di Carlo Benedetti

Nell’Estremo oriente russo sono già presenti in massa. Lavorano nei campi e nei boschi. Trafficano nei mercati di Kabarovsk e di Vladivostock. Hanno invaso città come Irkutsk, Omsk, Tjumen, Tobolsk, Ulan Udè, Novosibirsk. Sono i cinesi che approfittano delle buone relazioni tra Pechino e Mosca per cercare il loro “posto al sole” nelle sconfinate lande siberiane. Ma ora puntano sulla capitale scegliendo le rive della Moscova come obiettivo finale della loro penetrazione silenziosa e pacifica. Ed eccoli accanto al Cremlino. Sono già in 500.000 secondo i dati ufficiali. Di loro un 40% lavorano nei mercati (in quello di Cerkisovo le loro bancarelle offrono bigiotteria classica con un giro di 15milioni di dollari l’anno), un 20% operano nel settore dei servizi (ristoranti e negozi). Tutti gli altri sfuggono ai pur severi controlli di polizia e sono, per lo più, collegati al mondo criminale. Quanto alle condizioni di vita gli organismi della Mosca ufficiale non riescono a dare risposte precise. I cinesi vivono in zone “grigie” e sfuggono ad ogni controllo: si nascondono e, di volta in volta, scompaiono. Vivono comunque in pessime condizioni: in 10-15 in una stanza di quei “casermoni” della più lontana periferia. Si sa che lavorano 12-13 ore al giorno e che a fine mese portano a casa circa 300 dollari. E più della metà li spediscono in patria… Ora però scatta una grande operazione che è destinata, in parte, a portare “il problema cinese” entro una certa normalità.

di Daniele John Angrisani

E così gli Stati Uniti d'America hanno avuto il loro 81esimo Segretario alla Giustizia. Stiamo parlando di Michael Bernard Mukasey, da poco confermato alla carica con 53 voti favorevoli e 40 contrari dal Senato americano. Una conferma che, nonostante le premesse favorevoli - era stato infatti nominato da Bush come successore dell'odiato Gonzales, proprio in segno di pace nei confronti dei democratici che avevano minacciato battaglia - è stata tutt'altro che semplice. Per un semplice motivo: durante l'audizione al Senato, Mukasey non è stato in grado di dare una risposta definitiva al quesito riguardante l'ammissibilità di tecniche di interrogatorio "rafforzate", quale il cosiddetto “waterboarding”, ovvero la tecnica che prevede di infilare sulla faccia di un prigioniero un panno bagnato in modo da simulare la sua morte per annegamento. Una tecnica che secondo qualsiasi manuale viene considerata come tortura, ma non evidentemente dai tecnici del ministero della Giustizia americano, che anzi avevano fatto di tutto, ai tempi di Gonzales e prima ancora di Aschcroft, per ridefinire il concetto di tortura, escludendo pratiche come questa, applicata diverse volte nell'ambito della guerra al terrorismo.

di Eugenio Roscini Vitali

A cinque giorni dal push Pervez Musharraf è tornato di fronte alle telecamere e a sorpresa ha annunciato che le prossime elezioni parlamentari si terranno entro febbraio, aggiungendo che prima dell’investitura a Capo dello Stato lascerà il comando delle Forze Armate e la carriera militare. Il risultato della consultazione indiretta del 6 ottobre scorso, con la quale Musharraf si è assicurato un nuovo mandato presidenziale, non è ancora stato ufficializzato proprio a causa di un dubbio di costituzionalità sulla doppia carica di presidente della Repubblica e Capo delle Forze Armate. Sostituendo i giudici indipendenti della Corte Suprema con personaggi a lui fedeli, Musharraf si è però assicurato un verdetto favorevole; perché allora ha annunciato l’intenzione di lasciare il controllo dell’esercito? Lo stato di emergenza imposto il 3 novembre scorso dimostra che anche in questa occasione il presidente pakistane vuole gestire la situazione con il pugno di ferro. L’istituzione di una potenziale legge marziale, mascherata con l’auto-proclamazione a capo dello Stato esecutivo, e la contestuale sospensione della Costituzione in vigore dal 1973 sono state giustificate con l’impellente necessità di difendere la sicurezza nazionale dal terrorismo e l’infiltrazione talebana nelle regioni tribali nord occidentali; un espediente già usato altre volte per tenere sotto scacco le opposizioni ed evitare possibili rovesciamenti di regime.

di Fabio Bartolini

Dal 27 ottobre 2007 nella città di Sirte, in Libia, sono riuniti i rappresentanti del governo sudanese e dei gruppi ribelli per una Conferenza sul Darfur. Sotto la supervisione degli inviati dell’ONU, la conferenza, concepita per mettere a confronto le diverse parti coinvolte nello scontro e approvare una tabella di marcia per il lungo processo di pace, ha visto la partecipazione del governo sudanese con una delegazione diretta da Nafie Ali Nafie - da sempre stretto collaboratore del presidente del Sudan Omar al Beshir – e di gruppi ribelli minori. Ospite d’eccezione – quanto interessato - il leader libico Moammar Gheddafi, in veste di mediatore oltre che di anfitrione. I temi principali dell’incontro, secondo le parole dell’inviato dell’ONU Jan Eliasson, sono fondamentalmente tre: stabilire un immediato cessate il fuoco, programmare il rientro dei profughi nei loro villaggi; progettare un risarcimento per le vittime. I lavori si protrarranno per altre due settimane, al termine delle quali tutti si dicono fiduciosi sul raggiungimento di accordi non unilaterali. Obiettivo comunque non semplice da perseguire, giacché la conferenza - che rappresenta la fase finale dei negoziati in corso da mesi – vede con preoccupazione la non partecipazione dei maggiori gruppi di ribelli: il Movimento di liberazione del Sudan e il Movimento per la giustizia e l'eguaglianza.

di Bianca Cerri

Anche quest’anno, negli Stati Uniti, lo struggente color giallo-oro tipico del mese di ottobre è stato sostituito dal rosa di “Race for the Cure”, la maratona-simbolo della lotta ai tumori del seno che la fondazione Komen organizza da ventiquattro anni. Quest’anno, 110 città americane hanno ospitato la manifestazione permettendo alla fondazione di raccogliere donazioni maestose, grazie anche ai mille volontari che hanno generosamente prestato la propria opera. Komen Foundation nacque in sordina nel 1983, per volere di Nancy Brinken, una donna che aveva perso da poco una sorella uccisa da un tumore al seno. Da allora, molte cose sono cambiate e Brinken vanta attualmente strettissimi legami con le grandi industrie e il mondo politico. Grazie a “Race for the Cure” la sua immagine appare spesso sulle copertine delle più importanti riviste americane e il 14 ottobre scorso George Bush le ha affidato l’incarico di capo cerimoniere alla Casa Bianca. La nomina è stata festeggiata in uno dei grandi saloni della residenza presidenziale, che per l’occasione era stato addobbato con centinaia di fiori nella stessa identica tonalità dei gadgets della Komen Foundation. Si tratta di abiti, tazze da thè e altre chincaglierie creati da stilisti e designers di grido appositamente per la fondazione, alla quale andrà parte del ricavato delle vendite. Qualcuno ha definito questa produzione “l’industria del cancro al seno”, visto che, grosso modo, si parla di 140 aziende di fama internazionale che approfittano del mese dedicato alla lotta contro questa malattia per procurarsi un ritorno d’immagine.


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