di Fabrizio Casari

Con il 45% dei voti, Cristina Fernandez in Kirchner, avvocato, 54 anni, è la nuova Presidente della Repubblica Argentina. La sua sfidante, la cristiano-liberale Elisa Carriò, si è fermata al 23% dei consensi, mentre il terzo candidato, l’ex ministro dell’economia Roberto Lavagna, non ha superato il 19% dei voti. E’ la prima volta che una donna viene eletta alla massima carica dello Stato, giacché Isabelita Peron assunse la guida del paese solo dopo la morte del marito, Juan Peròn. E’ la vittoria di Cristina, ma sotto diversi aspetti è la conferma del sostegno che gli argentini hanno voluto offrire al marito Presidente, che ha letteralmente riportato alla vita una nazione affondata sotto i colpi del monetarismo menemista. Ma d’altro canto, se è vero che l’operato di Nestor Kirchner ha determinato in grande misura la vittoria di Cristina, è altrettanto vero che in qualche modo Cristina succede a se stessa, dal momento che il Presidente uscente ha avuto in sua moglie il suo più fidato consigliere politico e d’immagine, un punto di riferimento fondamentale nella elaborazione delle scelte di politica estera ed interna, un filtro sapiente con il quale gli interlocutori dovevano relazionarsi. Cristina Kirchner è dunque la seconda Primera dama (l'altra é Michelle Bachelet, Presidente cilena) che la nuova America Latina proietta su un continente pure definito – non a caso – la patria del machismo, a conferma ulteriore che le nuove democrazie latinoamericane sanno lasciarsi alle spalle, oltre che i vincoli suicidi con il “Washington consensus”, anche i retaggi dell'idiosincrasìa.

di Eugenio Roscini Vitali

Fino a qualche giorno fa la via diplomatica auspicata da Washington per risolvere la crisi che coinvolge la Turchia e l’Esercito dei lavoratori curdi (Pkk) sembrava essere ancora percorribile, ma da dopo il raid turco del 24 ottobre la situazione appare ormai definitivamente compromessa. Ora che il ghiaccio è rotto, Ankara potrebbe decidere di dare il via ad una vasta operazione militare per chiudere definitivamente in capitolo del separatismo; un’operazione che destabilizzerebbe l’intera regione e che metterebbe fine, almeno per il momento, alla speranze curde di nazione, sovrana e indipendente; una campagna che potrebbe durare diversi anni e il cui esito non è del tutto scontato. Il raid turco che ha preso il via il 21 ottobre, è la risposta ai recenti attacchi subite da parte dei miliziani (peshmerga) curdi che operano a ridosso del confine con l’Anatolia. Ankara, che ha promesso di non escludere la via diplomatica per chiudere “la questione curda”, ha deciso di attaccare nonostante le forti pressioni del Segretario di Stato americano Condoleezza Rice, la quale aveva chiesto alcune settimane di tempo per cercare di convincere i combattenti del Pkk a deporre le armi e a rinunciare alla lotta armata.

di Carlo Benedetti

Nuove e dure pagine di guerra “diplomatica” tra Russia ed Usa. Con Putin che da Mafra, in Portogallo - dove si svolge il vertice Ue-Russia - sferra un nuovo attacco all’America di Bush richiamando alla memoria collettiva significative pagine di storia. Tutto questo sta a significare che tra Mosca e Washington la guerra fredda - che ha registrato negli ultimi mesi una serie di atti militari estremamente gravi, caratterizzati dallo scudo spaziale americano e dai voli preventivi dei caccia russi - entra ora in una fase di glaciazione epocale. Perché mentre Bush, impantanato in Iraq e preoccupato per la situazione turco-curda, cerca di glissare sul tema del rapporto con il Cremlino, Putin alza il tiro. Annuncia un orizzonte di trasformazioni e, partendo da una metafora di carattere storico, getta una luce sinistra sulle relazioni bilaterali. Il riferimento del Presidente russo è ad una data del passato che gli storici si affrettano ad esaminare per verificare se esistono o meno paragoni validi. Tornano così nel lessico politico del Cremlino avvenimenti relativi all’ottobre-novembre del 1962 quando scoppiò quella “crisi dei missili” che vide uomini come Kennedy e Krusciov affilare le armi sotto l’incalzante successione degli eventi.

di Carlo Benedetti

L’accanito giocatore confessa: ora si sente umiliato ed offeso. Gli avevano aperto, grazie al crollo del socialismo reale, quei luoghi di passione che erano bische e casinò in una capitale depurata dalle “Case di cultura”... Erano arrivati, con i primi spruzzi di capitalismo, i giochi d’azzardo, i tappeti verdi, i dadi madraperlati, le roulette, i tornei di Chemin de fer, il Trè Card Stud Poker , le Video slot i cui jackpot raggiungevano quote da 500 mila euro, le stangone e le valchirie che arricchivano l’arredamento e ti seguivano, avvinghiate, in ogni mossa, attendendo il mazzetto di fiches vincenti. Si andava avanti sino all’alba (tra champagne, vodka e wisky) e la sera dopo si ricomiciava. Ma ora Putin si è lanciato in una campagna moralizzatrice paragonando il “vizio dell'azzardo” ad una malattia come l'alcolismo. Segue così la strada di quel Gorbaciov che per eliminare la passione per il bere colpì alla radice. Facendo distruggere i vigneti e dimezzando anche la produzione di vodka. E fu subito un proibizionismo di stampo sovietico. Ora scompaiono i casinò dove si combattevano battaglie a colpi di dollari. Il giocatore si arrende e cerca di ricostruire in dettaglio l’intera storia.

di mazzetta

Cosa si può pensare di un potente sindacato che accetta in colpo solo di ridurre da 78 a 27 dollari orari il costo del lavoro, di vedere tagliato di oltre un terzo il monte-pensioni versato dagli stessi lavoratori e di accordarsi con la parte imprenditoriale per mandare a casa il 78% di quelli pagati 78 dollari? Che cosa direste se allo stesso tempo a quel sindacato fossero affidati i restanti due terzi del monte-pensioni, al fine di costituire una Fondazione per dare la pensione e l’assicurazione sanitaria a centinaia di migliaia di lavoratori? Negli Stati Uniti molti dicono che si tratta di un sindacato corrotto, che in cambio della gestione di una massa enorme di denaro, che ne farà un gigante della previdenza privata, ha venduto le vite passate, presenti e future delle persone che doveva proteggere. Succede negli Stati Uniti, dove GM e Chrysler hanno concluso un accordo anche peggiore, nei dettagli, di quanto riassunto sopra. La creazione della fondazione, gestita dal sindacato UAW (United Auto Workers) ha liberato le due grandi corporation dal peso della previdenza e dell’assistenza sanitaria che avevano garantito ai propri dipendenti (che se le erano comunque pagate con una parte della retribuzione). Una liberazione ottenuta conferendo alla fondazione (Trust) solo i due terzi di una montagna di soldi che apparteneva ai lavoratori. Nell’accordo c’è anche finito il licenziamento di quasi tutti i dipendenti con retribuzioni ancora decenti e il consenso a che siano sostituiti con altri che saranno pagati un terzo dell’attuale retribuzione.


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