di Luca Mazzucato

NEW YORK. "Io amo la vita e le donne!” Un merito va certamente riconosciuto a Silvio Berlusconi. Con la sua vita spericolata, finalmente abbatte un tabù: la sessualità nella terza età. Tra gli ultrasettantenni è boom nell'uso di medicinali per curare le disfunzioni erettili, grazie anche al meritorio esempio del nostro premier, che non lesina certo sul loro utilizzo, tra pillole, pomate e siringoni, come raccontato dalle cronache mondane.

Celebre la frase riferita da Guzzanti (Paolo, non Corrado) su una conversazione tra il giornalista e l'allora Presidente del Milan.  Erano i primi anni novanta: Berlusconi gli fa, ammiccante, “Con questa pillola ne mando storte due al giorno [di ragazze, ndr].” Ora la pillola non basta più, gli serve una bella siringa, ma di sicuro la frequenza non è diminuita!

La vera rivoluzione dell'Italia berlusconiana si è infine dispiegata, anche se gli anziani del nostro Belpaese han dovuto pazientare ben sedici anni (in cui gli sono stati sempre fedeli sostenitori, questo va riconosciuto). Dopo una frementa attesa, è ora un'esplosione dei sensi. Harem femminili. Sesso di gruppo nel dopocena, con ambientazioni esotiche. Ragazzine minorenni. Donne a pagamento, perché anche l'anziano ha diritto alla professionalità.

Il successo della hit degli Elio e le Storie Tese su youtube ha rilanciato in particolare una pratica tribale, tramandata secondo tradizione orale dal leader libico Gheddafi al nostro Primo Ministro: si tratta del bunga bunga. Il termine si riferisce alla pratica dello stupro anale di gruppo, inflitto come punizione a chi oltrepassava i confini territoriali di una tribù avversaria. Oppure, nella più attuale interpretazione del proprietario di Mediaset, per chi passa alla concorrenza Rai. Serena Dandini suggerisce di rimpiazzare il nostro noioso inno nazionale con il più eccitante “Bunga Bunga,” per far sentire un po' più a casa anche i nostri fratelli immigrati provenienti dal Nord Africa. Ma la rivoluzione sessuale berlusconiana non si ferma al sesso di gruppo per anziani, la sua portata è deflagrante. Ce ne sarebbe abbastanza per una puntata di Costume e Società.

Parliamo di una pratiche che in America è rinomata. Le giovani ragazze “cercatrici d'oro” sono libere di realizzare la loro fantasia sessuale: chi ha il feticcio dello zio, chi del nonno, chi persino del padre. Sono tutte alla ricerca del loro sugar daddy. Ovvero un gentiluomo maturo, spesso anziano, con molto denaro e di cuore generoso. Che per una giornata passata insieme possa dar loro una bella busta colma di contanti, a volte settemila (ad Arcore), a volte diecimila (a Villa Certosa), anche se a volte bisogna accontentarsi di mille (a Palazzo Grazioli).

E infine anche in Italia, come in tutti i Paesi avanzati, cade il tabù dei tabù. Gli anziani che hanno tenere relazioni sentimentali con ragazzine minorenni non saranno più discriminati, ma potranno rivendicare il loro tenero amore, con la schiena dritta. E, perché no, unire la loro predilezione per la carne fresca con la pratica del bunga bunga.

Nei paesi del Nord Europa questo particolare gusto sessuale si è istituzionalizzato in associazioni e organizzazioni, persino in formazioni politiche, come il Partito dei Pedofili Olandesi. "Educare i bambini significa anche abituarli al sesso. Proibire rende i bambini ancora più curiosi", ha dichiarato Ad van den Berg, 62 anni, fondatore del partito. Dodici anni di meno del nostro Presidente del Consiglio.

Siamo quindi finalmente all'avanguardia nell'ultimo traguardo di ogni vera liberazione sessuale che si rispetti: gli ultrasettantenni possono rivendicare il loro diritto alla sessualità, anche con minorenni e bambini. Il politico olandese afferma che il Partito ha tra i suoi obiettivi la liberalizzazione della pornografia infantile e i rapporti sessuali fra adulti e bambini. Un punto di convergenza tra i movimenti europei per i diritti civili e il governo italiano, che dovrebbe mostrare più coraggio su questo fronte.

Il partito olandese, sul suo sito internet, afferma che chiunque abbia compiuto 16 anni dovrebbe poter interpretare film porno. Ruby di sicuro se la cava in pose erotiche, per gli occhi adoranti del nostro premier settantaquattrenne. È forse chiedere troppo che anche il PdL apra le porte alla modernità, smentendo l'accusa di Fini di essere su queste istanze il partito più arretrato d'Europa?

Negli ultimi colpi d'ala del governo Berlusconi quater, il premier, con un un sussulto d'onore patriottico, ha inasprito le pene contro la prostituzione da strada, praticata da donne straniere, che rubano il lavoro alle prostitute italiane, le quali esercitano più spesso in casa, in Villa o a Palazzo. Ma non sono tutte rose e fiori. L'aumento dell'attività sessuale tra gli anziani, spesso disinformati sulle malattie a trasmissione sessuale, sta portando su questo fronte ad una vera e propria epidemia. A cui contribuisce anche il cattivo esempio, questo sì, del nostro premier, che si fa vanto di non usare il guanto. Dimenticanza che può essere estremamente pericolosa, soprattutto nel caso di comportamenti ad alto rischio con prostitute minorenni.

di Bruna Brioni

"Non molliamo" hanno detto i cinque immigrati dalla gru, dove da giorni sono arrampicati a 35 metri d'altezza, dopo che ieri nel primo pomeriggio uno di loro ha deciso di scendere. L'immigrato, che ha resistito ben undici giorni, pare sia stato accompagnato in questura non appena toccato il suolo di Piazzale Cesare Battisti a Brescia. Le condizioni di salute del giovane immigrato di origini indiane sembra non fossero affatto buone.

Il questore di Brescia, Vincenzo Montemagno, ha però chiarito che “l'immigrato sceso dalla gru è stato subito visitato. Le sue condizioni di salute sono più che buone'', ha aggiunto e ''l'immigrato é stato nutrito e ora si sta valutando la sua posizione''. Ma la protesta continua. Gli altri immigrati restano su.

Dopo i momenti critici di lunedì scorso quando la polizia ha cancellato il presidio a sostegno dei sei immigrati e distribuito manganellate, cariche ed arresti, la situazione è in una fase di stallo. Di fatto il presidio smantellato per ragioni di sicurezza, si è trasformato in una manifestazione permanente e si è spostato di una trentina di metri dalla gru, animandosi di numerose iniziative di solidarietà: dai cittadini, alle associazioni antirazziste,  ai comitati è un spontanea e continua protesta.

Le notizie di queste ultime ore ci vengono dalla conferenza stampa indetta nel primo pomeriggio dalle associazioni che fino ad oggi hanno sostenuto la lotta degli immigrati. La richiesta è di una tregua di 48 ore per allentare la tensione e prendere in esame una serie di questioni – condizioni. Si chiede di allentare la presenza delle forze dell'ordine e ripristinare una normale circolazione della zona che da lunedì risulta "bonificata".

Inoltre, si vorrebbe anche che i cinque lassù non rimanessero di fatto isolati, dato che non hanno più alcun modo di comunicare con il resto del mondo sotto di loro, se non gridando da 35 metri d'altezza. Per scongiurare qualsiasi "incidente", anche dovuto a reazioni scomposte dei cinque, le altre richieste riguardano la sicurezza: niente più tentativi di posizionare le reti sotto la gru e dotare i cinque di imbragature di sicurezza. Gli ultimi tentativi di posizionare la rete avevano prodotto reazioni molto forti nei sei immigrati. Nella giornata di martedì si erano molto agitati temendo fosse il preludio ad un intervento di forza e alcuni di loro avevano percorso gran parte del braccio sospeso nel vuoto della gru, lanciando alcuni oggetti.

La paura è che le reazioni fuori controllo e il gelo di questo stallo porti a qualche epilogo tragico. Proprio ieri infatti il prefetto Livia Narcisa Brassesco Pace, dopo il nulla di fatto con sindacati e opposizione, ha dichiarato che “nessun tavolo di trattativa, nessun permesso di soggiorno sarà concesso fuori dalle leggi italiane". E ha aggiunto, a sfregio di qualsiasi tentativo di sbloccare l'empasse "aspetteremo giorni, anche settimane".

Si attende quindi che chi è salito, semplicemente scenda. Se da un lato si scongiura così l'ipotesi temuta in questi giorni di un tentativo di farli scendere con la forza, dall'altro sfuma ogni possibilità di gestione del problema, di trattativa e di mediazione. Intanto la zona è sostanzialmente blindata, mentre il tempo scorre e le condizioni dei cinque rimasti sulla gru si fanno ogni giorno più difficili, sia per lo stress che per la fatica fisica di una condizione molto dura, per il freddo e per il consumarsi di energie e lucidità. Lo smantellamento del presidio che fino a lunedì’ consentiva loro di ricevere assistenza dai loro compagni, amici o dai comuni cittadini presenti li ha lasciati senza speranza. Il cibo della polizia,anche se preparato dalla Caritas locale, non lo vogliono.

Di certo gli immigrati in lotta per il permesso di soggiorno, negato a causa del “trucchetto” dell’inserimento nell’ordinamento del reato di clandestinità e dai datori di lavoro dileguatisi nella notte, prima o poi scenderanno. Ma su quella gru rimangono sospesi i diritti negati a tanti e insieme a loro tramonta il futuro di un’altra Italia. Questa protesta evidenzia quanto questo paese abbia rinunciato a gestire politicamente e fino in fondo l’immigrazione. Intanto i riflettori restano accesi e stasera Brescia conoscerà le luci della ribalta del teatro di Santoro e di Annozero. C’è chi già spera che l’effetto tv possa dare una svolta alla situazione. Anche soltanto un filo di  voce a questi  lavoratori che qualcuno chiama clandestini.

 

di Bruna Brioni

Sono sei gli immigrati che da dieci giorni stanno su una gru del cantiere del Metrobus in Piazzale Cesare Battisti a Brescia. La loro protesta era iniziata lo scorso 29 settembre con un corteo, seguito subito dopo da un presidio permanente davanti all’ufficio unico della Prefettura di via Lupi di Toscana (ex caserma Randaccio) dove è iniziato lo sciopero della fame. Quando il presidio è stato smantellato, sei immigrati hanno deciso di salire sulla gru e restarci, ad oltranza, fin quando non avessero avuto quel permesso di soggiorno che per loro e per le loro famiglie significa futuro. Significa vivere.

In questi giorni durissimi, per i sei sulla gru la solidarietà non è mancata: contributi spontanei della gente comune, impegno costante di attivisti e associazioni come l’Associazione diritti per tutti, unita all’informazione costante dell’emittente locale Radio Onda d’Urto e dei quotidiani locali. Ieri mattina però, la vicenda ha superato la provincia di Brescia per arrivare alla cronaca nazionale, grazie ad un bliz delle forze dell'ordine che hanno sgomberato il presidio sotto la gru, davanti al cantiere del Metrobus.

Sono state fermate e portate in questura molte persone, tra immigrati e attivisti, così come parecchi giornalisti che stavano semplicemente facendo il loro lavoro. Sarebbero 19 le persone tradotte dalla polizia (ma il numero non è ancora confermato) alcune delle quali finite in ospedale. In questura é finito anche Umberto Gobbi, portavoce dell'associazione Diritti per tutti che ha accompagnato e assistito fin dall'inizio la lotta degli immigrati. Così la situazione è ormai sfuggita di mano. Sospesi a 35 metri d'altezza, gli immigrati non danno segno di cedimento: vogliono il permesso di soggiorno cui pensavano di avere diritto con la richiesta di regolarizzazione.

Gente comune, attivisti, associazioni per i diritti, a più riprese sono stati caricati e spinti il più lontano possibile. La tensione è alle stelle. Nella zona attorno al cantiere, presidiata dalle forze dell'ordine e non accessibile, si respira un'aria pesante. Basti pensare che uno degli immigrati sulla gru, dopo lo smantellamento del presidio, si è legato un cappio al collo, altri si sono spostati lungo il braccio della gru stessa: sono seduti lì, sul braccio della gru, con le gambe a penzoloni che gridano di tanto in tanto la loro resistenza spalleggiati da coloro che stanno giù, davanti al cordone della celere.

Da qualche ora le forze di polizia rafforzano il presidio della zona e tengono lontano chiunque debba transitare il Piazzale per qualsiasi motivo. La stanchezza, la tensione, la disperazione, fanno temere coloro che sono in strada con il naso all’insù che qualcuno di loro possa fare un gesto estremo se la polizia cercasse in qualche modo di intervenire per farli scendere.

"Poliziotto sei responsabile. Non abbiamo paura, provate a farlo". Queste le parole scandite a più riprese dai sei sulla gru. Sembra che sia intenzione delle forze dell'ordine procedere al posizionamento di reti protettive sotto la gru e il braccio orizzontale, in modo da poter intervenire per porre fine alla protesta. Questa sembra l'unica soluzione cui sono riusciti a pensare il sindaco e il suo entourage dopo vari ultimatum.

La situazione è scivolata di mano e arrivata a questo punto perché le richieste degli immigrati non sono state accolte e loro tengono duro. Non scendono. Vogliono una vita alla luce del sole. Niente clandestinità. Queste le richieste dei sei sospesi a 35 metri d'altezza, che con un video messaggio si sono anche rivolti al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano: "Ci rivolgiamo direttamente al presidente Napolitano, che è anche il nostro presidente". Questo l'appello del messaggio registrato da un giornalista di Rai Educational, Emilio Casalini.

Se da un lato sembra che il tavolo delle trattative si riunisca nel pomeriggio, dall’altro molte sono le voci che ipotizzano un intervento pesante delle forze dell’ordine sulla gente per strada e per far scendere in un modo o nell’altro i sei sulla gru entro oggi.
Nel frattempo si attende. Nessuno sa bene cosa aspettarsi né come evolverà la situazione nelle prossime ore. Intanto, nonostante il cordone di polizia, molta gente sta facendo sentire la propria solidarietà continuando a stare in strada e rispondendo alla voce degli immigrati sulla gru. Tocca ora alle forze dell’ordine decidere la strada da percorrere. La disperazione degli immigrati non gode del lusso di poter scegliere.

 

di Rosa Ana De Santis

Sono 5 e sono arrampicati e sospesi in cielo, su una gru, ormai da sabato scorso. Il vento gli ha strappato il debole riparo di una tenda e le coperte. Ma vanno avanti, anche se, insieme alla pioggia, la stanchezza s’infila nelle loro ossa. Siamo a Brescia, terra di fatica per tanti e di ricchezze insultanti per qualcuno. Poche le telecamere e i giornalisti mobilitati, non tutti gli immigrati sono uguali. La notizia che tira e che fa vendere i giornali é quella del bunga bunga di casa Arcore e di una giovanissima immigrata che si esibisce in danze pubiche per vivere e che può contare sulla carità ormonale del nostro premier. Non va così per i nostri immigrati in rivolta, esclusi dalla sanatoria.

Aruf, uno di loro, lavora in Italia dal 2006. Anche dieci ore al giorno per 500 Euro. Briciole. Non ha trovato nessun samaritano lungo il suo percorso di schiavitù, ma un datore di lavoro che è scappato e che nullificato così la sua domanda, legittima, di sanatoria. Così per tutti gli altri, per i quali i permessi di soggiorno rischiano di non arrivare mai, per la colpa di esser stati truffati dal cantiere o dalla ditta che li faceva lavorare. Sajad, 27 anni, è un laureato con un master in lingue, Jimi, egiziano, 25 anni  vive nel nostro paese da quando ne aveva 20, lavorava sei ore al giorno per 650 euro come operaio metalmeccanico, Rachid, 35enne marocchino, Singh, 26 anni.

Le storie della truffa sono moltissime. Lavori perduti a un passo dalla domanda per finire di nuovo nel sommerso, italiani che hanno intascato soldi per i contratti e che poi si sono dileguati. La storia della legalità dell’immigrazione è fatta di questa cronaca qui, tutta italiana, che annienta la vita degli immigrati dopo averli spremuti e che li tiene nella schiavitù con la mannaia dell’espulsione. Il mercato delle assunzioni fittizie, generato dalla mitica sanatoria, non è fatto di una manciata di casi isolati, ma di tantissime storie di stranieri finiti sul lastrico e truffati dagli italiani. Spesso fino a 10mila euro per un’assunzione fantasma e senza alcuna possibilità di tutela giuridica.

I 5 sulla gru ne sono la metafora estrema. Soltanto a Milano, la sanatoria di colf e badanti (che lascia a piedi tanti altri lavoratori, va ricordato) ha visto almeno 400 stranieri ingannati che non hanno potuto nemmeno, per non autodenunciare l’assunzione finalizzata alla sanatoria, denunciare gli italiani che, ovviamente, l’hanno fatta franca. Indisturbati.

E come non pensare poi a tutti quei lavoratori che si sono ammalati e che sono rimasti sul lastrico insieme alle loro famiglie. Abbandonati da chi doveva metterli in regola - o così aveva promesso - a prezzo di ore e ore pagate in nero a una manciata di Euro. Dell’illegalità che trae profitto in tutti i modi possibili dalla debolezza degli immigrati non parla nessuno e si preferisce esibire la propaganda della clandestinità, perché questa è lo strumento emotivo più efficace per impedirgli di rivendicare diritti e tutela giuridica, lasciando che la disperazione si trasformi indisturbata e silenziosa in una forma contemporanea di schiavitù, di cui le istituzioni si occupano solo negli spot televisivi.

Ma quando la tv si spegne, questi stranieri tornano ad essere fantasmi. Quando delinquono, ma anche quando lavorano, quando entrano nelle case degli italiani, quando i loro figli vanno a scuola o pregano in una moschea, quando si ammalano o cadono dalle impalcature dei cantieri. Continuano ad essere invisibili.

E’ il caso di Bhuya, un bengalese vittima di una selvaggia aggressione razzista nella città di Roma. Lavorava come ambulante e domestico, ma dopo le ferite e i traumi dell’aggressione non può tornare alla vita di prima. Ha chiesto invano aiuto ai servizi sociali e al sindaco Alemanno. Ed ancora c’è il caso del coraggioso Bilal che ha affrontato un rapinatore durante il colpo alla stazione di benzina in cui lavorava e che come premio ha ricevuto un foglio di via. E’ la violenza confusa con la fermezza della legge il dato distintivo che l’Italia riserva agli stranieri.

Ed è tutta questa cronaca che rende orribile la notizia del giorno sull’escort Ruby, marocchina e minorenne, che dice di aver trovato la Caritas a Villa Certosa. E ancora più ripugnante il viaggio nel mondo delle donne straniere in vendita, trasformato in una commedia irriverente e kitsch da ragazzine a caccia di tv e uomini anziani delle Istituzioni che usano il potere per avere quello che da soli non possono conquistare più.

Dimenticando la politica, le sue ragioni, il contegno delle istituzioni e portando il privato nelle sale delle decisioni politiche. E dimenticando i fantasmi. I cinque disperati che per rendersi visibili si sono rannicchiati nel vuoto, appesi su tubi di ferro. Dovranno buttarli da lassù per farli tacere. Questa è l’unica loro forza. Morire per rivendicare un diritto. Loro non hanno altri mezzi. Non fanno festini, non si offrono al rito del bunga bunga organizzato dal gruppo dei guardoni senili, non vogliono un posto da velina. Non hanno incontrato Silvio Berlusconi. Sono uomini e hanno più di 18 anni.

di Rosa Ana De Santis

Il dossier Caritas- Migrantes, presentato qualche giorno fa, parla chiaro sui numeri dell’immigrazione e con la stima di quasi 5 milioni di stranieri sul territorio nazionale supera di circa 700mila unità le stime dell’ISTAT. Ma all’aritmetica spicciola aggiunge alcuni dati importanti: la dislocazione geografica, l’apporto al fisco, l’occupazione. L’immigrazione arriva principalmente da Albania e Romania, al terzo posto troviamo gli africani. E’ il Nord ad accoglierne la maggior parte, circa il 60%.

Braccia per tante attività economiche trascurate, figli, e quindi riduzione dell’invecchiamento generale della popolazione italiana sono - tra gi altri - i contributi più significativi che gli stranieri stanno portando nel nostro paese. Molte le unioni “miste” e non soffrono più delle altre di crisi coniugali e separazioni. Una novità che fonde tradizioni e culture e che é destinata a mutare profondamente costumi e comportamenti sociali.

Non c’è alcun nesso tra l’aumento degli stranieri e le denunce; la criminalità degli stranieri regolari è uguale a quella degli italiani, così come nelle regioni a maggior incidenza d’immigrati (irregolari compresi) non c’ è stato alcun aumento di criminalità. La mancanza di questo legame, peraltro confermato ripetutamente anche dalle analisi ISTAT, conferma chiaramente quanto gli stereotipi e i pregiudizi abbiano condizionato il dibattito politico e i comportamenti sociali sul fenomeno dell’immigrazione. Ed è proprio il Ministero dell’Interno a dirci che non c’è un legame causale tra l’aumento dell’immigrazione e della criminalità. Possiamo dire con tranquillità che la piaga della mafia e della malavita infiltrata a tutti i livelli, esisteva ancor prima degli sbarchi di Lampedusa.

E’ evidente come non ci sia altra strada di convivenza, per un processo inarrestabile, che non passi per l’integrazione. Una strada affatto semplice, che vede nell’elemento femminile il motore della trasformazione. Molto importante è, infatti, il ruolo delle donne in questa fase delicata di conoscenza, di scambio culturale e di creazione di nuovi equilibri.

La percezione che gli italiani hanno del fenomeno dell’immigrazione è molto lontana da questi numeri. Quelli che sentiamo negli autobus al mattino, quelli che vogliono mandarli a casa, quelli che li accusano di rubare il lavoro ai figli laureati, ancorano a teorie fasulle un rozzo ed elementare razzismo di pancia. I numeri dell’immigrazione italiana, infatti, sono tra i più bassi d’Europa. La presenza forte dei romeni (categoria invisa all’italiano medio) è stata determinata soprattutto dall’inclusione della Romania nella UE e, quindi, dalla conseguente libertà di circolazione riconosciuta ai romeni, come a tutti i cittadini europei.

I clandestini sono soprattutto gli asiatici e non, come si crede, i gitani, gli albanesi o i marocchini. La maggioranza degli immigrati, inoltre, è cristiana e non musulmana, come gli spauracchi dell’integralismo propagandati dalla Lega Nord vorrebbero far credere. Andando al tema del lavoro, bisogna riconoscere che gli stranieri sono andati a riempire vuoti occupazionali generati, nel nostro paese, soprattutto da ragioni demografiche (il calo pauroso delle nascite, ad esempio) e che tutti gli altri lavorano a nero nelle occupazioni più umili, pur vantando qualifiche e titoli di studio.

Questa fotografia della nuova società italiana ci offre diversi spunti di ragionamento. Il primo è che questo paese sta cambiando volto irreversibilmente. Che il percorso d’integrazione è molto difficile e lungo. E soprattutto emerge quanto sia necessario attrezzarsi politicamente per fronteggiare questa grande metamorfosi, che è operazione molto più articolata della sola repressione legislativa. Il ritratto del nostro paese racconta di un’Italia che, scansando la commedia della tradizione sentimentale, è a tutti gli effetti un paese razzista.

Un paese attraversato da viscerale intolleranza e volontà di chiusura. Nell’opinione comune la differenza tra regolare e clandestino non è quasi percepita, non arriva. Sono tutti stranieri, intrusi che contaminano le tradizioni e le regole. E il dato più sconcertante è che le istituzioni hanno scarsamente contribuito a fare pensiero su questo argomento e hanno scelto la strada delle leggi e leggine, del buonismo dell’accoglienza. O, peggio ancora, hanno cavalcato i peggiori sentimenti xenofobi per armare le campagne elettorali dei partiti di centrodestra.

Le migrazioni di milioni di persone in cerca di lavoro e di sopravvivenza sono figlie dell’organizzazione internazionale del mercato del lavoro e del mercato del commercio internazionale. Nessuno lascia la propria casa, la propria terra, i propri affetti e la propria lingua se non è costretto a farlo per poter sopravvivere. E nessuno può, se non colpito da ignoranza profonda, pensare che il proprio Paese sia estraneo a tutto ciò.

Se il lavoro non segue gli uomini, gli uomini seguono il lavoro. Se i paesi ricchi rapinano le risorse di quelli poveri, i lavoratori poveri vanno a cercare le loro risorse nei paesi più ricchi. E se gli italiani pensano che il loro progressivo impoverimento sia causa della mano d’opera straniera a basso costo e non delle politiche del lavoro che strangolano diritti, riducono gli addetti e azzerano gli investimenti, è solo perché gli autori politici di queste scelte sono gli stessi che sostengono le ideologie xenofobe e che dispongono del sistema mediatico che divulga ignoranza e razzismo a proprio tornaconto politico.

Se l’Italia riconoscesse la propria identità razzista saremmo già un passo avanti. Uno sforzo di autocomprensione che restituirebbe coscienza alla nostra storia e forse un po’ di memoria. Siamo diventati quello che nei secoli abbiamo subito. Quando da questa minuscola lingua di terra nel Mediterraneo sono fuggiti, dall’Ottocento al secolo scorso, milioni di poveri italiani. Tra emigranti e discendenti si superano i 60 milioni sparsi nel mondo, tanti quanti vivono nei nostri confini. Non ci risulta che i paesi che ci hanno accolto abbiano perso tradizioni e identità, semmai hanno dovuto imparare a gestire il dramma, importato con noi, della mafia e della mala.

Non ci risulta, soprattutto, che alcuno abbia potuto arrestare la diaspora che partiva su navi e treni dalle nostre coste e dai paesi montani. Sarà quindi arrivato il momento di azzerare termini e ragionamenti su clandestini, criminali, imbarbarimento delle città. E’ il momento di parlare di razzismo e di ragionare in fretta sugli antidoti adatti per questa peste culturale che, in barba alla memoria storica, parla attraverso la voce di un popolo di emigranti. Che non ha imparato dalla propria storia e che non ricorda più.


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