La vittoria risicata del primo ministro britannico, Boris Johnson, nel voto di sfiducia interno al Partito Conservatore nella serata di lunedì potrebbe rappresentare l’inizio della fine di un mandato che aveva conquistato trionfalmente nelle elezioni del dicembre 2019. I problemi politici ed economici con cui il governo deve fare i conti alimenteranno con ogni probabilità i sentimenti di rivolta tra i “Tories”, in attesa di coagularsi attorno a un candidato sufficientemente forte per dare la spallata definitiva all’ex sindaco di Londra.

Nei giorni precedenti la votazione di lunedì erano circolate voci contraddittorie circa l’emergere di una possibile fronda intenzionata a venire allo scoperto attaccando frontalmente Johnson. Quest’ultimo e i suoi sostenitori avevano a loro volta avvertito che una sfida per la leadership del partito avrebbe potuto innescare un’elezione generale anticipata, nella quale i conservatori “ribelli” sarebbero stati esclusi dalle liste da presentare agli elettori.

La sanguinosa guerra scatenata contro lo Yemen dall’Arabia Saudita e dai suoi alleati del Golfo Persico ha provocato da tempo la più grave crisi umanitaria del pianeta ed è segnata da ripetuti episodi che le Nazioni Unite e svariate organizzazioni internazionali indipendenti hanno indiscutibilmente classificato come crimini di guerra. L’inerzia e il sostanziale silenzio su questa realtà da parte degli auto-proclamati difensori della democrazia e dei diritti umani in Occidente contrastano drammaticamente con le denunce, del tutto fuori contesto, della brutalità russa in Ucraina.

A oltre tre mesi dall’inizio della guerra in Ucraina, appare con sempre maggiore evidenza la totale confusione mentale esistente in campo occidentale. Siamo spinti, nostro malgrado, a rimpiangere la lucidità di strateghi come Kissinger i quali, pur macchiandosi di crimini contro l’umanità in America Latina (basti ricordare l’Operazione Condor e il golpe in Cile) ed altrove, avevano ben altra capacità di percepire gli interessi effettivi e di operare scelte adeguate.

Nonostante i lodevoli tentativi del New York Times e di altri di ricondurre il dibattito alla realtà, i penosi leader dell’Occidente appaiono in preda a una sorta di hybris. Ne è prova inconfutabile il loro continuo inneggiare a una vittoria totale dell’Ucraina che è totalmente irraggiungibile.

Nei corridoi del potere a Bruxelles, un leader europeo ha definito “enorme” l’impatto dell’accordo UE sul (quasi) embargo delle importazioni di petrolio dalla Russia. In effetti, il provvedimento centrale del sesto pacchetto di sanzioni partorito dall’inizio delle operazioni militari di Mosca in Ucraina sembra essere apparentemente di un altro livello rispetto ai precedenti, ma, come questi ultimi, il peso delle conseguenze – siano esse “enormi” o anche un po’ meno gravose – non toccherà tanto al destinatario delle misure punitive (la Russia) ma in grandissima parte a coloro che le hanno imposte (l’Europa).

Da un lato c'è il “Vertice delle Americhe”, un incontro di routine e protocollare interpretato dagli Stati Uniti come fosse una festa accessibile solo agli amici e su invito: fallita ancor prima di cominciare. Pare anche abbia scatenato uno scontro inteno tra Casa Bianca, Dipartimento di Stato e Partito Democratico. Dall'altro lato, un vertice “Alba-TCP”: incontro politico dall’esito positivo che ha confermato la crescente cooperazione e integrazione del blocco democratico latinoamericano. Due eventi paradigmatici in sé, poiché esprimono due sistemi di valori, ideali e programmi opposti.

Ipotesi inconciliabili sulle relazioni possibili tra i diversi Paesi che abitano il continente. Tra le pretese del Nord e le rivendicazioni del Sud. Tra annessionismo e indipendenza. Inconciliabile è il concetto di sovranità nel rapporto con il gigante USA che, invece, segue la Dottrina Monroe. Una miscela di razzismo e di violenza, una veste sotto la quale si nasconde il saccheggio dei molti per la ricchezza di uno. Un anacronismo privo di senso, ragione e possibilità di accettazione.


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