di Alessandro Iacuelli


Prima ancora della fine dell'offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza, l'accusa di aver usato armi al fosforo bianco aveva già fatto il giro del pianeta. Secondo molti mezzi d’informazione l'esercito israeliano avrebbe fatto un uso massiccio di armi al fosforo bianco. Sia chiaro, non si vuole in questa sede smentire questa ipotesi: sicuramente è stato usato del munizionamento illuminante al fosforo, principalmente bombe ad uso aereo e proiettili per artiglieria pesante, ma siamo proprio certi che si sia trattato di fosforo bianco? Se qualcuno viene colpito da fosforo incendiato, e non è possibile spegnerlo con acqua, le parti colpite presentano tracce profonde di fusione. Le immagini fotografiche e televisive arrivate da Gaza non smentiscono affatto l'uso del fosforo bianco, ma non tutte le ferite mostrate sono compatibili con questa sostanza incendiaria.

di Eugenio Roscini Vitali

Erano le 02:00 del 18 gennaio quando gli israeliani dichiaravano il cessate il fuoco unilaterale: il ministro della Difesa Ehud Barak metteva subito in chiaro che la decisione non precludeva una reazione militare a qualsiasi forma di attacco. Dopo pochi minuti, dalla Striscia di Gaza partivano due Quassam: obbiettivo i kibbutz adiacenti il confine orientale con Israele; nessuna vittima. A distanza di qualche minuto altri 15 razzi si abbattevano su Sderot, Ashkelon, Eshkol, e Kiryat Gat. Veniva attaccata la città di Ashdod, dove un missile feriva un civile e danneggiava una casa. L’esercito israeliano rispondeva con un intenso fuoco di artiglieria e con l’impiego degli F-16; alle prime luci dell’alba anche Harakat al-Muqawama al-Islamiyya (Hamas) annunciava la sospensione delle ostilità. Da Damasco arrivava la notizia che dall’incontro al quale avevano partecipato i rappresentanti dei maggiori gruppi armati palestinesi era scaturita una posizione unanime sullo stop ai combattimenti; anche la Jihad islamica e i volontari del Fronte popolare di liberazione confermavano la tregua.

di Stefania Pavone

Gaza giace distrutta. Il ritiro dell’esercito israeliano è giunto puntuale per non rovinare i festeggiamenti per l’insediamento di Barak Obama, l’evento mediatico per eccellenza. La guerra lampo di Israele ha lasciato sul campo l’immagine di un massacro che non ci si attendeva dalle promesse del nuovo secolo. Invece Gaza giace spezzata. E se la prima telefonata del nuovo presidente degli Stati Uniti è stata ad Abu Mazen, come a testimoniare il nuovo corso della Casa Bianca in ordine alle vicende del Medio oriente, le cifre parlano chiaro. Nei 22 giorni dell’assedio israeliano, ora fermato dalla tregua, la matematica d’inferno dei numeri annuncia spietata la cifra di ben 1500 morti, di cui l’85% sono civili. Ben 20.000 le case danneggiate dalle bombe con la scusa che sono basi logistiche di Hamas. Il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-Moon, ha commentato con parole di fuoco, nella sua breve visita nella Striscia, le proporzioni del massacro. “Ho il cuore spezzato” ha detto il numero uno del Palazzo di vetro.

di Carlo Benedetti

Un’esecuzione da manuale in una Mosca dove torna la paura, con killer che agiscono indisturbati, in pieno centro. Sfoderano le loro pistole Makarov e uccidono - proprio all’ingresso di un centro stampa super controllato - Stanislav Jurevic Markelov, noto e stimato avvocato, e la giornalista Anastasia Baburova (collaboratrice dello stesso giornale dove lavorava Anna Politkovskaja, caduta sotto i colpi dei killer venuti dal Caucaso). Si torna così alla morte e al terrore con una scia di sangue che pone nuovi e drammatici interrogativi in un magma vorticoso e incandescente. L’accento è posto sulle eventuali responsabilità delle organizzazioni cecene, ma gli investigatori non rinunciano anche all’ipotesi di piste nere viste anche le inchieste della giornalista Baburova.

di Fabrizio Casari

La Bibbia era di Abramo Lincoln, quasi un testimonio diretto di quanti e quali passi l’America ha compiuto nella lotta contro la segregazione razziale. L’ha ricordato lo stesso Obama: “Sessant’anni fa, mio padre non poteva nemmeno essere servito a un ristorante”. La mano, invece, era quella del 44esimo Presidente degli Stati Uniti. Obama Hussein Barak, si è finalmente insediato alla Casa Bianca, eseguendo lo sfratto decretato dall’elettorato al penultimo rampollo della dinastia Bush. Sfidando una temperatura polare, circa due milioni di persone hanno accompagnato Obama nel suo giorno più lungo, trasformando la saporifera e lobbista Washington nella capitale popolare dell’America di ieri. Mai la Casa Bianca era stata teatro di una manifestazione così grande; mai, dalla marcia di Martin Luther King, tanti afroamericani avevano invaso la capitale; mai l’insediamento di un presidente era stato un evento politico così partecipato a livello popolare. Tanta partecipazione rimanda chiaramente alle tante attese che la nuova presidenza suscita nel popolo americano, e non solo in quello americano.


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