di Fabrizio Casari

Sorpasso della Juventus sul Milan in testa alla classifica. Battendo un Palermo imbottito di riserve, la squadra di Conte si porta in vetta e mette i rosssoneri al secondo posto, sia pure per un solo punto. Solo due partite prima il Milan conduceva con quattro punti di vantaggio, ma la Juve sembra davvero aver innescato la marcia decisiva. Ci sono ancora oltre venti punti a disposizione per chiudere la stagione, e dunque sarebbe oltremodo prematuro disegnare scenari da ora; però la supremazia della Juventus appare al momento evidente, sia sotto l’aspetto fisico che psicologico.

Della vittoria juventina contro il Palermo, francamente, nessuno dubitava, ma la sconfitta pomeridiana del Milan ha certamente offerto un ulteriore serbatoio di motivazioni ai bianconeri, che non hanno mai rischiato di farsi soffiare il match. E ora i ragazzi di Conte si trovano nella felice condizione di non dover pensare a nessun altro che non a se stessi per arrivare a vincere il campionato.

Nonostante il solito regalo dal dischetto, il Milan chiude così la settimana nera della sua stagione, cominciata con l’eliminazione dalla Champions e culminata con la perdita del primato in classifica, grazie alla sconfitta casalinga subita ad opera della Fiorentina di Delio Rossi che tutto si sarebbe aspettato meno che di dover vincere a San Siro. Curioso che il gol decisivo per la sconfitta della squadra di allegri sia arrivato proprio da Amauri, finito ai Viola dopo il peregrinare a Parma, cacciato in malo modo dalla Juve, per i destini della quale è stato più utile ieri indossando la maglia della Fiorentina che nel tempo passato a Torino.

Poche ore prima della sconfitta casalinga, intendendo reagire all’eliminazione della Champions, Berlusconi aveva avvertito/minacciato che d’ora in avanti si sarebbe occupato molto di più del suo Milan. Il battesimo di questa nuova fase berlusconiana somiglia molto all’addio dalla scena politica, con l’abissale distanza tra gli effetti desiderati e quelli realizzati; ma l’avvertimento sembra evidentemente diretto a Galliani ed Allegri, con il primo sotto accusa per le mancate vittorie e il secondo con il piede già oltre l’uscio di Milanello. Sarò proprio la fase finale del campionato a decidere della sorte di Galliani, mentre per Allegri il finale è già scritto, quale che sia l’esito del torneo.

Una Lazio straordinaria vince a Roma contro il Napoli. Il gol stupendo di Mauri è l’immagine di una partita pur sufficientemente equilibrata sul piano del gioco, ma dove la squadra di Reja si è dimostrata letale nelle occasioni avute, mentre quella di Mazzarri è parsa non all’altezza delle possibilità.

Probabilmente privata di un rigore su Pandev, pure in possesso del pallino del gioco, soprattutto nel primo tempo, la squadra napoletana è sembrata poco lucida negli ultimi venti metri e nel secondo tempo ha decisamente abbassato il livello e il ritmo delle giocate, permettendo alla Lazio di concretizzare le occasioni avute.

Sarebbe stato contento Chinaglia di vedere la sua mai dimenticata ex-squadra disputare una prova di autorità all’Olimpico. Le polemiche in punta di spillo tra De Laurentis e Mazzarri negli ultimi giorni fanno intravvedere un clima non eccezionale nello spogliatoio partenopeo e, dopo la caduta di ieri e quella con la Juventus, ci sarebbe bisogno di unità interna più che di scaricabarile, se non si vuole rinunciare anzitempo all’obiettivo della Champions per il prossimo anno.

Notizie diverse sull’altra sponda del tevere, dove la Roma prende l’ennesima sberla. I quattro gol subiti a Lecce raccontano bene l’andamento della partita per una squadra che ormai ha abituato a perderne una su due. Luis Enrique, sul conto del quale erano girate voci di dimissioni, va avanti (si fa per dire..) sulla sua strada, ripensamenti di modulo e schemi non sembrano all’ordine del giorno, nonostante fantasmagorici progetti si squadra vincente e capace di portare i bilanci in attivo. Resta comunque nella zona alta della classifica,ma se i punti rimpianti fossero attivi, sarebbe prima in classifica.

L’Inter pareggia con il Cagliari sul campo neutro di Trieste, mostrando ancora una volta dei limiti tecnici ed atletici che nemmeno Stramaccioni pare essere in grado di superare. Squadra lenta, lentissima, con i giocatori fermi ad attendere che il pallone gli arrivi tra i piedi mentre gli avversari pressano e accorciano. Stramaccioni sembrava potesse dare più fiducia ai giovani, ma la squadra messa in campo aveva nel solo Guarin i nuovi arrivi, giacché Ranocchia era in campo solo per la squalifica di Lucio.

Ma evidentemente il peso dei senatori nello spogliatoio è ancora forte e fino a che matematicamente sembrerà possibile raggiungere il terzo posto (solo un miracolo potrebbe permetterlo) sarà difficile che Stramaccioni possa effettivamente promuovere i giovani e far riposare gli anziani.

Fatto sta che giocare con Forlan significa giocare in dieci e Chivu e Ranocchia insieme sono la somma di come due centrali difensivi non dovrebbero mai giocare. Conosciuti i limiti di Zarate, pure volenteroso, restano solo un grande Milito, un discreto Cambiasso e un sufficiente Stankovic. Ma un centrocampo con Guarin, Poli e Obi avrebbe certamente retto meglio all’agonismo dei sardi, ben messi in campo e con quattro-cinque giocatori (Agazzi, Pinilla, Naingolan, Cossu e Daniele Conti) che meriterebbero palcoscenici migliori di quelli offerti dal loro presidente-macchietta.

L’Udinese torna alla vittoria dopo cinque turni e si propone con decisione per il terzo posto, che vedrà nella Lazio l’avversario più temibile. I friuliani dovranno far visita alla Roma, mentre gli aquilotti andranno a trovare la Juventus. Il compito della Lazio sulla carta è quello più difficile, anche per questo la vittoria di ieri potrebbe risultare determinante per Guidolin e i suoi ragazzi. Ma questo campionato, nella sua bruttezza oggettiva, ha se non altro il pregio di smentire tutti i pronostici.

di Fabrizio Casari

La vittoria della Juventus e il pareggio del Milan, la caduta del Napoli e il ritorno alla vittoria dell’Inter, hanno rappresentato la cifra della scorsa giornata di campionato. Le polemiche di Galliani contro la svista arbitrale che ha negato il gol del Milan (palla respinta oltre o sulla linea? Francamente non è semplicissimo) che ritiene ormai di aver perso ben quattro punti nei confronti della Juventus per errori arbitrali.

Sommano infatti, a via Turati, l’errore clamoroso di Juventus-Milan e quello di domenica scorsa e, in una lettera inviata alla Federazione, lamentano un’alterazione della competizione con i bianconeri per la conquista del titolo. Peccato però che al Catania sia stato annullato un gol regolarissimo (di cui nessuno parla) e che Galliani ometta il gol negato all’Inter nel derby ed altre decisioni discutibili che hanno portato il Milan a collezionare (come sempre) il maggior numero di rigori dati in parallelo al minor numero di quelli subiti. Davvero risulta improbabile un complotto ai danni del Milan, per quanto la “simpatia” dei vertici arbitrali nei confronti della Juventus sia nota.

Il nervosismo che si respira in casa rossonera è ovviamente determinato non solo dallo strabismo di chi ha in questi anni addirittura modificato il calendario a suo vantaggio, ma anche dalla consapevolezza che la sfida di stasera contro il Barcellona potrebbe rappresentare un bivio decisivo per l’annata intera, visto che lo scudetto - che pareva affare ormai certo - rischia di complicarsi in ragione dell’impegno di Champions. Uscito dalla Coppa Italia, infatti, ove il Milan riuscisse nel miracolo di passare il turno si troverebbe a dover disputare la finale senza poter togliere gli occhi dal campionato, mentre nel caso non riuscisse a passare il turno in Europa, nemmeno per lo scudetto ci sarebbe un percorso semplice. La rivalità tra i due club, fino a pochi anni fa complici, è destinata dunque a crescere nel finale di stagione.

La Juventus, dal canto suo, sembra aver trovato le energie migliori per questo finale di campionato. Nelle ultime due gare si è sbarazzata di Inter e Napoli e ha ridotto di due punti la distanza dalla vetta. Ha comunque la finale di Coppa Italia come impegno e anche per lei non saranno rose e fiori da qui alla fine del campionato. Ma sta bene, corre, lotta e segna, pur in assenza di un bomber di razza.

L’Inter di Stramaccioni fa tornare il sorriso sui volti nerazzurri. Serviranno conferme nei prossimi turni, ma sembra che in pochi giorni il giovane tecnico romano abbia già trasmesso indicazioni importanti, sia sul piano tattico che psicologico. L’Inter, infatti, ha rispolverato un calcio piacevole e se la messe di gol (5) non è di per sé indicativa, visto che di fronte aveva la difesa più battuta della Serie A, è però altrettanto vero che cinque gol sono tanti, tantissimi per l’Inter che non riusciva più a vincere in casa da diverso tempo, precisamente dal 22 gennaio contro la Lazio.

Solo l’arbitro Valeri poteva concedere tre rigori contro l’Inter con uno solo meritevole della massima punizione, ma non è la prima volta che l’arbitro romano mostra i denti ai nerazzurri. Il tifo è cosa seria, pare. Ad ogni modo Stramaccioni ha schierato la squadra con un indeito 4-3-3, ha resuscitato Zarate e riproposto un Milito gigantesco. Esordio anche per Guarin, che mancava da mesi dai campi: ottimo inserimento che darà i suoi frutti sia nel finale di stagione che nel prossimo anno.

La vittoria della Roma e la caduta dell’Udinese raccontano due cose: che la squadra allenata da Luis Enrique, che ha scoperto le verticalizzazioni, è naturalmente portata a giocare meglio sui campi primaverili e che l’Udinese, come ormai da due anni, finisce con un mese d’anticipo la benzina nel serbatoio.

Ma le due notizie più importanti del week end pallonaro sono due e ugualmente tristi: la morte di Giorgio Chinaglia, indimenticato bomber della Lazio di Maestrelli campione d’Italia e lo scandalo scommesse, che ha portato all’arresto di Masiello (che ha già confessato la combine) e, sottobanco, annuncia altri provvedimenti giudiziari.

Si può discutere all’infinito sulla giustizia che assegna alle società di calcio la responsabilità oggettiva per quanto commesso dai suoi tesserati, ma si deve ricordare che questo vale per ogni comparto imprenditoriale: davvero non si vede perché per il calcio dovesse vigere una giurisprudenza diversa. Dunque, il tema della lotta per il terzo posto (ultimo tram per l’accesso alla Champions del prossimo anno) sarà oggetto solo in parte delle disputa sul campo; saranno anche il giudice sportivo e gli organi istituzionali del calcio a stabilire, con le penalizzazioni a campionato chiuso, il nome di chi il prossimo anno potrà giocare nell’Europa che conta.

 

di Fabrizio Casari

Le sfide importanti della domenica calcistica erano due: quella della Roma contro il Milan e dell’Inter contro la Juventus. Si sono concluse come previsto, cioè con le vittorie delle prime due in classifica, ma entrambe le gare hanno avuto uno svolgimento decisamente diverso da quanto atteso. Cominciamo dalla partita di Torino. Il cosiddetto Derby d’Italia, cioè la partita tra Juventus e Inter, è finito con la vittoria bianconera.

Molti si aspettavano una Juventus a goleada, con un Inter dimessa e pronta a recitare la parte dell’agnello sacrificale. Così non è stato, anzi. L’Inter è scesa in campo concentrata e decisa e nei primi sessanta minuti ha giocato meglio della Juventus, cui solo uno straordinario Buffon ha permesso di non affondare. E' stata decisiva la mossa di Conte che ha cambiato assetto alla squadra mettendo così in crisi Ranieri. Lo juventino portava il centrocampo a cinque e l'interista lo riduceva a due. Poi, negli ultimi venti minuti, dopo il primo gol di Caceres, i nerazzurri si sono disuniti, hanno accusato il colpo e il raddoppio di Del Piero ha chiuso il match.

E’ stata una partita a tratti bella (non a caso i migliori sono stati i due portieri), comunque mai sottotono, che ha visto la migliore Inter della stagione danneggiata dalle scelte del suo allenatore. Ranieri, infatti, come al solito, non riesce proprio a leggere quello che accade in campo e, in preda a riflessioni tutte sue, ogni domenica riesce a procurare danni dalla panchina. E’ chiaro da diverse partite che Ranieri non da nemmeno un briciolo di valore aggiunto alla squadra e che non riesce a risolvere nemmeno uno dei problemi che l’affliggono.

Ieri è riuscito a regalare la partita alla Juventus sostituendo i migliori (e più giovani, non a caso) dell’Inter per inserire due giocatori che hanno stravolto l’intelaiatura della squadra e le posizioni dei singoli. Con Poli e Obi aveva limitato al minimo Pirlo e tenuto bene la fascia sinistra del campo, dove il nigeriano aveva decisamente il sopravvento su Di Ceglie e Caceres e rappresentava una spina nel fianco per la Juve. E lui chi toglie? Poli e Obi. E’ Ranieri, non c’è niente da fare. La differenza tra Inter e Juve, ieri sera, é stata soprattutto la differenza in panchina. Conte azzecca tutte le mosse, Ranieri no, come sempre. Dunque un ulteriore coefficiente di difficoltà per una Inter a fine ciclo che avrebbe però certamente potuto ottenere dei punti in più con un allenatore all’altezza della società. Difficile ora che possa raggiungere anche solo la zona dell’Europa League. Fortunatamente per lui, Moratti ieri si è almeno goduto la conquista della Champions League della Primavera, straordinariamente guidata da Stramaccioni. Chi si contenta gode e, vista la sua Primavera, godrà certamente in futuro.

La Juventus non ha giocato la sua miglior partita, ma la grinta e la corsa non sono mai mancate, così come non sono mancate le buone giocate, fatte di trame veloci e una buona tenuta del campo. Ha evidenziato, come ormai le capita spesso, i limiti in zona gol. Né Matri, né Vucinic sono attaccanti da doppia cifra garantita e un centravanti di razza, considerata la mole di gioco prodotta dai suoi centrocampisti, cambierebbe in modo deciso le sorti della squadra allenata - splendidamente, va detto - da Conte. Se gli verrà data fiducia e soprattutto libertà di scelta sul mercato, Conte potrà portare la Juventus a traguardi all’altezza della sua storia.

Il solito Ibrahimovic e il solito rigore danno al Milan la vittoria sulla Roma, più molle del solito. Sebbene in vantaggio, i giallorossi hanno ritenuto di dover affondare il colpo, invece di cercare di difendere il gol ottenuto. E’ ovvio che si può subire il pareggio, ma un punto a Milano, contro la capolista, non è certo da buttare via. Invece, il non volersi accontentare da parte di Luis Enrique, che si deve sentire un messia del calcio offensivo, ha trasformato in una sconfitta una gara che poteva davvero finire in modo diverso. Il Milan, in cambio, sa che prima o poi Ibrahimovic segna e sa che le squadre che provano ad attaccarla si espongono seriamente ai contropiedi che il fuoriclasse svedese riesce a capitalizzare.

Vince il Milan, vince la Juventus, e la differenza con la domenica scorsa è che i quattro punti di distanza hanno a disposizione una partita in meno per essere messi in discussione. Il resto delle partite, ad eccezione di una vittoria a due minuti dalla fine della Lazio, sono state un cumulo unico di pareggi. Equilibrio o primi conti in tasca alla giornate che mancano?

di Fabrizio Casari

Il Milan prosegue la sua corsa verso la vittoria, sconfiggendo per due a zero un Parma troppo molle per spaventare i campioni d’Italia. Che hanno mostrato un Ibrahimovic in grande spolvero, che ha disegnato assit, giocate e l’ormai solito rigore con le quali stabilisce perentoriamente le distanze tra i rossoneri ed il resto delle squadre italiane.

In attesa di misurarsi domani sera nella sfida di Coppa Italia (dove al Milan mancheranno però diversi titolari), per quanto riguarda il campionato i rossoneri sono in testa con quattro punti di vantaggio. Pur continuando ancora a recriminare sullo scontro diretto, che senza gli orrori arbitrali li vedrebbe oggi con sei punti avanti alla Juve, 4 di vantaggio non bastano a dispensare tranquillità, ma rappresentano comunque un discreto bottino da amministrare.

In attesa del Barcellona, dove la squadra di Allegri non avrà di che divertirsi, per i rossoneri si tratta dunque di mantenere lo spazio dalla Juventus, che però, umiliando la Fiorentina, ha risposto in maniera straordinaria sia alle critiche che l’avevano investite circa la “pareggite” sia all’allungo del Milan.

Cinque gol e una Fiorentina annichilita sono infatti il biglietto da visita che la squadra allenata da Conte ha presentato alla fase finale del campionato. Un’ottima partita, giocata con il coltello tra i denti, ma forse per la Fiorentina vista sabato, simile al burro, sarebbe bastato anche una forchetta. Indipendentemente dai guai nei quali versano i Viola, i bianconeri hanno mandato un segnale chiaro: non molleranno fino alla fine.

Ovviamente a Torino ci si augura che il doppio impegno del Milan nella fase finale della stagione possa incidere sulla marcia dei rossoneri, ma forse la situazione non è così scontata. Ibrahimovic, infatti, non è mai stato sufficiente ad arrivare a vincere la Champions, ma per il campionato basta e avanza. E il calendario non aiuta, dal momento che la Juventus avrà solo una partita (con il Cesena) semplice da qui alla fine, mentre il Milan ha un calendario decisamente più abbpordabile.

La Lazio porta a casa la seconda sconfitta consecutiva, perché trova un Catania che, coerentemente con il cammino fatto fin qui dall’inizio di stagione, conferma di essere squadra che sa giocare al calcio, che non ha timori reverenziali nei confronti di nessuno e che mette in difficoltà tutte le grandi. Occasione persa per i biancoazzurri per portarsi più vicini alla vetta e soprattutto per farsi spazio nella zona terzo posto, che rappresenterebbe un obiettivo straordinario per la squadra di Reja.

Lo scontro tra Udinese e Napoli, che si preannunciava ancor più caldo dopo la caduta della Lazio, era decisamente uno scontro diretto nella zona terzo posto, ma nessuno dei due ne ha approfittato. Il pareggio tra Udinese e Napoli è stato infarcito di polemiche per il pessimo arbitraggio (arbitrava Rocchi, non poteva essere diversamente); ma al netto dell’operato di un arbitro che non dovrebbe mai scendere in campo, la partita è stata bella, dura, piena di colpi di scena. Il Napoli, sceso negli spogliatoi alla fine del primo tempo in svantaggio e con un rigore sbagliato da Cavani, ha tirato fuori carattere e tecnica e lo stesso matador uruguayano ha realizzato una doppietta permettendo così ai partenopei di uscire indenni dalla partita.

Della caduta della Lazio non ne approfitta nemmeno l’Inter, che viene fermata sul pareggio dall’Atalanta. L’Inter non riesce proprio a costruire gioco. Non si tratta nemmeno più di corsa, pure non certo vertiginosa, ma proprio di schemi. Nessuno sa smarcarsi, nessuno sa dove andare e, quel che è peggio, Ranieri lo sa meno degli undici in campo, dal momento che opera scelte che solo lui capisce.

Occasione persa per avvicinarsi al terzo posto, obiettivo ormai difficilissimo da raggiungere viste le sole nove partite che mancano e le numerose squadre presenti tra i nerazzurri e la coppia di testa. Uscita dalla lotta per il campionato, uscita dalla Champions, uscita dalla Coppa Italia; difficile trovare un anno così negativo per l’Inter negli ultimi cinque anni.

Talmente negativo che potrebbe persino concludersi con la zona Uefa, che costringerebbe la squadra di Moratti a giocare l’Europa League, che non interessa e non può stimolare chi, un anno fa, diventava campione del mondo di club, mentre obbligherebbe ad un doppio lavoro e un doppio investimento per la stagione futura. In attesa di decidere quale sarà l’allenatore del prossimo anno al quale consegnare le chiavi della squadra per il suo rilancio, servirebbe forse lasciare da subito Ranieri al suo destino e affidare la squadra a Stramaccioni, almeno in funzione del prossimo mercato; schierare i giovani (cosa che Ranieri proprio non riesce a concepire) permetterebbe vedere quali tra loro sono all’altezza dell’Inter per il prossimo anno.

Colpaccio del Novara che vince in trasferta contro il Siena; peccato che sia ormai pressocchè inutile ai fini del verdetto finale, ma una soddisfazione per Tesser è cosa buona e giusta. Pareggio tra Lecce e Palermo e Bologna e Chievo, risultati che non cambiano la classifica per nessuna delle quattro. Il campionato in corso appare già segnato in tutte le sue posizioni.

 

di Fabrizio Casari

Un Milan ispirato e spietato, che si avvantaggia dal sostenere l’intera partita in superiorità numerica causa discutibile rosso diretto a Balzaretti, stronca il Palermo e, in qualche misura, stronca anche le ambizioni della Juventus di Conte, che ove non dovesse vincere il recupero contro il Bologna (cosa non semplicissima) comincerebbe a vedere la fuga dei rossoneri con qualche seria preoccupazione.

Anche perché il Chievo, pure privo di Pellisier, con il pareggio ottenuto a Torino ha messo in luce l’insorgere di qualche scricchiolio in casa Juventus. La squadra appare effettivamente con qualche debito di corsa, cioè l’arma principale dei bianconeri che non hanno fuoriclasse a disposizione (come Ibrahimovic) che risolvono le partite anche quando le cose non vanno per il verso giusto. In aggiunta, le dichiarazioni di Marotta (“non disponiamo di uno come Ibra”) risultano fuori luogo, giacché averli sarebbe proprio il compito cui Marotta stesso dovrebbe assolvere e che non assolve.

In questo caso, dunque, le parole del DG juventino sembrano più voler indicare nei limiti dei giocatori a disposizione le eventuali responsabilità. I fischi che hanno accompagnato l’uscita della squadra al termine della partita non hanno certo aiutato al rasserenamento del clima e lo stesso Conte, con dichiarazioni tese come quelle del dopo partita, palesemente rivolte alla dirigenza societaria e alla tifoseria, indica con sufficiente chiarezza il clima di nervosismo che aleggia a Torino e che coinvolge staff tecnico, societario e tifoseria. Il rischio di veder sfumare la vittoria del campionato tiene tutti con i nervi scoperti.

Ben altra aria si respira invece nel Milan, che avendo ormai archiviato il turno di Champions, dato il risultato dell’andata, può decisamente dedicarsi al campionato con un Ibrahimovic tornato in grande forma proprio nel momento nel quale anche il resto della squadra - attaccanti in particolare - pare aver ritrovato tonicità. Da qui al prossimo turno di Champions c’è tempo per mantenere o addirittura incrementare il vantaggio sulla Juventus, che consentirebbe di affrontare la fase finale della stagione con una sufficiente riserva di punti in grado di garantire un finale di stagione ancora in testa.

Il derby di Roma ha definitivamente messo a nudo i limiti della Roma di Luis Enrique, che continua a proporre un’idea di assetto tattico da oratorio di periferia. E’ spaventoso vedere la semplicità con la quale l’assetto difensivo dei giallorossi non trovi misure e tempi per contrastare le ripartenze avversarie, consentite dallo sbilanciamento ossessivo della Roma in attacco. Il possesso palla dei giallorossi è davvero un tic-toc da accademia, una specie di “torello” prolungato ed inutile, prova ne sia che durante il derby il portiere laziale, Marchetti, non ha dovuto mai intervenire, non essendo arrivato nemmeno un tiro nello specchio della porta.

L’idea di tenere la palla e non scagliarla mai tra i legni della porta avversaria è uno dei misteri della fede del nuovo credo calcistico di Luis Enrique, probabilmente convinto che, come nella boxe, in assenza del colpo finale, a stabilire la vittoria o la sconfitta siano i punti che certificano l’iniziativa di uno dei due pugili. Il calcio, invece, è sport diverso: non si vince ai punti, ma con i punti.

La Lazio, invece, squadra decisamente operaia ma non priva di giocatori che hanno confidenza con il pallone, ha capito bene cosa andava fatto e l’hanno fatto come potevano. Una partita, il derby, che non è quasi mai bella nel senso dello spettacolo: troppa la tensione e troppo alta la posta in gioco sul piano della vivibilità degli ambienti per dedicarsi al bel calcio.

Ma è la prima volta che nell’arco di una stagione la Lazio vince due derby su tre e ora Reja, che era sempre stato vittima delle stracittadine con la Roma, è diventato il killer peggiore per Luis Enrique. Addirittura adesso Reja parla di sintonia con la societò, dopo aver minacciato, ritirato e poi negato dimissioni e scontri interni. Miracoli delle vittorie. Partita dunque non bella e tifoseria schifosa, che nei suoi ululati razzisti esibisce la cifra esatta della sua civiltà.

L’Inter evita con 30 minuti di corsa l’ennesima sconfitta, pareggiando con il catania di Montella. Anche sulla sponda nerazzurra si assiste al tributo di sangue che ad ogni partita paga Julio Cesar. Il quale, ancora fortissimo tra i pali se i tiri partono centralmente, viene regolarmente battuto da chiunque tiri in diagonale.

E' vero, l'Inter non ha terzini che sanno marcare e coprire le incusrsioni dalla fascia verso il centro, ma la sensazione è che il tentativo di coprire bene il proprio palo lasci troppo specchio di porta libero per il palo lontano; ed è un difetto, questo, sempre evidenziato dal portiere brasiliano. Ma sarebbe davvero curioso capire come mai non viene risolto, visto che l’Inter ha incassato circa dieci gol in questo modo.

Detto ciò, il gol del due a zero provvisorio del Catania è in colossale fuorigioco, non visto dalla pessima terna arbitrale. Senza quella rete irregolare l’Inter sarebbe tornata ai tre punti che, insieme ai sei che gli sono stati deufradati nelle prime giornate di campionato, vedrebbero ben altra classifica.

Ma per l’Inter è meglio così, perché una diversa classifica avrebbe potuto ulteriormente illudere la dirigenza nerazzurra sul valore oggettivo di questa squadra, che non è nemmeno lontano parente di quello esibito fino ad un anno fa. Ranieri, è chiaro, non è la medicina giusta, quale che sia la malattia, ma l’applauso che ha accompagnato l’uscita dell’inutile Palombo e dell’immobile Cambiasso in favore dell’entrata di due giovani come Obi e Poli, dice molto su quello che tutti i tifosi dell’Inter pensano di cosa sarebbe necessario fare. Ranieri forse ha capito e magari il licenziamento di Villas Boas da parte del Chelsea lo aiuterà a ragionare: da unica possibilità, Ranieri si trova ora ad essere una possibilità a scadenza variabile e niente più.


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