di Elena Ferrara

Freddi, caldi, congelati, esplosivi, annunciati, insoluti. Sono le definizioni che vengono fuori quando si parla di conflitti (attuali o secolari) sui quali si giocano, spesso, le sorti del mondo. E l’Asia, in questo contesto, è il continente a rischi maggiori. Le notizie che arrivano sono sempre più allarmanti perchè gli scontri in atto - in un crocevia di traffici di tutti i tipi - potrebbero trasformarsi in aperta guerre di secessione evidenziando le divisioni geopolitiche delle sfere di influenza. Sul tavolo dei maggiori conflitti asiatici sono più che mai aperti quelli che si verificano in Israele (un paese che continua la sua lotta armata contro la Palestina senza rispettare le leggi dell’Onu e le proteste della comunità internazionale) e in Iraq dove l’occupazione americana provoca ogni giorno di più danni epocali. E sullo sfondo - dove risalta anche il conflitto interno al Pakistan segnato dall’arroganza del generale Musharraf - si evidenzia sempre più il conflitto con la Turchia che vede i curdi sviluppare la loro lotta per ottenere un proprio territorio nazionale.

di Carlo Benedetti

MOSCA. L’incoronazione è fissata per il 7 maggio, ma già Dmitrij Medvedev - nuovo presidente russo - fa l’inventario della dote che gli spetta e che deve gestire insieme alla first lady. Tutto era nelle mani di Putin ed ora c’è il passaggio dei poteri: dall’hard power - quello militare ed economico - a quello del soft power, basato sui flussi informativi, sul prestigio e sul consenso. Medvedev entra così - pur se già ben collaudato per una simile impresa - nel mondo dello sproporzionato potere del Cremlino. Ma prima di avere in mano il software di base, valido per il funzionamento dell’intera macchina russa, prende contatto con l’hardware e cioè con l’insieme delle strutture “fisiche”, concrete. Ed ecco sedi, palazzi, ville, aerei, elicotteri, treni, navi ed auto. E’ un elenco ben nutrito e che i russi, oggi, cominciano a conoscere grazie ad alcune pubblicazioni che denunciano i privilegi della casta. Sotto tiro, quindi, c’è la nuova presidenza ma le schegge vanno a colpire anche quella vecchia, di Putin.

di Michele Paris

Le primarie vinte da Hillary Clinton lo scorso 4 marzo in Ohio, Texas e Rhode Island, proprio quando l’ex First Lady sembrava ormai sull’orlo della sconfitta, sembrano avere segnato una svolta importante nella corsa alla nomination in casa democratica, quanto meno nei toni della campagna elettorale e nei temi al centro del dibattito. Se la Senatrice di New York ha sostanzialmente centrato l’obiettivo di interrompere il cammino travolgente di Barack Obama seguito alle votazioni di febbraio sollevando molti dubbi sulla sua presunta inesperienza e sulle effettive chances di prevalere su un candidato repubblicano capace di attrarre una fetta consistente di elettorato indipendente come John McCain, il suo percorso verso la conquista della nomination rimane estremamente complicato alla luce del distacco nel numero dei delegati che ancora la divide dal suo avversario. Con 10 primarie ancora in programma da qui ai primi di giugno, con 689 delegati da assegnare, ed uno scenario in grande fermento in seguito al discorso di Obama sulla questione razziale negli USA e alla quasi certezza della mancata ripetizione delle consultazioni in Florida e Michigan, gli equilibri potrebbero però cambiare non poco in vista della Convention di fine agosto quando con ogni probabilità i Superdelegati del Partito Democratico saranno chiamati a mettere la parola fine sul testa a testa tra Hillary e Obama.

di Eugenio Roscini Vitali

Nel vicino Medio Oriente Condoleezza Rice è ormai di casa e quella di marzo è la tredicesima volta che si reca nella regione; l’ennesimo tentativo fatto dal Segretario di Stato americano per cercare di capire quello che è rimasto di un processo di pace che sembra ormai naufragato in un mare di promesse, ipocrisie e falsità. Che la crisi sia arrivata ad un punto di non ritorno lo dimostra il fatto che non appena atterrata all’aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv la Rice, anziché fare tappa in Israele, si è diretta a Ramallah dove ha incontrato Mahmoud Abbas. Al termine del meeting tenutosi nella Muqata’a, il quartier generale dell'Autorità Nazionale Palestinese, il Segretario di Stato americano ed il Presidente palestinese hanno rilasciato una conferenza stampa congiunta durante la quale Abbas ha ribadito che allo stato attuale non esistono le condizioni per poter continuare le trattative di pace con Israele, almeno fino a quando non verrà garantito un cessate il fuoco duraturo e che comprenda la Striscia di Gaza e la West Bank. Da parte palestinese il problema fondamentale rimane comunque la posizione di Israele: Gerusalemme continua ad anteporre la sua sicurezza a qualsiasi altra questione, dimenticando che questo è un tema di vitale importanza che non può essere superato con l’uso delle armi e che non deve essere considerato una prerogativa israeliana.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Il treno dell’alta velocità occidentale corre sui binari dell’Est post-sovietico in vista del summit del 2-3 aprile, convocato a Bucarest da una Nato che affretta i tempi per presentare il conto ai paesi che fanno già parte dell’Alleanza e a quelli che sono nella sala d’attesa. A Mosca arrivano i segretari di Stato americani - Condoleeza Rice e Robert Gates - per un blitz destinato a saggiare il terreno. Si incontrano con Putin (mezzo premier e mezzo presidente), con il nuovo capo del Cremlino, Medvedev (che è in attesa dell’incoronazione prevista per il 7 maggio) e con i ministri degli Esteri e della Difesa, Sergej Lavrov e Anatolij Serdiukov. Su un altro convoglio - ma questo diretto a Kiev, capitale dell’Ucraina - viaggia il presidente americano George W.Bush che con gli ucraini discuterà (il 31 marzo) del loro ingresso nella Nato. Poi tutti verso la capitale romena, compreso Putin, intenzionato (dopo aver “studiato” un documento inviatogli da Bush relativo ad alcuni punti-chiave) a presentare le future linee della politica russa nei confronti degli Usa, della Nato e dell’occidente filoamericano. Concluso il summit romeno si torna a casa, tutti meno Bush che vuole ispezionare la Croazia (in fila per essere ammessa nell’Olimpo della Nato) prima di lasciare la “sua” Europa e rientrare nella Casa Bianca. Ma le incursioni all’Est non sono finite.


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