di Carlo Benedetti

MOSCA. Risultati zero tra Putin e Bush che si avviano in quel dorato viale del tramonto che caratterizzerà la fine dei loro mandati presidenziali. I due, per mettere fine alla serie di 27 incontri svoltisi nel passato, si sono concessi - al ritorno dal vertice Nato di Bucarest - una tappa in quello scenario del piccolo Cremlino chiamato “Bociarov Rucei” che - nascosto in un parco di palme e di oleandri in quel di Soci, sul Mar Nero - segna il punto di arrivo quanto a rapporto diretto tra Washington e Mosca. Putin, comunque, non ha voluto perdere l’occasione per mettere nelle valige di Bush una serie di dossier di politica estera e di rapporti segnati da un “niet” a tutto campo. E così si chiude questa lunga parentesi di relazioni che va a segnare una fase di nuova guerra fredda. Pur se tutto si è svolto tra sorrisi e pacche sulle spalle, brindisi ufficiali a colpi di vodka e whisky come avvenne sull’Elba quando sovietici ed americani si abbracciarono. Ma quei tempi sono andati. Oggi c’è solo da festeggiare una nuova guerra fredda che dovrà essere gestita dal successore di Putin - Medvedev, che entrerà in carica il 7 maggio - e da quello di Bush.

di Luca Mazzucato

Keren vive a Gerusalemme nella comunità ebrea ultra-ortodossa. Vuole iscrivere la figlia di sei anni alla scuole religiosa Beit Ya'akov del suo quartiere. Ma purtroppo i piani di Keren per la figlia si scontrano con la pesante discriminazione che regna all'interno della comunità ultra-ortodossa: le prestigiose scuole ashkenazite sono off-limits per gli ebrei sefarditi. A rimetterci è la metà più debole della società ortodossa, ovvero le donne. Gli haredim (ebrei ultra-ortodossi) rappresentano un quinto della popolazione israeliana: è facile riconoscerli dagli abiti bianchi e neri e dal tradizionale cappello nero. Sono una fascia povera della popolazione israeliana: il sessanta per cento degli uomini non lavora, ma si dedica allo studio della Torah, mantenuti dai sussidi statali; circa la metà delle famiglie ultra-ortodosse, di solito molto numerose, vivono al di sotto della soglia di povertà. Come la maggior parte degli israeliani ebrei, gli haredim provengono storicamente da due gruppi etnici diversi. Gli Ashkenazi, di discendenza europea, sono l'elite politica e culturale del paese e i loro leader si ritengono i depositari della vera tradizione ebraica, mentre i Sefardi, immigrati dai paesi nordafricani o mediorientali, sono tipicamente più poveri. Se i rapporti tra le due comunità sono problematici già negli ambienti secolari, all'interno del mondo ultra-ortodosso ci si scontra a volte con una vera e propria segregazione razziale.

di Carlo Benedetti


MOSCA. Per ora Bush e gli strateghi della Nato ingoiano il rospo. Prendono tempo e attendono che il loro grande capo si incontri con Putin in quel di Soci. E’ accaduto, infatti, che al vertice della Nato svoltosi nelle ultime ore a Bucarest nella cornice fantastica e pacchiana del “Palatul Parlamentului” (un palazzo costruito negli anni ’80 da Ceaucescu e che conta più di mille stanze - distribuite su un’area di 330mila metri quadrati) i paesi del blocco militare atlantico hanno detto “no” a Bush lasciando fuori dall’Alleanza Ucraina e Georgia ansiose di entrare a pieno titolo nell’Alleanza. Un “si” invece per Albania e Croazia che si ritroveranno ora al tavolo di Bruxelles con le loro postazioni militar-diplomatiche. E’ però messa “in sonno” la Macedonia che potrà essere ammessa solo quando risolverà quel contenzioso che oppone da anni Skopje ed Atene sulla questione del nome ufficiale. Per la Grecia, infatti, la Macedonia è solo quella che indica le regioni greche del Nord. Mentre quella “parte” che era della Jugoslavia e che oggi si è resa autonoma dovrà cambiare nome (quello proposto è Fyrom) se vorrà mettersi al tavolo degli atlantici.

di Agnese Licata

Waiting in limboland”, in attesa nel limbo, titola l’Economist. In effetti, non c’è altro modo per descrivere la situazione dello Zimbabwe in queste ore: un limbo. Novantanove seggi su 210 al Movement for the Democratic Change (Mdc) di Morgan Tsvangirai contro i 97 rassegnati allo Zanu-Pf del presidente Robert Gabriel Mugabe. Alla fine quindi, i risultati ufficiali hanno confermato, almeno in parte, la vittoria rivendicata dall’opposizione fin dal giorno successivo alle elezioni. Ma a guastare la festa di chi sperava in queste votazioni per chiudere il lungo capitolo Mugabe, c’è un vantaggio molto più risicato delle attese. Il rischio è che a fare da ago della bilancia siano dieci seggi conquistati da un piccolo partito. Si tratta della fazione uscita fuori dall’Mdc e guidata da Arthur Mutambara. E mentre continuano le voci di un Mugambe in trattativa per un salvacondotto, lo stato africano aspetta ancora – a quattro giorni dalle elezioni – che la commissione elettorale renda noti i risultati delle presidenziali. A completare il quadro di questo limbo, ci sono tre seggi non assegnati. In tre circoscrizioni, infatti, si dovrà organizzare un turno elettorale suppletivo, a causa della morte di alcuni candidati. Un ultimo seggio, infine, è stato assegnato a un candidato indipendente: l’ex ministro dell’Informazione, Jonathan Moyo.

di Michele Paris

Nonostante le energie del 71enne Senatore dell’Arizona John McCain nelle settimane successive alla conquista della nomination repubblicana siano state dedicate in gran parte al corteggiamento dell’ala più conservatrice del suo Partito, alcuni media statunitensi negli ultimi giorni gli hanno creato qualche imbarazzo nel riportare alla luce due episodi del suo recente passato nei quali l’ex eroe della guerra in Vietnam era stato molto vicino a passare tra le fila dei democratici. Il nervosismo nascosto a fatica da McCain di fronte alle domande indirizzategli qualche giorno fa circa il suo possibile abbandono del “G.O.P. Party” nel 2001 e i colloqui avuti con il democratico John Kerry nel 2004 per diventare il suo vice nella corsa alla Casa Bianca hanno mostrato tutte le difficoltà ad accreditarsi come paladino dei valori repubblicani di un candidato che nella sua attività al Congresso ha frequentemente rivelato posizioni “liberal” o, quanto meno, estremamente pragmatiche e prive di qualsiasi ideologismo.


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