di Eugenio Roscini Vitali


A cinque anni dal rapporto delle Nazioni Unite sullo stato dei diritti umani in Uzbekistan, Human Right Watch pubblica una nuova relazione con la quale denuncia l’uso sistematico della tortura fisica e psicologica utilizzata dalle forze di sicurezza uzbeke. La pratica delle sevizie e dei maltrattamenti ricorda i sistemi usati dal Kgb ai tempi dell’Unione Sovietica e, nonostante i numerosi appelli lanciati dalle organizzazioni e dei comitati per i diritti umani, il governo di Tashkent non sembra intenzionato a prendere alcun provvedimento per fermare questa infame barbarie. Al contrario, mentre gli organi ufficiali si affannano a convincere la comunità internazionale e l’opinione pubblica che nel Paese il processo di trasformazioni è ormai avviato, le autorità si stanno adoperando per impedire che le informazioni difformi dalla versione ufficiale vengano rese note all’esterno. In realtà, dopo alcuni anni di dibattito, in Uzbekistan le riforme nel campo delle giustizia registrano alcuni passi avanti: leggi a tutela della libertà personale, contro la detenzione arbitraria (habeas corpus) e per l’abolizione della pena capitale, approvata lo scorso giugno dal Senato e sostituita con l’ergastolo. Al contrario, la polizia continua a ricorrere in modo sistematico alla coercizione fisica e psicologica per estorcere informazioni e confessioni; un fenomeno significativo che coinvolgerebbe gli organi di sicurezza e che verrebbe ignorato dall’intero sistema giudiziario e la cui denuncia verrebbero insabbiata dal governo e dagli organi di informazione ufficiale.

di Daniele John Angrisani

In questi giorni tumultuosi per il futuro del Pakistan, l'attenzione dell'opinione pubblica mondiale si è interessata principalmente ad una questione: che fine farebbero le testate nucleari - circa un centinaio ad oggi secondo le ultime stime - in possesso del Pakistan dovesse Musharraf cadere e il suo Paese finire in mano agli estremisti islamici? Una prima risposta sembra essere arrivata proprio in questi giorni. Come ha riportato infatti il giornale americano Stratfor, vicino alla community dell'intelligence USA, gli Stati Uniti "avrebbero posto un ultimatum al dittatore pakistano Musharraf subito dopo l'11 settembre. O il Pakistan avrebbe permesso il controllo americano delle proprie installazioni nucleari, o gli Stati Uniti non avrebbero avuto altra scelta che distruggere queste installazioni, possibilmente con l'aiuto dell'India". Cosa che avrebbe lasciato, tra le altre cose, questo Paese come l'unico in possesso di testate nucleari nella zona, un indubbio vantaggio strategico nei confronti dell'arcinemico Pakistan.

di Carlo Benedetti

Prodi - con un bliz a Mosca per firmare un maxi accordo sul gas - non è il “petroliere rosso” Hammer. E Putin non è Lenin. Cambiano i secoli e la Russia di oggi non è quella degli anni post-rivoluzionari. E le modalità dell’interscambio tra Est ed Ovest non si rifanno al sistema di produzione asiatico. Così il premier italiano raggiunge la capitale russa ostentando il nostro tricolore, ma in realtà sa di essere avvolto dalla bandiera gialla dominata dal cane a sei zampe. Mostra tutta l’ansia di essere uomo abile, desideroso di imprimere una svolta nelle relazioni economiche. Ma il trionfo è dell’Eni che porta a casa un progetto denominato South Strem che sarà una sorta di affare del secolo. Si tratterà di un sistema di gasdotti che dalla Russia meridionale porterà il gas in Bulgaria e in Grecia con diramazioni verso l’Italia, con una potenza di 30 miliardi di metri cubi di gas l’anno.

di Luca Mazzucato

Domenica 11 Novembre una delegazione di negoziatori palestinesi, con a capo Ahmed Qureia, parte da Ramallah alla volta di Gerusalemme, per un meeting di routine con il ministro degli esteri israeliano Livni. Due team diplomatici si incontrano ogni settimana per mettere a punto una generica dichiarazione di intenti tra Olmert e Abu Mazen, da presentare come risultato della programmata conferenza di Annapolis del 26 Novembre. Per evitare che la conferenza si trasformi in un flop mediatico per Condoleezza Rice, le parti in causa devono dimostrare almeno un po' di buona volontà. Come ogni domenica, lungo quei pochi chilometri che separano Ramallah da Gerusalemme Est, Qureia deve attraversare un check point israeliano lungo il muro. Per la maggior parte dei Palestinesi residenti in West Bank non è possibile passare: Gerusalemme Est, occupata nel '67, è di fatto annessa allo stato ebraico. Ad alcuni funzionari di Fatah il governo israeliano concede di passare, si tratta di negoziare la pace dopo tutto. Ma questa volta una brutta sorpresa aspetta Qureia ed il suo team.

di Mazzetta

Una guerra non è una faccenda che si possa pianificare tanto facilmente, ancora meno è qualcosa che si possa analizzare con ottiche economiste. Le ultime guerre occidentali hanno dimostrato ancora una volta la considerazione che Bismark pose a premessa delle sue teorie belliche: di nessuna guerra, si può sapere prima come finirà. Si era capito fin da subito che in Afghanistan sarebbe finita male, ma gli ultimi eventi, tra i quali la morte di Daniele Paladini, caduto ieri in un agguato kamikaze ci dimostrano che potrebbe anche finire peggio. Militarmente semplicissima, la cacciata del governo talebano fu festeggiata con l’assassinio di qualche migliaio di prigionieri, abbandonati a morire chiusi dentro i container. A prendere l’amministrazione del paese fu un ex-dipendente di una compagnia petrolifera americana, alcuni ministeri furono affidati a signorotti feudali, tutti i ministeri furono sottomessi ad un imbarazzante controllo da parte americana e pachistana. Il povero Karzai si è ridotto a piangere in pubblico nel denunciare i danni che il Pakistan infligge al paese “fratello”, ma resta il sindaco di Kabul; una figura onoraria.


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