di Sara Michelucci

Freud e Jung. I due pilastri della psicoanalisi del Novecento. Due personaggi caratterizzanti quella conoscenza della natura psicologica umana che ha influenzato tutta la letteratura successiva. E in mezzo a loro una donna: Sabina Spielrein. Forza distruttrice, da un lato, ma creativa dall’altro e che riesce a tirare fuori la vera natura di Jung, nonostante le loro strade si separeranno.

David Cronenbergh sceglie uno strano menage a trois nel suo nuovo film A Dangerous Method, per raccontare la storia di questi due grandi uomini, ma anche di una donna che è riuscita a imporsi in un universo prettamente maschile, studiando medicina e superando i suoi problemi psichici. Al centro della trama c’è la storia d’amore intensa e travagliata tra il grande psicanalista svizzero (interpretato da Michael Fassbender) e la psicoanalista russa (di cui Keira Knightley veste i panni). Entrambi avranno rapporti con il padre della psicanalisi, Sigmund Freud, interpretato da un bravo Viggo Mortensen, ormai attore feticcio di Cronenbergh.

Zurigo e Vienna sono lo scenario delle scoperte in nuovi territori della sessualità e dell’intelletto. Nella trama è coinvolto anche Otto Gross, paziente incline alla depravazione, che scardina i pilastri della morale comune con il suo comportamento e le sue idee. Cronenbergh esplora la sessualità e lo fa attraverso la scienza messa in campo dai tre protagonisti che saranno in grado con le loro opere di cambiare per sempre il pensiero moderno.

Il film poggia sulla sceneggiatura di Christopher Hampton, che ha basato per il grande schermo un suo lavoro teatrale del 2002, a sua volta ispirato al libro di John Kerr “Un metodo molto pericoloso”, del 1993. Già un altro autore, questa volta italiano, aveva parlato di Jung e delle sue relazioni extraconiugali con Sabina Spielrein: Roberto Faenza con Prendimi l’anima, dove però il rapporto d’amore ha il sopravvento su tutto il resto, rimanendo l’elemento narrativo centrale.

Nel caso di Cronenbergh, invece, si dà spazio anche a rapporti altri, come quelli con Freud o Gross, e la figura stessa della Spielrein viene resa sotto più vesti: amante, ma anche donna che lavora e che riesce a imporsi nello scenario scientifico dell’epoca, mostrando carattere e determinazione per quello che fa. Jung appare molto più debole in questo e il regista dà risalto anche alla sua "deriva" mistica che lo allontanerà da Freud. Il rapporto maestro/discepolo diventa così l’altra faccia della medaglia, l’altra angolazione attraverso cui leggere i rapporti che intercorrono tra i tre personaggi. Un intreccio di corpi e menti che darà vita a una vera e propria rivoluzione culturale e scientifica.


A Dangerous Method (Canada, Usa 2011)

regia: David Cronenberg
sceneggiatura: Christopher Hampton
attori: Viggo Mortensen, Michael Fassbender, Keira Knightley, Vincent Cassel, Sarah Gadon,
Katharina Palm, André Hennicke, Arndt Schwering-Sohnrey, Christian Serritiello
fotografia: Peter Suschitzky
montaggio: Ronald Sanders
musiche: Howard Shore
produzione: Recorded Picture Company (RPC), Lago Film, Prospero Pictures
distribuzione: BIM Distribuzione

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

La pelle diventa un vestito da indossare, qualcosa che cela la verità, che nasconde l’essenza stessa delle cose. Qualcosa di nuovo, di candido, di perfetto, che in realtà maschera una storia torbida. Tutto questo nel nuovo film di Pedro Almodovar, La pelle che abito, ispirato al romanzo Tarantola di Thierry Jonquet. Antonio Banderas interpreta il chirurgo Robert Ledgard, dal passato travagliato, che vive nella sua lussuosa casa-clinica privata con Vera, una bellissima ragazza, chiusa in una stanza, dalla quale è ossessionato. Ma Vera è triste, tenta il suicidio, vuole fuggire da quella prigione. Ma perché? Cosa è successo? E soprattutto, chi è veramente questa algida ragazza che ha il viso simile alla defunta moglie di Ledgard?

Una cavia da laboratorio, con una tuta color carne o nera che cela la sua pelle perfetta, bianca, senza imperfezioni. Questo è Vera nella prima parte del film. Costantemente sotto osservazione delle telecamere, sul corpo di Vera il dottore sperimenta un prototipo di pelle resistentissima, ottenuta con un processo di transgenesi segreto e illegale. L’unica vera voce di Vera, l’unico suo sfogo, sono i vestiti da donna fatti a pezzi e i trucchi che non usa per farsi bella, ma come inchiostro per riempire le pareti della stanza di scritte e singolari disegni.

L’unica a conoscere il segreto di Vera è Marilia, fedele governante di Ledgard, e in realtà sua vera madre. Il racconto di Marilia a Vera sul passato di Robert apre un nuovo scenario. La moglie Gal morta suicida dopo essere stata deformata da un incendio e la figlia Norma, anch’essa suicida per colpa del tentato stupro di un ragazzo conosciuto a una festa, Vicente. Ed è in questo preciso momento che il film comincia a svelare la reale storia di Vera.

Il trasformismo, la sessualità, lo scambio tra uomo e donna sono nuovamente i protagonisti dell’opera di Almodovar che resta attratto dalla dimensione “trans”, da quel mischiare le carte, i ruoli e i sessi. Certosina e quasi chirurgica la trama che, nell’ambivalenza di ruoli e personaggi, incastra con maestria tutti gli elementi così da regalare un racconto perfetto e ben bilanciato. C’è anche un nota noir in questa opera, nonostante la contemporaneità del racconto e della scenografia. Tanto che Almodovar, affascinato dall'opera di Fritz Lang, inizialmente pensò di dirigere il film in bianco e nero per ricreare le atmosfere del genere.

Torna in questo film in parte il mito di Frankenstein, creatura esempio del sublime, del "diverso" che in quanto tale causa terrore, ma anche fascinazione. Ma, allo stesso tempo, creatura che si ribella al suo stesso creatore e che fugge lontano da lui, nonostante le due vite siano legate a filo doppio. Solo la morte dell’uno o dell’altro potrà renderli finalmente liberi.

La pelle che abito (Spagna 2011)
regia: Pedro Almodovar
sceneggiatura: Pedro Almodovar
attori: Antonio Banderas, Elena Anaya, Marisa Paredes, Eduard Fernández, Fernando Cayo, Bárbara Lennie, Blanca Suárez
fotografia: José Luis Alcaine
montaggio: José Salcedo
musiche: Alberto Iglesias
produzione: El Deseo S.A.
distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Carneficina: morale, spirituale, fatta di parole, più che di azioni concrete. Consumata nelle quattro mura di un’abitazione di New York City e coadiuvata da whisky, pessima torta alla frutta, buone maniere iniziali che poi si trasformano nella più truce delle guerre. Roman Polanski torna al cinema in gran forma, con il suo Carnage (carneficina, appunto, ndr) che racconta la storia di due coppie di genitori che s’incontrano per parlare di una rissa avvenuta a scuola tra i rispettivi figli. L'iniziale intento è di risolvere pacificamente la questione, dando un esempio di civiltà. Ma il tutto degenererà, invece, in una lite furiosa tra adulti che dimostrano di essere molto peggio dei ragazzi.

Polanski pesca nella letteratura, negli studi sulle dinamiche umane e sociali, sui riti, sulle convenzioni e sul concetto stesso di civiltà che, spesso, è fondato su basi molto fragili, su consuetudini che di frequente traballano sotto la spinta di impulsi molto più forti delle buone maniere o della conversazione pacata e “a modo”.

Una facciata che Carnage fa crollare, mostrandone spudoratamente le storture, le falsità e le menzogne. Molto più sinceri i rapporti tra bambini che non quelli costruiti degli adulti che, invece, nascondono un universo di brutalità e miserabilità. Le maschere cadono giù non appena la nausea prende il sopravvento sulla signora Cowan (una sempre brava Kate Winslet) che rigetta nel salotto dei genitori del ragazzo che suo figlio ha malmenato, sporcando i libri d’arte della signora Longstreet (una meravigliosa Jodie Foster).

Da lì si apre un vortice fatto di accuse, degenerazioni morali, insulti e trasformazioni (il volto che cambia nella locandina del film è l’esempio stesso della trasformazione dei personaggi, prima bonari e poi agguerriti), dove la coppia stessa si spacca, mostrando un amore finito o stanco. La signora Longstreet è una scrittrice frustrata, che ha redatto un unico libro ed è impegnata - più con la mente che non nei fatti - nelle battaglie sui diritti civili in Africa. Suo marito è un cicciotto rappresentante di sanitari, che inizialmente sembra soccombere alla moglie, ma che si rivelerà totalmente lontano da lei, contento di essere ‘quel miserabile’ come lei lo dipinge.

L’altra coppia è formata da un cinico avvocato, difensore di un’industria farmaceutica spietata che ha messo in commercio un farmaco altamente nocivo per la salute, e totalmente dedito al suo cellulare e da una apparentemente dolce e calma signora che tirerà fuori tutto quello che per anni ha accettato passivamente.

Il regista sceglie ancora una volta un luogo unico, chiuso e asfittico teatro dove si svolge una vera e propria catarsi dei personaggi, intrappolati ma al tempo stesso voluttuosi nel ritrovarsi in uno spazio senza via di scampo, per tirare fuori tutte le loro aberrazioni. Nel film Il coltello nell’acqua era una barca a vela a segnare la scena dei tre personaggi; L’inquilino del terzo piano vedeva svolgersi l’intera storia nell’appartamento del protagonista, scisso in due personalità e la stessa cosa valeva per La morte e la fanciulla, dove la casa della protagonista diventa il carcere per il suo ex aguzzino. Il genio di Polanski, anche questa volta, non si smentisce e lascia il segno sulla pelle.

Carnage (Germania, Francia 2011)
regia: Roman Polanski
sceneggiatura: Roman Polanski
attori: Kate Winslet, Christoph Waltz, Jodie Foster, John C. Reilly
Ruoli ed Interpreti
fotografia: Pawel Edelman
montaggio: Hervé de Luze
musiche: Alexandre Desplat, Alberto Iglesias
produzione: Constantin Film, SBS Productions
distribuzione: Medusa Film

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Il contagio, la malattia, sono il filo conduttore dell’ultimo lavoro di Steven Soderbergh, Contagion. Il rischio di una nuova pandemia su base planetaria allerta i medici del Center for Disease Control e dell'Oms. Occorre isolare velocemente il nuovo virus, trovare una cura e circoscrivere il contagio iniziato a Hong Kong. Mentre i medici tentano di limitare i morti, si diffondono notizie false e incontrollate che alimentano la psicosi collettiva innescando disordini civili. Si tratta di un’influenza simile alla Sars o all’Aviaria, ma capace di svilupparsi anche per contatto con estrema rapidità.

Il virus letale parte da una donna (Gwyneth Paltrow) che, durante un viaggio di lavoro a Hong Kong, cena in un ristorante e viene contagiata. Da qui si scatena l’inferno: la sua morte, e a seguire quella di tutti coloro che le sono stati accanto, genera un effetto domino dalle vaste proporzioni. Il male è qualcosa che non si vede, che è dentro di noi, un Alien che richiama tanta letteratura e tanto cinema, spesso horror, che hanno fatto dell’invisibile e dell’ignoto il fulcro per raccontare i drammi e i mali di una società.

Soderbergh fa lo stesso: parte da un fatto che spesso è stato oggetto di cronaca vera, quello dell’epidemia, per poi parlare anche di altro. Dalle storture della comunicazione e informazione fino alla generazione del sentimento della paura collettiva che, sovente, è utilizzata per soggiogare e impedire la vera circolazione delle informazioni.

Un cast corale quello scelto dal regista di Traffic, con attori del calibre di Marion Cotillard , Matt Damon, Laurence Fishburne, Jude Law, Gwyneth Paltrow e Kate Winslet. Per ognuno c’è una storia a sé che poi si ricongiunge a un tutto rappresentato appunto dalla lotta al virus letale. Il film segue infatti diverse trame che interagiscono, partendo dal focolaio iniziale e sviluppandosi nei diversi tentativi di contenere l’epidemia. Intorno a tutto questo si accende il panico e la decadenza dell'ordine sociale, che sarà ripristinato solo con l’introduzione di un nuovo vaccino.

Il tema del contagio, come detto, è caro al cinema, soprattutto di origine americana. Basta pensare a 28 giorni dopo, dove il regista Danny Boyle sceglie di mettere in mostra il contagio con l’utilizzo di zombi di “nuova generazione”. Ma il male in quel caso era esterno, ben visibile, mentre Soderbergh predilige un male invisibile, interno alla società.

Contagion (Usa 2011)
regia: Steven Soderbergh
sceneggiatura: Scott Z. Burns
cast: Matt Damon, Jude Law, Gwyneth Paltrow, Marion Cotillard, Kate Winslet, Laurence Fishburne, Chui Tien You, Josie Ho, John Hawkes, Stef Tovar
fotografia: Steven Soderbergh
montaggio: Stephen Mirrione
musiche: Cliff Martinez
produzione: Double Feature Films, Participant Media
distribuzione: Warner Bros. Pictures Italia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Cinque volti, cinque voci, cinque persone per raccontare il dramma dell’11 settembre. Il giorno che ha cambiato per sempre il volto dell’America. Di quella potenza che sembrava inviolabile, inattaccabile e che, invece, è caduta in ginocchio di fronte all’orrore di due aerei schiantati contro i simboli della sua autorità: le Torri Gemelle di New York. Il documentario - anche se in realtà si tratta più di un docufilm - Rebirth diretto da Jim Whitaker, ripercorre attraverso il racconto di cinque persone, uno degli eventi più traumatici degli ultimi anni.

Il regista ha raccolto nell’arco di dieci anni le testimonianze di cinque persone che sono state coinvolte nell'attacco: l’amico del pompiere rimasto ucciso, una giovane donna che perde il futuro sposo, il figlio che perde la madre, la donna vittima dell'attentato e il fratello di un uomo morto che partecipa alla ricostruzione del sito. Tutti e cinque raccontano le loro emozioni per dimostrare come il genere umano soffre e reagisce dopo una tragedia simile. Contemporaneamente 14 telecamere installate attorno a Ground Zero pochi giorni dopo l’evento hanno filmato costantemente la ricostruzione e il ritorno alla vita. La produzione del documentario ha avuto inizio nel 2001 ed è stata conclusa a fine 2010, mentre le videocamere continueranno a filmare gli spazi fino a ricostruzione ultimata.

Il cambiamento, la rinascita, appunto, che dà il titolo al film, vengono messi in scena attraverso i dieci anni di lavoro del film. L’esempio forse più lampante sono le cicatrici della donna cinese che ha vissuto in prima persona l’attentato. Ferite che sono quasi un monito, come a dire che le cose non sono poi così programmabili, che la vita va vissuta istante per istante, attimo per attimo, e che da essa bisogna ricavare il lato positivo, soprattutto quando questo sembra perso per sempre. Sono nelle parole di questa donna, nella sua forza, nelle lacrime che non vediamo scorrere sul suo viso, che riusciamo a percepire al meglio cosa è potuto essere l’11 settembre e in generale tutte le stragi che colpiscono i civili.

Decisamente azzeccate le immagini velocizzate all’interno del grande cantiere che Ground Zero è diventato, che danno proprio l’idea della ricostruzione, del pragmatismo americano e della capacità di rialzarsi in piedi e ricominciare. Guardare avanti é l’obiettivo verso cui tendere, dato che le vite di tutti coloro che hanno vissuto da vicino, ma anche da lontano, questo terribile evento sono cambiate per sempre. Lo evidenzia bene il racconto del ragazzo che ha perso la madre e che ha visto la sua famiglia sgretolarsi nel giro di pochissimo tempo, non parlando più con suo padre che ha sposato un’altra donna e andando a vivere da solo. Nonostante tutto questo, qualcosa può essere ancora recuperato e quando la rabbia comincia ad affievolirsi e poi a sparire, anche la vita può ripartire.

Poco dopo l’inizio della produzione è stata costituita l’associazione Project Rebirth con un comitato composto tra gli altri da Brian Rafferty, presidente e Vinnie Favale, membro e rappresentante della televisione Cbs. Project Rebirth ha anche costruito il Center a Ground Zero e organizza proiezioni a scopi educativi. Nel futuro intende formare un gruppo di lavoro per garantire sostegno psicologico alle vittime anche molto tempo dopo la tragedia.

Rebirth (Usa 2011)
Regia: Jim Whitaker
Direttore della fotografia: Tom Lappin
Montaggio: Kevin Filippini e Brad Fuller
Produzione: Jim Whitaker e David Solomon
Sponsor Fondatore: Aon foundation
Altri Sponsor: Openheimer Foundation e Dipartimento per lo Sviluppo di Low Manhattan

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy