di Giuseppe Zaccagni

Nei programmi futuri di Ratzinger – nei limiti del consentito dai dogmi vaticani - c’è sempre una tappa russa per incontrare il Patriarca di Mosca e di tutte le Russie, Alessio II. Una visita sempre annunciata e mai realizzata anche per i tanti “niet” arrivati dalle rive della Moscova, dove la Chiesa ortodossa teme le invasioni vaticane. Ma ora si apre uno spiraglio grazie ad una presenza romana di un “ortodosso doc” come Chrysostomos II, arcivescovo di Nuova Giustiniana e di tutta Cipro, che è il rappresentante dell’antichissima Chiesa dell’isola. E’ con lui che il Papa ha parlato in questi giorni: un faccia-a-faccia nella sala della Biblioteca del Palazzo Apostolico Vaticano (quaranta minuti più un pranzo di due ore). I due si sono confrontati sui temi e sulle sfide della bioetica, sulle vicende della vita dell’Unione Europea (Cipro è entrata recentemente nell’Ue), sulle questioni della pace in Medio Oriente ma soprattutto sulla predicazione apostolica e sul dialogo ecumenico. In pratica i due hanno parlato della questione russa che vuol dire un’apertura ufficiale di relazioni tra il Vaticano e il mondo ortodosso di Mosca. Apertura che dovrebbe essere facilitata dal paziente e lungo lavoro che si registra sulle rive della Moscova nei confronti dell’Oltretevere. Ed è significativo, in tal senso, anche quanto detto da Ratzinger e cioè che ci vuole un “linguaggio nuovo per proclamare la fede che ci accomuna”. A questa dichiarazione di intenti è seguita - da parte di Chrysostomos – questa affermazione: “È l’ora della Chiesa e della nuova evangelizzazione per l’Europa di oggi”.

di Carlo Benedetti

Il grande incontro Bush-Putin è già programmato. Avverrà il 1 luglio nel Maine, nel nordest degli Usa. Qui i due affronteranno la questione dello “scudo spaziale” e la situazione del nucleare iraniano. Intanto tra Washington e Mosca non c’è una rottura, ma nemmeno un passo indietro. C’è, attualmente, solo un’ennesima situazione di stallo che blocca il dialogo. Ma non si segnalano mutamenti di pozione. Le parti si studiano a vicenda. Tutto passa per Vienna dove una conferenza straordinaria – voluta da Mosca e dagli Stati firmatari del Trattato sulla riduzione degli armamenti convenzionali in Europa (Conventional Forces in Europe, Cfe) e appoggiata dall’Osce (l'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa) - si è conclusa senza risultato. “I partecipanti – ha detto un portavoce – non sono riusciti a mettersi d'accordo su un comunicato finale”. E questo vuol dire che si è ancora in alto mare, come sottolinea il capo della delegazione russa, Anatoly Antonov. L’incontro viennese, comunque, rilancia il contenzioso che caratterizza le tensioni fra Russia e Nato e, in particolare, tra Mosca e Stati Uniti, in relazione al progetto americano di difesa antimissile (“scudo spaziale”), che prevede due basi in Paesi dell'ex Patto di Varsavia (Polonia e Repubblica Ceca). Ma che comprende, indirettamente, anche la complessa questione dell'indipendenza del Kosovo, cui Mosca si oppone.

di Bianca Cerri

Mentre i controlli alla frontiera tra il Messico e la contea di Brooks, Texas del sud, si fanno sempre più severi, la località si trasforma in un cimitero per gli esseri umani più deboli e sfortunati. Ormai non passa giorno che non vengano trovati i cadaveri di uomini, donne e bambini che perdono la vita tentando di superare il confine. Ma farlo diventa sempre più difficile perché tutta la linea è presidiata da guardie armate determinate a sparare sulla prima cosa che si muove. Fra la popolazione della contea di Brooks la paura di nuove ondate di clandestini cresce di giorno in giorno e cresce anche la rabbia contro le autorità che dilapidano fondi pubblici per recuperare i cadaveri. Anche il giudice Paul Ramirez, nato in Messico ma naturalizzato americano, si lamenta: a maggio sono stati spesi quasi 35.000 dollari per i rilievi autoptici e per la sepoltura dei clandestini, troppi per una contea che non naviga nel lusso.

di Daniele John Angrisani

Dopo la sanguinosa battaglia che ha consegnato la Striscia di Gaza nelle mani di Hamas, a Gaza City regna una calma irreale. La bandiera verde del movimento integralista palestinese sventola su tutti gli edifici più importanti della città e la quiete è interrotta solo da alcuni episodi di violenza residuale. Tra questi, il saccheggio della villa del defunto leader di Fatah, Yasser Arafat, e di Mohammed Dahlan, il suo braccio destro nella Striscia di Gaza. Di Dahlan in particolare, il nemico numero uno delle forze di Hamas a Gaza, non si sono sapute più notizie per alcuni giorni: qualcuno affermava si trovasse già all'estero per alcune cure, ed invece è notizia fresca che pare si trovi tra i circa 500 combattenti di Fatah che sono scappati dalla Striscia di Gaza, per rifugiarsi a Ramallah, ovvero nel cuore di quella Cisgiordania ancora nelle mani dell'Autorità Nazionale Palestinese. Il presidente Abu Mazen ha ricevuto il sostegno pressoché unanime della comunità internazionale ed ha ricambiato respingendo qualsiasi offerta di dialogo da parte di Hamas, che, dopo la conquista di Gaza, ha dichiarato la sua disponibilità a voler trovare una soluzione pacifica alla crisi. Anzi, in Cisgiordania Hamas è stata dichiarata organizzazione illegale ed Abu Mazen ha provveduto a sciogliere il governo di unità nazionale, presieduto dall'esponente di Hamas, Ismael Haniyeh, per nominare come nuovo primo ministro, l'ex ministro delle Finanze Salam Fayyad, personalità molto stimata in Occidente.

di Agnese Licata


Anche questa volta gli elettori francesi non hanno voluto rinunciare al colpo a sorpresa. Proprio quando tutti davano per scontato che l’”ondata blu” avrebbe travolto e conquistato anche l’Assemblea Nazionale, quando gli stessi socialisti cominciavano a pensare come affrontare cinque anni all’opposizione con al massimo 150 deputati su 577, il secondo turno delle politiche ha decretato un’inattesa rimonta della sinistra. L’Ump del neo presidente Nicolas Sarkozy guadagna, sì, la maggioranza assoluta del Parlamento con i suoi 314 seggi, ma il Ps riesce a risalire a 185, andando addirittura oltre i risultati del 2002, quando erano 149. Una rimonta che sembrava impossibile anche solo una settimana fa, di fronte a un primo turno che aveva permesso alla destra di eleggere in modo diretto ben cento dei suoi candidati (andati oltre il 50 per cento), contro uno solo dei socialisti. A questo va poi aggiunto la mancata elezione di Alain Juppé, colui che Nicolas Sarkozy aveva designato come proprio vice, e che costringe il presidente francese a rivedere la propria squadra di governo.


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