di Eugenio Roscini Vitali

Un delitto eccellete che trasforma il misterioso omicidio del Generale Faisal Alavi, cognato del celebre scrittore britannico Vidiadhar Surajprasad Naipaul, premio Nobel per la Letteratura nel 2001, in un terremoto politico; un caso che rischia di smascherare il doppio gioco di uno Stato che probabilmente inizia a soffrite della sindrome di Stoccolma. Ex comandante delle forze speciali pachistane, Faisal Alavi, viene ucciso il 19 novembre ad Islamabad; a portare a termine l’attacco è un commando formato da due killer che, armati di pistole 9 mm simili a quelle in dotazione all' esercito, bloccano la sua auto e lo trucidano insieme al suo autista. Un’operazione perfetta, veloce, pulita, lontana dagli attentati a cui ci hanno abituato i terroristi e che ci ricorda piuttosto gli omicidi libanesi, un regolamento di conti che mira ad eliminare un personaggio scomodo. Gli investigatori però indicano immediatamente la pista del terrorismo internazionale che dopo qualche giorno viene smentita dalle rivelazioni di Carey Schofield , una giornalista del Sunday Times che pubblica una lettera datata 21 luglio 2008 che il Generale aveva inviato al capo delle Forze Armate, Sajid Kyani.

di mazzetta

Dopo aver speso un miliardo di dollari in aiuti all'Etiopia, gli Stati Uniti sembrano rassegnati a lasciare la Somalia alla forma di autogoverno che riuscirà a darsi. La dittatura etiope ha bisogno di denaro, ma anche di uomini, per tenere sotto controllo la situazione interna e quella alla frontiera con L'Eritrea e oggi, diversamente da quanto accaduto negli ultimi due anni quando ha minacciato il ritiro per sollecitare aiuti economici americani, ha già ridotto drasticamente la forza d'occupazione inviata in Somalia a poco più di duemila uomini. L'ONU ha sollecitato una missione internazionale per sostituire gli etiopi, ma non si fa avanti nessuno, nemmeno dall'Africa. Il governo somalo imposto dall'Occidente ha ormai perso quel poco di controllo del paese che aveva guadagnato con la forza etiope alle spalle ed è lacerato dalle divisioni.

di Luca Mazzucato

Questa volta non sono i russi a linciare gli ebrei come accadeva un secolo fa: ora sono i coloni israeliani a voler linciare i palestinesi a Hebron. La scena è una casa in fiamme abitata da venti palestinesi, tutti donne e bambini eccetto tre uomini. Attorno alla casa, decine di coloni ebrei col volto mascherato, dopo aver appiccato il fuoco alla proprietà, lanciano pietre nelle finestre rotte per stanare i palestinesi. Le urla terrorizzate dei bambini sovrastano il frastuono dell'incendio: gridano aiuto, ma nessun vicino corre in soccorso. L'edificio infatti è isolato dal resto del quartiere da centinaia di coloni e guardie armate, accorsi dal vicino insediamento illegale di Kyriat Arba per godersi lo spettacolo. I vigilantes con i mitra spianati si occupano di tenere a distanza le ambulanze e i vigili del fuoco palestinesi. Esercito e polizia israeliani non sembrano interessati agli eventi.

di Carlo Benedetti

L’Asia torna alla grande sulla scena mondiale avviando una delle trasformazioni strutturali più significative del sistema internazionale moderno dell’era della rivoluzione industriale. Si muovono all’attacco tre paesi: il Giappone con i suoi 127.435.000 abitanti; la Cina che ne conta 1.330.503.000 e la Corea del Sud che tocca i 44.044.790. E tre, di conseguenza, i leader in pista per contrastare la globalizzazione occidentale: il Primo ministro di Tokyo Taro Aso; il leader di Pechino Wen Jintao, primo ministro; i coreani Lee Myung-bak, Capo di Stato e il Capo di governo Han Seung-soo. Si annuncia - come ritengono molti esperti dell’economia asiatica - un processo geopolitico di trasformazione tecnica e scientifica che potrebbe produrre una frattura radicale nell’ordine mondiale, rimettendo in questione gli equilibri internazionali contemporanei. Tutto questo anche in riferimento al fatto che l’Asia orientale, che include le regioni più popolate del mondo – i due terzi dell’umanità - rappresenta un vasto insieme demografico, estremamente diversificato dal punto di vista economico, culturale e politico.

di Eugenio Roscini Vitali

Sono quasi 120 i deputati somali che il giorno dopo l’insediamento del nuovo primo ministro, Mohamed Mohamud Guled, hanno chiesto l’incriminazione del presidente Abdullahi Yusuf: l’accusa è di violazione dell’articolo 14 della Carta transitoria ed ostacolo al processo di pace tra il Governo di Transizione Federale (TGF) e l’Unione delle Corti Islamiche (UIC), i tribunali locali che tra giugno e dicembre 2006 erano riusciti a dare al paese una parvenza di governabilità e stabilità politica. A far scattare la reazione dell’ala moderata del parlamento é stata l’inattesa estromissione del premier Nur “Adde” Hassan Hussein, personaggio politico di grande consenso che ha portato avanti gli accordi di Gibuti con l’ala moderata dell’ex governo islamico e ha posto le basi per un’intesa che avrebbe potuto mettere fine ad una ingovernabilità ormai ventennale.


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