di Michele Paris

Pressato dai parlamentari democratici per delineare un piano trasparente e definitivo che conduca alla chiusura del campo di detenzione di Guantánamo entro i tempi previsti all’indomani del suo insediamento, Barack Obama ha finito per riesumare il controverso sistema dei tribunali miliari messo in piedi dalla precedente amministrazione per processare i presunti terroristi. La decisione del presidente arriva solo a pochi giorni dalla sua annunciata opposizione alla pubblicazione di una nuova serie di immagini che documenterebbero gli abusi sui detenuti da parte di militari statunitensi. Nonostante i paletti fissati da Obama per l’attività dei tribunali militari, non si sono fatte attendere le reazioni polemiche delle organizzazioni a difesa dei diritti umani, già contrariate dagli stenti evidenziati dalla Casa Bianca nel rigettare completamente le pratiche al limite della legalità dell’amministrazione Bush-Cheney.

di Mario Braconi

In queste ore l’esercito dello Sri Lanka annuncia la vittoria definitiva sulle Tigri per la Liberazione della Patria Tamil Eelam (LTTE), l’organizzazione secessionista del Nord del Paese, dal 1983 in guerra contro il governo centrale. Secondo le cronache locali, il Presidente dello Sri Lanka Rajapakse, al suo ritorno dalla Giordania, è stato accolto “come un eroe” nell’aeroporto stipato di membri del suo governo e religiosi benedicenti (sic!) appartenenti alle varie confessioni praticate nell’isola (buddisti, cristiani, induisti e musulmani). Venerdì, nel suo intervento al G11 (meeting tra le nazioni in via di sviluppo) Rajapakse aveva dichiarato: “Il mio governo, con il totale supporto delle forze armate, ha schiacciato una volta per tutte il LTTE, in un’operazione umanitaria senza precedenti.” Si noti come anche alle latitudini più impensabili sia diventato di uso corrente l’ossimoro tanto caro agli interventisti occidentali (la famosa “guerra umanitaria”).

di Carlo Benedetti

Dalle pacche sulle spalle alla firma di contratti utili per portare a casa qualche dividendo. E’ la strategia di Berlusconi (che cerca sponde politico-economiche capaci di aiutarlo ad uscire dalla crisi italiana) in una tournee che lo ha portato dalle rive del mar Nero alle foreste di Barvika, nell’hinterland della capitale russa. La carta d’identità che l’Italia mostra alla dirigenza russa rivela alcuni dati da non sottovalutare. Siamo infatti il terzo partner mondiale della Russia nell’interscambio economico, preceduti solo dalla Germania e dalla Cina e il nostro giro d’affari con Mosca è salito, nel 2008, a 26,5 miliardi di euro. Quanto alle nostre esportazioni, queste segnano un aumento del 9,3 rispetto al 2008. Dalla Russia, intanto, importiamo gas e petrolio segnando così il livello del 70%. Un buon identikit che Berlusconi si è speso subito al tavolo dei vari incontri.

di Stefania Pavone

Che Al Fatah, partito di Abu Mazen, sia alle soglie di una crisi profonda, è testimoniato dai continui rinvii su cui si gioca la partita di un attesissimo congresso. Ma il futuro di una formazione politica che, con la geniale invenzione dell’Olp - creatura politica partorita dalla mente di Arafat - ha fondato le basi del nazionalismo arabo della Palestina, sembra sospeso nell’aria. Troppe le contraddizioni interne, debole l’impianto programmatico e politico e anche piuttosto confuso a dire il vero. Ma il momento della verità, lento ma inesorabile si avvicina. La crisi attuale di Al Fatah sta strangolando il partito al punto che autorevoli commentatori esteri ritengono che esso sia al punto di snodo di una crisi epocale, che minaccia direttamente la sua stessa continuità storica.

di Michele Paris

La liberazione dal carcere per detenuti politici di Evin, nei pressi di Teheran, della giornalista americana di origine iraniana Roxana Saberi, è stata accolta con grande sollievo dai vertici diplomatici di Washington, impegnati nel complicato tentativo di riavvicinamento alla Repubblica Islamica dopo tre decenni di gelo. Il caso della reporter freelance per la Radio Pubblica Americana (NPR) e la BBC ha destato l’indignazione generale dei giornalisti occidentali (soprattutto americani), i quali nelle scorse settimane avevano fatto a gara per chiedere la sua immediata scarcerazione e condannare senza mezzi termini la carenza della libertà di stampa in Iran, nonché la sistematica violazione del diritto ad un processo equo in questo paese. Se la libertà concessa alla giornalista iraniano-americana rappresenta un piccolo ma innegabile successo della strategia di Obama nei confronti dell’Iran e fa registrare in qualche modo uno storico passo avanti nei rapporti tra i due paesi, l’intera vicenda ha messo in luce tuttavia l’ipocrisia del giornalismo “mainstream” occidentale, ben attento - salvo qualche rara eccezione - a dimenticare il pessimo bilancio degli Stati Uniti per quanto riguarda l’arresto e la detenzione prolungata di giornalisti (soprattutto arabi) senza sufficienti prove di colpevolezza.


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