di Maurizio Coletti

Il tentativo di costruire una nuova politica sulle droghe, meno inutilmente repressiva, più pragmatica ed efficace, rischia di arenarsi sulle secche dei moralismi, dei sacri principi, dei “non possumus”, delle timidezze. Del resto i segnali già c’erano, abbondanti. I caporioni di AN, con l’accompagnamento di Giovanardi, avevano iniziato a suonare grancasse e tromboni sul fatto che “sulla droga non si transige, è droga e basta”. Droghe e drogati visti come il grande pericolo per la società e, manco a dirlo, per la famiglia. I teo-dem si sono subito fatti vivi sui principi, più sacri che laici. Costoro sono certi che l’uso di droghe sia sempre e comunque moralmente riprovevole e si oppongono a qualsiasi approccio moderno, tollerante ed efficace verso usi ed abusi. L’arruolamento dei temi delle droghe in quelli “eticamente sensibili” è supportato da molti. Come già ricordato in altre occasioni, Fassino individua una connessione tra le droghe, i Dico, la procreazione assistita ed altre faccende; su questi, afferma, occorre agire con cautela e con grande delicatezza. Il che equivale alla paralisi completa, come è noto.

di Alessandro Iacuelli

La decisione dei leader dell'Unione Europea è di quelle che già stanno facendo discutere: con un accordo di principio, che spetterà ora alla Commissione europea precisare nelle sue concrete modalità attuative, entro il 2020, il 20% dell'energia consumata in Europa dovrà essere prodotta da fonti "pulite" (attualmente siamo al 7%), il 10% dovrà obbligatoriamente essere costituito da biocombustibili; inoltre, le emissioni di gas ad effetto serra dovranno essere ridotte del 20% rispetto ai livelli del 1990 ed i consumi energetici dovranno essere tagliati del 20%. Tutti i leader europei hanno salutato con entusiasmo l'accordo e qualche tono trionfalistico è stato assunto anche da alcune organizzazioni ecologiste, per quello che viene considerato un piccolo importante passo avanti nella giusta direzione. A prima vista.

di Alessandro Iacuelli

Non si salvano neanche le Marche dall'essere pattumiera dei rifiuti tossici industriali del Nord. Secondo quanto scoperto dai carabinieri del Nucleo Operativo Ecologico di Ancona, ci sono rifiuti provenienti soprattutto da Veneto e Lombardia e smaltiti illegalmente al ritmo di sei o sette camion al giorno. Dopo Campania, Puglia, Basilicata, basso Lazio e Abruzzo, con l'operazione "Arcobaleno", coordinata dal sostituto procuratore di Pesaro Massimo Di Patria, viene alla luce anche lo scenario inquietante dell'Italia centrale. Secondo quanto emerso dalle indagini, fra il 2003 e il 2006, tonnellate di scarti di lavorazioni industriali, classificati come rifiuti speciali, tra i quali fanghi, bitume, amianto, vernici e altri materiali pericolosi per la salute, venivano avviati verso discariche o impianti non autorizzati dopo un semplice "lavaggio" con acqua. Con bolle di accompagnamento falsificate, relative a materiali di recupero industriale già trattati precedentemente.

di Agnese Licata

Cosa succede se la guardia che dovrebbe difendere, proteggere, tutelare i diritti di tutti finisce per essere un ladro? Cosa succede se, contemporaneamente, colui a cui il ruolo di ladro è stato assegnato da uno stereotipo becero quanto incivile si scopre vittima di un furto? Cosa succede se quattro poliziotti decidono di arrotondare lo stipendio derubando alcuni immigrati, sfruttando la propria divisa da ufficiali dello Stato per entrare nelle case di chi i soldi che guadagna li accumula per spedirli a famiglie lontane? Cosa succede se costoro, approfittando della ricattabilità e della debolezza che contraddistingue l’immigrato post Bossi-Fini, si permettono anche il “lusso” di ammanettare le proprie vittime, così, tanto perché a volte è bello giocare fino in fondo al Giano bifronte, guardia e ladro contemporaneamente? Succedono tante cose, ma poche di quelle che ci si aspetterebbe accadessero in una società civile che, per potersi a ragione dire tale, dovrebbe attaccare, emarginare,comunque denunciare eventi del genere.

di Liliana Adamo


Tra marzo e aprile dello scorso anno i segnali forti arrivarono dalla Francia, un paese che si è sempre caratterizzato come primo consegnatario dei venti contrari che animano l’Europa: la “low cost génération”, appellativo che si sono dati i giovani precari d’oltralpe, assediava Parigi a suon di proteste, mentre Villepin continuava a difendere strenuamente il “ Contrat première embauche”, contratto di primo impiego, con il quale le imprese avrebbero assunto giovani fino a 26 anni per licenziarli nei primi due anni di lavoro senza particolari restrizioni. In Italia si temevano le medesime conseguenze con l’avvento del “lavoro interinale” e l’attuazione del nuovo “statuto dei lavoratori”, consegnato dalla legge Biagi; ma, in realtà, è andata peggio. Il decisionismo dei francesi nello sciopero e nella protesta sembra non contagiarci più di tanto, al suo posto e a distanza di un anno, registriamo soltanto una sorta di malcontento diffuso, d’attesa e rassegnazione.


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