione per gli altri. Nel 1992, è ancora a Davos che Frederik de Klerk e Nelson Mandela presentarono per la prima volta il loro progetto comune per il Sud Africa. Ancora più inverosimile è che a Davos, nel 1994, dopo l’accordo di Oslo, Shimon Peres e Yasser Arafat negoziarono e firmarono la sua applicazione a Gaza e a Gerico.
È notorio che il contatto tra il Forum e Washington passi per Susan K. Reardon, ex direttrice della Associazione dei lavoratori professionisti del Dipartimento di Stato, che è diventata direttrice della Fondazione della Camera di Commercio degli Stati Uniti, che gestisce il CIPE.
L’altro successo del Center for International Private Enterprise è Transparency International. Questa "ONG" è stata ufficialmente creata da un ufficiale dei servizi segreti militari degli Stati Uniti, Michael J. Hershman, che è anche direttore del CIPE e ora direttore del reclutamento degli informatori dell’FBI, nonché l’Amministratore Delegato dell’Agenzia d’Intelligence privata Fairfax Group.
Transparency International è in primo luogo una copertura per l’attività d’intelligence della CIA. E’ anche uno strumento mediatico per costringere gli Stati a modificare la loro legislazione, in linea con l’apertura dei loro mercati.
Per nascondere l’origine di Transparency International, il CIPE ha utilizzato l’esperienza dell’ex direttore ufficio stampa della Banca Mondiale, il neo-conservatore Frank Vogl. Quest’ultimo ha istituito un comitato di persone che hanno contribuito a dare l’impressione di un’associazione nata dalla società civile. Questo comitato di facciata è animato da Peter Eigen, ex capo della Banca Mondiale in Africa orientale, la cui moglie è stata, nel 2004 e nel 2009, candidata dell’SPD per la presidenza della Repubblica Federale Tedesca.
Il lavoro di Transparency International serve gli interessi statunitensi e non è affidabile. Nel 2008, la pseudo ONG ha denunciato la corruzione della PDVSA, l’azienda statale petrolifera del Venezuela e, sulla base di informazioni false, è all’ultimo posto nella sua classifica mondiale delle aziende pubbliche. L’obiettivo era chiaramente quello di sabotare la reputazione di una società che è il fondamento economico del presidente anti-imperialista Hugo Chavez. Colto in flagranza d’intossicazione, Transparency International ha rifiutato di rispondere alle domande della stampa latino-americana, e di correggere la sua relazione. Inoltre, è sorprendente se si ricorda che il corrispondente del CIPE in Venezuela, Pedro Carmona, era stato brevemente portato al potere dagli Stati Uniti, durante il fallito colpo di stato del 2002 contro Hugo Chavez.
In qualche modo, concentrando l’attenzione dei media sulla corruzione economica, Transparency International maschera l’attività della NED: la corruzione politica delle classi dirigenti a favore degli Anglo-Sassoni.
L’Istituto Repubblicano Internazionale (IRI) e Istituto Nazionale Democratico per gli Affari Internazionali (NDI)
L’International Republican Institute (IRI) cerca di corrompere i partiti di destra, mentre la National Democratic Institute for International Affairs (NDI) tratta i partiti di sinistra. La prima è presieduta da John McCain, il secondo da Madeleine Albright. Queste due figure non dovrebbero essere considerate dei politici ordinari, un leader dell’opposizione e una decana in pensione, ma come i responsabili attivi dei programmi del Consiglio di Sicurezza Nazionale.
Per inquadrare i principali partiti politici del mondo, IRI e NDI hanno rinunciato al controllo delle internazionali liberale e socialista. Hanno creato delle organizzazioni rivali, l’Unione Democratica Internazionale (IDU) e l’Alleanza dei Democratici (AD). La prima è presieduta dall’australiano John Howard. Il russo Leonid Gozman di Just Cause ne è il vice-presidente. La seconda è guidata dall’italiano Gianni Vernetti e co-presieduto dall’italiano Francesco Rutelli.
L’IRI e NDI si basano anche sulle fondazioni collegate ai principali partiti politici in Europa (sei in Germania, due in Francia, uno nei Paesi Bassi e un altro in Svezia). Inoltre, alcune operazioni sono state esternalizzate a misteriose società private, come la Democracy International Inc. che ha organizzato le recenti elezioni truccate in Afghanistan. Ex vice di Rahm Emanuel e attuale capo del NDI, Tom McMahon arriva in Francia per organizzare le primarie del Partito Socialista. Tutto questo lascia un sapore amaro.
Gli Stati Uniti hanno danneggiato la maggior parte dei principali partiti politici e sindacati di tutto il mondo. In definitiva, la "democrazia" che promuovono consiste nel discutere di questioni locali in ogni paese, come le questioni sociali dei diritti delle donne o dei gay, e allinearsi a Washington su tutte le questioni internazionali.
Le campagne elettorali sono diventate eventi di cui il NED sceglie il cast, fornendo ad alcuni, e non ad altri, le risorse finanziarie di cui hanno bisogno. Anche il concetto di alternanza ha perso il suo significato, dato che il NED promuove alternativamente una parte o l’altra, a patto che continui la stessa politica estera e di difesa.
Ci si lamenta oggi, nell’Unione europea e altrove, della crisi della democrazia. Questo è causato dalla NED e dagli Stati Uniti. E come si può descrivere un regime come gli Stati Uniti, dove il leader dell’opposizione, John McCain, in realtà è un dipendente del Consiglio di sicurezza nazionale? Certamente non una democrazia.
Il bilancio del sistema
USAID, NED, le loro istituzioni satelliti e le loro fondazioni intermedie hanno creato nel tempo una vasta e avida burocrazia. Ogni anno il bilancio adottato dalla NED dal Congresso, dà luogo ad accesi dibattiti sull’inefficienza di questo sistema e sulle voci pervasive di appropriazione indebita di fondi da parte delle figure politiche statunitensi responsabili della loro amministrazione.
Ai fini di una buona gestione, molti studi sono stati commissionati per misurare l’impatto di questi flussi. Gli esperti hanno confrontato gli importi stanziati in ogni stato e la classificazione democratica di questi Stati da parte di Freedom House. Poi hanno calcolato quanto hanno dovuto spendere dollari pro capite per aumentare di un punto la classifica democratica di un governo. Naturalmente tutto questo non è che un tentativo di auto-giustificazione. L’idea di istituire un rating democratico non è scientifica. In un certo senso è totalitario, presuppone che vi sia una sola forma di istituzioni democratiche. E in modo infantile, stabilisce un elenco di criteri diversi che pondera con coefficienti immaginari per trasformare la complessità sociale in un’unica cifra.
Inoltre, la maggior parte di questi studi concludono che è un fallimento: anche se il numero di democrazie nel mondo è cresciuto, non ci sarebbe alcun nesso tra il miglioramento o peggioramento democratico da un lato, e le somme spese dal Consiglio di sicurezza nazionale dall’altro. Viceversa, conferma che i veri obiettivi non hanno nulla a che fare con quelli indicati. Funzionari dell’USAID, però, citano uno studio condotto dalla Vanderbilt University, secondo cui solo le operazioni co-finanziato da USAID e NED sono state efficaci, perché l’USAID ha una gestione rigorosa del bilancio. Ciò non sorprende, questo studio singolare è stato finanziato dall’USAID...
Comunque, nel 2003, in occasione del suo ventesimo anniversario, la NED fece un bilancio della sua azione politica dimostrando che ha finanziato più di 6.000 organizzazioni politiche e sociali nel mondo, un dato che è cresciuto costantemente da allora. Ha affermato di aver costruito interamente il sindacato Solidarnoc in Polonia, Carta 77 in Cecoslovacchia e Otpor in Serbia. Era contenta di aver creato da zero radio B92 o il quotidiano Oslobodjenje nella ex Jugoslavia, e una serie di nuovi media indipendenti nell’Iraq "liberato".
Cambiamenti di copertura.
Dopo un successo mondiale, la retorica della democrazia non è più convincente. Utilizzandolo in tutte le circostanze, il presidente George W. Bush l’ha esaurita. Nessuno può seriamente sostenere che le sovvenzioni versate dalla NED elimineranno il terrorismo internazionale. Non più di quanto si possa dire, a posteriori, che le truppe USA hanno rovesciato Saddam Hussein per dare la democrazia agli iracheni. Inoltre, i cittadini di tutto il mondo che lottano per la democrazia sono diventati sospettosi. Hanno capito che il sostegno offerto dalla NED e dai suoi tentacoli, è in realtà un modo per manipolare ed intrappolare il loro paese. Quindi si rifiutano sempre più le donazioni "disinteressate" offerte loro.
Anche i responsabili statunitensi dei diversi canali di corruzione hanno pensato di mutare nuovamente il sistema. Dopo i trucchi sporchi della CIA e la trasparenza del NED, hanno in programma di creare una nuova struttura che permetterà di rilanciare un’istituzione screditata. Non gestirebbe più sindacati, padronati ed i due maggiori partiti, ma sarebbero delle multinazionali sul modello della Fondazione Asia.
Negli anni ’80, la stampa ha rivelato che questa organizzazione era una copertura della CIA per combattere contro il comunismo in Asia. Fu poi dismessa e la sua gestione fu affidata alle multinazionali (Boeing, Chevron, Coca-Cola, Levi Strauss,... ecc). Questo restyling è stato sufficiente per far sembrare rispettabile un’organizzazione non governativa con una struttura che non ha mai smesso di servire la CIA. Dopo la dissoluzione dell’URSS, fu sdoppiata con un’altra, la Fondazione Eurasia, incaricata di portare avanti azioni sotto copertura nei nuovi stati asiatici.
Un altro tema discusso è se le donazioni per la "promozione della democrazia", dovrebbero assumere la forma di contratti per eseguire progetti specifici o delle sovvenzioni senza l’obbligo di un risultato. La prima opzione offre una migliore copertura giuridica, ma la seconda è molto più efficace nel corrompere.
Dato questo panorama, il requisito di Vladimir Putin e Vladislav Surkov per disciplinare il finanziamento delle ONG in Russia è legittimo, anche se la burocrazia che hanno sviluppato per questo è scandalosa e schizzinosa. Il dispositivo della NED, istituito sotto l’autorità del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, non solo non incoraggia gli sforzi democratici nel mondo, ma li avvelena.
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di Mario Correnti per Nena News
Molti attori internazionali ormai lo avevano dimenticato ma il principe Bandar bin Sultan, responsabile per la sicurezza nazionale saudita, contro ogni previsione nefasta, sembra aver sconfitto o almeno messo sotto controllo la malattia (si sussurra il cancro) che lo ha costretto in questi ultimi due anni a sottoporsi a quattro interventi chirurgici e ad osservare una lunga convalescenza che lo ha tenuto lontano dalla politica e della diplomazia.
Poi è venuto il giorno del grande rientro dell’uomo considerato il “falco” della politica saudita nonché principale contatto con i neocons e i conservatori statunitensi, a cominciare dall’ex presidente George W. Bush (Michael Moore gli ha dedicato ampio spazio nel suo Fahrenheit 9/11). E’ stato ambasciatore a Washington dal 1983 al 2005.
Le condizioni di salute di Bandar bin Sultan non sono chiare ma in ogni caso il suo ritorno a casa prelude ad un irrigidimento della politica saudita nella regione, nei confronti dell’Iran prima di tutto ma anche in Libano e Iraq, due paesi dove l’influenza saudita Arabia ha subito pesanti battute di arresto per mano dell’Iran e dei suoi alleati.
Ad accoglierlo il 14 ottobre al rientro a Riyadh, Bandar bin Sultan ha trovato il re Abdallah e un po’ tutti i pezzi da novanta della politica saudita ed un ricevimento che ha pochi precedenti almeno per gli standard sauditi. Cerimonie che smentiscono l’ordine che un anno fa re Abdallah avrebbe dato di escludere da ogni forma di attività politica Bandar bin Sultan sospettato di aver tramato contro di lui.
Secondo il solitamente ben informato giornale arabo online Elaph, quello di bin Sultan non sarà un ritorno di basso profilo alla politica. «Sarà l’artefice di una svolta di maggiore rigidità nelle dinamiche regionali contemporanea alla svolta conservatrice che avverrà nel Congresso americano dopo le elezioni di medio termine…alla luce anche della mancanza di qualsiasi speranza di successo del negoziato (israelo-palestinese», prevede Elaph. Ad aiutarlo, aggiunge il giornale online, sarà ancora una volta la sua spregiudicatezza, mostrata nelle tante missioni, legali e (soprattutto) illegali, nelle quali è stato impegnato nella sua carriera.
Bandar bin Sultan darà un impulso alla linea incerta seguita sino ad oggi dal ministro degli esteri Saud al Faisal, incapace di far valere il peso di Riyadh nel conflitto interno libanese come in quello iracheno e di contrapporre un argine alla crescente potenza iraniana nella regione. Magari ritentando di convincere il suo alleato libanese, il premier Saad Hariri, ad assassinare il leader di Hezbollah Hassan Nasrallah, come aveva riferito lo scorso agosto il sito Tayyar.org, organo ufficiale della Corrente dei Liberi Patrioti libanesi.
L’ex ambasciatore negli Usa proverà a riattivare l’asse Cairo-Riyadh-Rabat, allargandola ad altre petromonarchie del Golfo. In vista di quella guerra tra Israele e Iran che evidentemente ritiene ormai sicura e che richiede una Arabia saudita più forte di quella attuale.
(foto dal sito www.msnbc.msn.com)
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di Helena Hogan per Nena news
Gerusalemme. Fakhri Abu Diab interrompe l’intervista improvvisamente, quando il suono allarmante di fischi lo raggiunge dalla strada. Si alza e si precipita fuori dalla tenda del “Centro Al Bustan”, una struttura di legno fatta alla buona e ricoperta da un telo nero, sul quale sono affisse foto ingrandite che ritraggono alcune scene della lotta popolare di questa area di Silwan, quartiere di Gerusalemme Est occupata e presunto sito della Città del Re Davide. Lo stesso Davide che sfidò Golia.
Giovani ragazzi urlano e i fischi si moltiplicano mentre tre, poi quattro, jeep militari israeliane sgommano per poi fermarsi davanti alla tenda. Un gruppo di sei o sette soldati che indossano passamontagna neri e caschi, in tenuta antisommossa, salta giù, gridando e puntando gli M-16, in assetto da combattimento.
“Vedi cosa accade?” chiede retoricamente Abu Diab, “Questa è la nostra vita. Questo è il problema. E’ così qui ogni giorno ormai.”. Il suo sguardo passa dai soldati ai tre ragazzi piccoli, ad un metro di distanza che aspettano l’autobus. “E vedi quei bambini? Non hanno paura, non si spostano, restano lì…non vogliono dare ai soldati l’opportunità di sparare…vedi? Noi glielo insegniamo. Adesso le jeep se ne vanno.” Abu Diab, presidente del Comitato popolare dell’area di Al Bustan a Silwan e membro del comitato popolare generale di Silwan (che unisce tutte e 12 le zone di Silwan), si volta e torna sotto la tenda.
Costruita nel febbraio del 2009 dagli abitanti della zona, la tenda è il luogo d’incontro per la lotta popolare collettiva di Al Bustan, che tenta di proteggere 88 abitazioni, le case di più di 1.500 persone. 88 abitazioni i cui residenti hanno ricevuto multipli ordini di demolizione, perché al loro posto verrà attuato l’ampliamento del sito archeologico israeliano della “Città di Davide”, un progetto di recupero di un patrimonio culturale che le autorità israeliane vorrebbero fosse esclusivamente ebraico; un progetto che però comporta l’espulsione di decine di famiglie palestinesi, che ad Al Bustan vivono da secoli.
Alcune delle case di Al Bustan già segnalate per la demolizione, risalgono a prima della creazione dello Stato d’Israele nel 1948, mentre la maggior parte sono state costruite prima dell’occupazione israeliana di Gerusalemme Est nel 1967. Tutti pagano l’Arnona, la tassa municipale israeliana sui beni immobiliari, versata al municipio da quando Israele ha “annesso”, nel 1980, la parte est della città. Anche se dichiarata “nulla” dalla risoluzione ONU 478, in quanto atto che viola il diritto internazionale, quest’annessione continua a rappresentare una realtà di fatto che comporta conseguenze concrete per i palestinesi di Gerusalemme.
Abu Diab, come uno dei nove volontari eletti che formano il comitato popolare di Al Bustan, passa la maggior parte del suo tempo libero in contatto con gli avvocati che seguono gli 88 processi legali in corso nelle corti israeliane. E’ il portavoce di Al Bustan nelle riunioni con il municipio e tiene aggiornati i media, i suoi vicini di casa e i gruppi di attivisti israeliani sulle azioni militari e le demolizioni previste, attraverso il sito web del comitato e tramite contatti diretti.
Il centro Al Bustan dà luogo alla preghiera collettiva del venerdì, una protesta spirituale settimanale. In più, ospita campi estivi e corsi per il primo soccorso, la gestione della paura, il trauma infantile, e lezioni in lingua inglese ed ebraica.
Ma nonostante gli sforzi interminabili, dieci degli 88 edifici di Al Bustan sono già stati abbattuti. In più, tutti i suoi abitanti stanno pagando delle multe salate in quanto considerati occupanti abusivi, multe che ammontano a cifre pari ai 65.000 NIS (circa 13.000 euro), dal momento che i residenti rifiutano di andarsene.
“Non abbiamo nessun potere e Israele è al di sopra della legge internazionale, quindi cosa dobbiamo fare?” chiede Abu Diab, “Possiamo aiutare la gente a contattare gli avvocati, ad organizzare le manifestazioni…ma quando vedo i miei figli o mia moglie, loro non sono felici…Quando torno a casa, vedo la cucina, le camere da letto, la sala, e dico “forse questa è l’ultima cena, l’ultimo caffè, l’ultima volta che mi siedo con i miei figli in casa mia”…molte famiglie soffrono di problemi psicologici, e per affrontare questi problemi, noi, la comunità, non riusciamo ad aiutarli”.
Abu Diab cita come esempio un ragazzo di Al Bustan di sette anni molto studioso. Il suo maestro ha cominciato a preoccuparsi quando il bambino ha smesso di prendere dei buoni voti. Un giorno il maestro ha fermato il ragazzo e gli ha chiesto se aveva bisogno di aiuto per i suoi compiti. Gli ha detto di aprire lo zaino, e quando il ragazzo l’ha fatto, il maestro ha scoperto che dentro era pieno di giocatoli anziché libri di scuola.
L’insegnante si è recato dai genitori del ragazzo per discuterne con loro. Quando la madre gli ha chiesto perché aveva lo zaino pieno di giocatoli, il bimbo ha risposto che aveva sentito i genitori discutere di come la loro casa sarebbe stata distrutta, ma che nessuno sapeva esattamente quando. Ha spiegato, che stava portando con sé a scuola i suoi giocattoli preferiti, per proteggerli dai bulldozer.
Ma la grave situazione di Silwan non è limitata ad Al Bustan. Sul pendio adiacente, nella zona chiamata Baten el-Hawa, sette famiglie palestinesi, dell’edificio Abu Nab, sono sotto minaccia costante di “sfratto” da parte delle famiglie di coloni israeliani che occupano l’edificio Beit Yonatan, lì accanto. Abu Nab è costruito sul sito dove nel XIX secolo sorgeva una sinagoga yemenita, motivo più che idoneo per le autorità israeliane per sfidare il diritto di proprietà di qualsiasi palestinese. Appena più avanti sulla stessa strada, Zuhair Rajabi, padre di quattro bambini piccoli, passa buona parte del suo tempo a documentare sistematicamente la violenza che circonda casa sua, tramite sei videocamere che ha montato in tutti gli angoli del suo palazzo.
Vive accanto ad un’altra casa occupata di Silwan, il Beit al-’Asl (conosciuta come Beit Haduash dai suoi occupanti). Il fatto che Zuhair possieda i documenti che attestano l’acquisto di Beit al-’Asl da parte di suo zio dalle mani di un’altra famiglia palestinese, prima che anche questa casa venisse dichiarata di proprietà di coloni israeliani, finora non lo ha aiutato.
“Così stiamo lottando contro [i coloni] nel tribunale israeliano. Che cosa altro possiamo fare? Israele è forte e noi siamo deboli. Ogni settimana, due o trecento persone vengono alle riunioni del comitato popolare, ci stiamo chiedendo cosa possiamo fare, come possiamo resistere. L’ironia è che noi siamo residenti di Gerusalemme, quindi paghiamo le bollette dell’acqua, dell’elettricità, le tasse allo Stato d’Israele. E con questi soldi Israele finanzia il suo esercito e paga le sue forze di sicurezza per opprimerci”.
Zuhair mantiene contatti costanti con gruppi di attivisti israeliani come Tayoush, ICAHD, e Breaking the Silence, e fino a 20 attivisti alla volta passano la notte nel palazzo di Abu Nab per tentare di proteggere i suoi residenti palestinesi dai coloni israeliani. Insieme ai suoi video, Zuhair ha preservato tutti i bossoli degli M-16 che hanno colpito la sua casa e la sua macchina, e il fumogeno lanciato dentro la sua sala durante la notte del 26 giugno - l’ultima volta i coloni hanno deciso di mettere in scena un tentato esproprio “autogestito” di Abu Nab -casomai dovessero servire un domani come prove legali.
Nella vallata di Wadi Hilwe all’entrata di Silwan, una bambina minuta, di circa otto anni, figlia di coloni, cammina per la strada. E’ seguita da una scorta armata privata, a sua volta seguita da un jeep militare israeliana. Una fila di case occupate spuntano su tutta la strada, facilmente identificabili dalle grandi bandiere israeliane che sventolano dai balconi: case da cui le famiglie palestinesi sono state cacciate per fare spazio alle ragioni dei coloni israeliani.
La bambina e la parata armata che la scorta, sfilano di fronte al Centro di informazioni di Wadi Hilwe di Silwan, un’altra tenda fatta alla buona, eretta come risposta palestinese al Punto d’informazione turistico israeliano della Città di Davide, ubicato a pochi metri di distanza sulla stessa strada e circondato da soldati. “Abbiamo il diritto di raccontare la nostra storia qui e non soltanto di sentire gli altri che raccontano la storia di questo quartiere come se non fossimo mai esistiti qui”, spiega Nihad Siyam, uno dei membri fondatori del centro, “Siamo qui da migliaia di anni, anche se questo è un fatto che vorrebbero cancellare”.
Il centro funziona come base per i tour archeologici alternativi di Silwan condotti in collaborazione con gli archeologi israeliani di Emek Shaveh, che sottolineano il ruolo politico dell’archeologia all’interno del conflitto israelo-palestinese e promuovono una visione di proprietà collettiva del passato archeologico della zona piuttosto che la sua appartenenza esclusiva ad un solo gruppo etno-religioso.
Così Davide è diventato Golia: un campione dell’impunità internazionale, ingabbiato da Israele nel retaggio storico di una narrazione esclusivamente ebraica. E gli abitanti palestinesi di Silwan continuano le loro battaglie legali apparentemente senza speranza, dove la giustizia viene decisa dall’oppressore. Continuano con creatività ad ideare e ad organizzare iniziative dal basso, tecniche di resistenza e attività mirate a rafforzare la loro comunità. Ma per quanto tempo ancora Silwan potrà continuare a resistere di fronte a questa massiccia aggressione israeliana prima di esplodere affidandosi all’uso disperato di molto più che solo pietre e fionda?
(foto di Rebecca Fudala)
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di Nena news
Ramallah. Tutto pronto a Washington dove il presidente Usa Barack Obama, il leader palestinese Abu Mazen e il premier israeliano Benyamin Netanyahu oggi alle 16,00 ora italiana daranno inizio a colloqui che, nelle intenzioni americane, dovranno portare ad un accordo tra le due parti entro un anno. Tuttavia un profondo scetticismo circonda le trattative.
In casa palestinese non si ha alcuna fiducia in Netanyahu e si teme che Abu Mazen, sotto le pressioni americane, accetti una soluzione che porti alla nascita di uno Stato palestinese senza sovranità reale e alla rinuncia di diritti sanciti dalle risoluzioni internazionali, come quello al ritorno nella terra d’origine per i profughi palestinesi.
Molto attive nella protesta contro la ripresa delle trattative sono le forze della sinistra palestinese. Centinaia di attivisti del Fronte popolare e del Fronte Democratico hanno manifestato ieri nelle strade di Ramallah, coinvolgendo militanti e simpatizzanti di altre fazioni politiche, inclusi quelli di Fatah, il partito di Abu Mazen, che dissentono dalla decisione presa dalla leadership dell’Anp.
«Gran parte dei palestinesi contestano queste trattative – spiega a Nena News la deputata del Fronte popolare Khalida Jarrar - è stato un gravissimo errore accettare questi colloqui senza fare dei riferimenti precisi alle risoluzioni dell’Onu e ottenere garanzie internazionali riguardo la fine della colonizzazione israeliana dei nostri territori». Secondo Khalida Jarrar «Abu Mazen e altri esponenti palestinesi non hanno imparato dagli errori del passato». Israele, afferma la parlamentare, «ha usato le trattative, dal 1991 a oggi, per attuare la sua politica di colonizzazione e di aggressione quotidiana verso il popolo palestinese, con il consenso aperto degli Stati Uniti e quello tacito di molti governi». L’unica soluzione possibile per il conflitto israelo-palestinese, dice Jarrar, «è fare riferimento alle risoluzioni dell’Onu e alla legalità internazionale».
Altri esponenti dell’opposizione accusano Abu Mazen di aver costruito le basi per una nuova campagna internazionale di accuse contro i palestinesi. Nessun leader politico palestinese, spiegano, può accettare le condizioni che Israele pone per consentire la nascita dello Stato di Palestina. Pertanto, quando il negoziato arriverà ad un punto morto, gli Stati Uniti e altri paesi daranno la colpa del fallimento ai palestinesi.
Partiti e gruppi dell’opposizione laica palestinese hanno creato una «commissione nazionale» incaricata di organizzare le prossime manifestazioni di protesta, se l’Anp ne permetterà lo svolgimento. Nei giorni scorsi, sempre a Ramallah, i servizi segreti agli ordini di Abu Mazen sono intervenuti per sciogliere con la forza un convegno organizzato dalla sinistra palestinese contro la ripresa dei negoziati diretti con Israele.
Ma la protesta non e’ circoscritta solo alla sinistra palestinese e al movimento islamico Hamas, che nelle ultime due ore, con agguati compiuti in Cisgiordania dal suo braccio armato contri i coloni, ha espresso in modo inequivocabile il suo giudizio dei negoziati. Il dissenso e’ forte anche in Fatah, il partito di Abu Mazen e spina dorsale dell’Autorita’ nazionale palestinese. «I negoziati sono destinati al fallimento», ha detto Marwan Barghouthi, il leader piu’ popolare di Fatah, in prigione in Israele dal 2002, in un’intervista al giornale arabo ‘al-Hayat’. “In linea di principio non sono contrario alle trattative (con Israele) – ha spiegato Barghuti – ma i palestinesi in questo caso le hanno accettate solo in seguito a pressioni esterne”.
In particolare, ha aggiunto, «Abu Mazen ha ripreso i colloqui per le pressioni dei paesi arabi, non perché sia convinto della concretezza dell’iniziativa». «Queste trattative falliranno, così come è avvenuto in passato, perche’ Israele non ha intenzione di arrivare alla pace e non rispetterà gli impegni», ha concluso il leader di Fatah.
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di Nena news
I tamburi di guerra hanno rullato con forza ieri al confine tra Libano e Israele lasciando intravedere quel nuovo conflitto tra i due paesi del quale si parla da tempo e che, secondo diversi analisti, potrebbe anticipare o essere parallelo all’attacco israeliano contro le centrali atomiche iraniane. La preparazione alla nuova guerra in Medio Oriente prosegue mascherata dagli accordi che Tel Aviv e Washington continuano a stringere nel settore strategico della difesa antimissile. L’ultimo è stato reso noto martedì.
Il ministero della difesa israeliano, rappresentato dall’ammiraglio Ophir Shoham, e il generale Patrick J. O’Reilly a nome del Dipartimento di Stato Usa, hanno firmato un accordo per lo sviluppo congiunto del sistema anti-missile ad alta quota Arrow-3 che permetterà a Tel Aviv di intercettare fuori dall’atmosfera terrestre i missili balistici a lunga e media gittata, di fatto l’unica arma in possesso dei paesi arabi per colpire Israele in caso di conflitto e dell’Iran per rispondere ad un attacco israeliano contro le sue centrali nucleari.
L’Arrow-3 rappresenta uno degli anelli fondamentali del sistema di difesa integrato anti-missile e anti-razzi che Israele e Stati Uniti continuano a sviluppare in Medio Oriente. Nelle scorse settimane Tel Aviv aveva annunciato l’operatività dell’Iron Dome (Cupola di Ferro) contro razzi di diverso calibro, che verrà dislocato a partire da novembre grazie anche ai 205 milioni di dollari messi a disposizione dal Congresso Usa su richiesta del presidente Barack Obama (un aiuto straordinario oltre i 3 miliardi di dollari che Washington versa annualmente a Israele).
Israele si prepara a schierare l’Iron Dome a nord, al confine con il Libano, e a sud nei pressi della Striscia di Gaza. Il sistema sorveglierà città fino a 120 mila abitanti per mezzo di missili che, guidati da un radar di ultima generazione, potranno intercettare e distruggere in volo «razzi-ostili», entro un raggio di 5-70 km. Una protezione di eccezionale importanza per Israele se si tiene conto che nel 2006, quando Tel Aviv attaccò in Libano, Hezbollah fu in grado rispondere colpendo l’intera Galilea con circa 4mila razzi katiusha.
Le perdite civili furono minime di fronte all’elevato numero di razzi piovuti nel nord del paese (i libanesi uccisi dai bombardamenti invece furono 1.200) ma i riflessi psicologici furono devastanti, con un milione di cittadini israeliani che abbandonarono le loro case per spostarsi nelle zone centro-meridionali del paese. Israele ha avviato la sperimentazione anche di un terzo sistema anti-missile/anti-razzo del quale al momento si sa poco ma che potrebbe diventare operativo già nei prossimi mesi.
Tel Aviv nel frattempo continua a lanciare avvertimenti sul ruolo dell’Iran nella regione, lasciando intendere che non esiterà, se lo riterrà necessario, ad usare la forza militare contro Tehran. Un editoriale apparso ieri sul quotidiano Haaretz, considerato il più autorevole di Israele, mette in guardia che il progressivo ritiro delle forze Usa dall’Iraq - Obama ha confermato che alla fine di agosto saranno ridotte a 50mila soldati - rappresenta una «minaccia» per la sicurezza di Israele ma anche dell’Arabia Saudita e della Giordania (paesi arabi «moderati» nei confronti dello Stato ebraico e alleati degli Usa).
Secondo Haaretz l’assenza di un nuovo governo iracheno e l’evidente debolezza del potere esecutivo in Iraq offrirebbero ampio spazio di manovra all’Iran che appoggia i due principali candidati alla carica di premier Nouri al-Maliki e Iyad Allawi. Baghdad, prosegue il quotidiano israeliano, senza l’occupazione Usa, aderirà all’«asse pro-Iran», con Siria e Turchia, e rappresenterà una minaccia anche per Arabia saudita e Giordania. Il primo ministro israeliano Netanyahu, conclude Haaretz, ha già espresso i suoi «timori» al Segretario alla difesa americano Robert Gates circa «l’emergenza proveniente dal nuovo fronte orientale».