di Daniele John Angrisani

Nel corso della sua breve storia, ed in particolare dalla fine della seconda guerra mondiale, Washington D.C. è stata sempre meta di politici di oltreoceano che andavano in loco a mendicare l'interesse dell'Imperatore di turno per la propria causa. Nulla di strano dunque che oggi sia stato il turno del nuovo primo ministro inglese, Gordon Brown. Tra sorrisi di circostanza, abbracci e dichiarazioni sprizzanti amicizia e fedeltà tra alleati di lunga data, una cosa è risultata sicura agli occhi di tutti: chi si aspettava, ingenuamente, che Brown potesse avere una linea di politica estera diversa da quella del suo predecessore, Tony Blair, è rimasto subito deluso. Le sue promesse già naufragano dinanzi alla sua dichiarazione a seguito dell’incontro con Bush in cui ha ammesso che sì, forse le cose in Iraq davvero stanno andando per il meglio ed è prematuro parlare di un ritiro delle forze inglesi dal sud dell'Iraq. In cambio, però, entrambi i leader hanno concordato, altra grande novità politica, che l'Iran è una minaccia e c'è bisogno perciò di ulteriori e più dure sanzioni da approvare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, se Teheran non deciderà di collaborare sul suo programma nucleare.

di Bianca Cerri


George Lester Jackson aveva solo 14 anni compì il primo viaggio della sua vita verso un centro di “aggiustamento”, espressione eufemistica per indicare centri di reclusione riservati ai minori considerati troppo difficili per i comuni riformatori. Dal finestrino del torpedone, Jackson e gli altri ragazzi della sua età guardavano sfilare il paesaggio con occhi privi di espressione. Erano tutti neri o meticci e pochi di loro avevano conosciuto un’esistenza stabile o ricevuto un’istruzione regolare. Cresciuti fra orfanotrofi dove li avevano collocati le autorità dello Stato e la strada, erano destinati ad un’esistenza che si sarebbe svolta tra un andamento non meno chiaramente definito di quello classico, solo che al posto delle scuole medie e superiori e dell’università ci sarebbero stati riformatori, carceri minorili e infine i penitenziari. Nel centro di “aggiustamento”, George Jackson aveva avuto l’impressione di essere capitato in un mondo che si muoveva al contrario. La sezione “H” alla quale era stato assegnato somigliava ad un immondezzaio dove si rischiava di regredire ad uno stato di bestialità, ma l’amministrazione si illudeva che bastasse insegnare il pateravegloria e sputare per raddrizzare il comportamento dei ragazzi che in galera ci stavano da quando erano nati.

di Fabrizio Casari

L’Unione Europea, come è noto, non brilla per autorità politica. Né in generale né, ancor meno, nei confronti degli Stati Uniti, verso i quali professa diversità di vedute - che spesso sono più che altro sfumature - e sostanziale abnegazione. Ora, se sulle grandi questioni di politica economica o di governance globale questo potrebbe risultare, per quanto deprecabile, legittimo, lo stesso non si può dire quando la relazione bilaterale ha per oggetto il rispetto dei diritti dei suoi cittadini. I casi sono molti, ma quello relativo alle norme che regolano l’accesso degli europei negli Usa è davvero paradigmatico. Succede infatti che l’Amministrazione Bush ha imposto alle compagnie aeree che volano negli Stati Uniti una procedura infamante e truffaldina. Le disposizioni impartite dagli Usa per il controllo dei dati personali dopo l’11 Settembre, lungi dall’essere misure realmente efficaci per la prevenzione di attentati, violano la privacy dei viaggiatori con finalità in parte diverse da quelle dichiarate. In particolare, per entrare negli Stati Uniti bisogna dotarsi di un passaporto elettronico, ma fin qui poco male. Sono le disposizioni successive ad inquietare e indignare. Le compagnie aeree, infatti, devono comunicare alle autorità statunitensi nomi e cognomi dei viaggiatori, numero delle carte di credito utilizzate per il pagamento dei biglietti, menù ordinato a bordo ed altre eventuali particolarità di comportamento evidenziatesi durante il viaggio. I dati verranno custoditi ed utilizzati dagli organismi federali statunitensi senza nessun tipo di comunicazione a chicchessia. Le norme sono in vigore da diverso tempo, ma Bruxelles nicchia.

di Elena Ferrara

Dopo le borse griffate in casa, dopo i tanti ninnoli e i componenti elettronici, dopo le copie di oggetti tipici della produzione occidentale più raffinata eccoli i cinesi all’assalto del mercato mondiale delle auto. Hanno studiato a lungo i modelli delle grandi aziende, si sono dotati di catene di montaggio prima sovietich e poi occidentali, hanno mandato i loro agenti in giro a vedere, studiare, fotografare. Ed anche a copiare. Ed ora sono pronti all’attacco: si annuncia una valanga che potrebbe scatenarsi tra alcuni anni con auto tutte cinesi che dovrebbero costare all’incirca il 30 per cento in meno di quelle occidentali. Il modello che dovrebbe segnare l’ingresso ufficiale nei mercati mondiali è quello denominato “Happy Emissary”. Le prime auto di questa serie escono già da una fabbrica statale situata nella provincia cinese dello Yunnan nei pressi del Tibet (al confine con Vietnam, Laos e Birmania) che nel passato era stata utilizzata e ristrutturata dalla giapponse Daihatsu.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Arriva un’altra porzione dell’eredità di Putin: una cortina di aerei in difesa della Russia. L’idea viene dai falchi che cominciano a volare alto su una Russia che si appresta al cambio della presidenza. Con un Putin che - tallonato dal suo vice Sergei Borisovic Ivanov (classe 1953) e sempre più coinvolto nelle strategie dell’industria militare - firma il decreto e annuncia che i piloti sono stati per troppo tempo inattivi, “seduti nelle basi” sin dal 1992... E’ ora di muoversi, quindi, tanto più che l’America di Bush non sta a guardare creando la sua cortina di basi attorno alla Russia. E così Mosca risponde con una mossa a sorpresa. Nel teatro della politica nazionale scende in campo lo stato maggiore dell’aviazione militare che fornisce (questa volta senza tanti misteri) i nomi degli aerei e le basi delle loro dislocazioni. Eccoli nell’aria i Tu-160, Tu-95MC, Tu-22m, Tu-22M3. Sono tutti bombardieri strategici a lungo raggio capaci di effettuare missioni di sorveglianza con elevate caratteristiche di penetrazione, ma anche pronti per attacchi nucleari, convenzionali, antinavali. Ora pattugliano i cieli ventiquattro-ore-su-ventiquattro, appoggiati da aerei da supporto e rifornimento. Il loro obiettivo è quello di “controllare le zone ad intensa attività marittima ed economica della Russia”.


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