di Carlo Benedetti

Il regime - rispettando il quadro lungo della Storia - non si può concedere sorprese o passi falsi. La dinastia va preservata e le regole della nomenklatura riportano alla memoria le successioni monarchiche. E così Vladimir Putin, forte del trionfo elettorale del suo partito nelle settimane scorse, non ferma la macchina del potere e corre verso l’appuntamento del marzo 2008. Quando non si potrà ripresentare come candidato alla Presidenza perché lo vieta una norma costituzionale. E così occupa il posto con notevole anticipo: incorona il suo successore. E, guarda caso, lo trova a portata di mano nel suo entourage attuale. Il nome è quello di Dmitrij Anatol’evic Medvedev. Anche lui - come Putin - viene dalla covata di Leningrado. E’ nato il 14 settembre 1965 e da circa diciassette anni è in piena sintonia con il Cremlino putiniano. Personaggio furbo e notevolmente ambizioso. Cultore appassionato dei privilegi della casta. Ha fama di essere un uomo abile, energico e fortemente desideroso di dare un nuovo corso alla vita politica e sociale del paese. Ma si sa anche che è collegato a vari ambienti economici russi ed occidentali, con una lunga attività al servizio di un’azienda industriale della Svezia.

di Eugenio Roscini Vitali

E’ passato più di un anno dagli accordi di pace che hanno messo fine alla guerra civile; dieci anni di combattimenti che sono costati la vita a più di 13 mila civili e hanno causato la fuga di centinaia di migliaia di profughi. L’intesa, firmata il 21 novembre dello scorso anno a Kathmandu dal capo del governo di coalizione, Girija Prasad Koirala e dal leader del Partito comunista, Prachanda, ha rappresentato la fine della medioevale teocrazia del re Gyanendra e l’inizio di una nuova fase di democrazia e sicurezza. La ricostruzione del Paese è così nata intorno ad un governo di unità nazionale formato dai sette partiti della coalizione democratica (Spa) e dal Partito comunista nepalese; un esecutivo che deve gettare le basi per una nuova costituzione scritta da un parlamento scelto dal popolo nepalese attraverso libere elezioni. In realtà, nella terra che si dice sia stata visitata da Buddha, la democrazia non è mai stata di casa. Unificato nel settembre 1768, il Nepal è stato per lungo tempo teatro di violente repressioni ed è stato governato da regimi che hanno basato il loro potere su sistemi politici mono-partitici (il panchaayat), nepotistici e corrotti.

di Daniele Jon Angrisani

Nel Paese in cui anche la politica sembra ormai ridotta a reality show, non passa giorno che non esca un nuovo scandalo pronto ad essere dato in pasto all'opinione pubblica. Dopo la tragicomica farsa del documento dell'intelligence statunitense sul programma nucleare iraniano fermo dal 2003, ora l'attenzione dei media e del Congresso è tornata sul tema degli abusi subito dai prigionieri della Guerra al Terrorismo nelle mani dei servizi segreti USA. Al centro del dibattito vi è ora la decisione, che sarebbe stata presa già nel novembre 2005 da parte di qualcuno all'interno della CIA, di distruggere i filmati in cui erano ripresi gli interrogatori (e le torture) subite da Abu Zubaydah ed altri importanti detenuti di Al Qaeda. L'attuale direttore della CIA, Michael Hayden, sebbene abbia affermato di non conoscere chi ha ordinato la distruzione di questo materiale, ha anche, di fatto, difeso incondizionatamente questa decisione in quanto "le videocassette, se rese pubbliche, avrebbero posto un serio rischio di sicurezza", poichè "avrebbero permesso l'identificazione degli agenti della CIA che hanno partecipato al programma, esponendo loro ed i loro familiari a vendette da parte di Al Qaeda".

di Carlo Benedetti

C’è sempre spazio nella bandiera americana. Tra poco arriverà la stella n.51 e sarà quella del Kosovo. E’ chiaro, infatti, che l’obiettivo della Casa Bianca, del Pentagono e della Cia consiste nell’accelerare il processo di disgregazione della (ex) Yugoslavia per favorire la costituzione di un Kosovo “indipendente” e, in prospettiva, di una “Grande Albania”. Tutto questo per imporre una pratica politica ed economica capace di trasformare radicalmente i Balcani in un “territorio americano”. Ed ecco oggi - dopo il voto di Pristina del 17 novembre scorso - un nuovo appuntamento per il futuro del Kosovo. E’ quello del 10 dicembre quando nell’arena geopolitica si dovrà decidere lo status della provincia. Inizierà in quel momento il vero e pericoloso conto alla rovescia. Ma già si sa che il governo di Belgrado si muoverà per impedire l’indipendenza del suo territorio che i serbi definiscono come Kosovo-Metohija.

di Daniele John Angrisani

Della vittoria elettorale, più o meno lecita, del partito di Vladimir Putin alle elezioni della Duma, si è detto di tutto e di più in questi giorni. Ma, a prescindere dalle parole, un dato è certo: la popolarità di Putin, sebbene spinta alle stelle dalla massiccia propaganda a suo favore da parte della televisione (completamente controllata dal Cremlino), è genuina e radicata nel popolo russo, che lo vede come colui che ha permesso alla Russia di riprendere il proprio posto nel mondo dopo le umiliazioni degli Anni Novanta e la profonda crisi economica del periodo post-sovietico. In questi ultimi anni, infatti, grazie sia alla stabilità politica garantita dal regime Putin, sia dagli enormi afflussi di denaro a causa dell'aumento siderale del prezzo del petrolio e del gas, principali prodotti di esportazione dell'economia del Paese ex sovietico, i cittadini russi hanno potuto sperimentare sulla propria pelle un benessere mai ottenuto prima. Le città russe, in particolar modo Mosca e San Pietroburgo, hanno visto un proliferare di negozi di lusso e di ricchezza sempre più diffusa, che ha permesso, tra le altre cose, la nascita di un embrione di classe media che potrebbe essere molto importante per il futuro del Paese.


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