di Giovanna Pavani

C’è stata una singolare coincidenza che ha accompagnato, appena poche ore fa, l’apertura della seconda crisi (stavolta, probabilmente, definitiva) del governo Prodi. In mattinata il Cardinale Bagnasco aveva offerto nuovi motivi per alimentare lo scontro tra laici e cattolici già fomentato dalla mancata visita di Ratzinger alla Sapienza di Roma. Con sospetto tempismo, il cardinale ha alzato ancora una volta il tiro contro la politica italiana e il suo governo: “L’italia è allo sfascio – ha esordito il presidente dei vescovi italiani - senza speranza, sfilacciato, a coriandoli secondo la definizione degli esperti, nel quale è diffusa una sfiducia diffusa e pericolosa. Un quadro impietoso dal quale emergeva un Paese confuso, dall'economia bloccata, privo di spinte verso il futuro”. Poche ore più tardi il cattolico Mastella staccava la spina al governo annunciando l’uscita dell’Udeur dalla maggioranza.''Basta. E' finita'', ha detto Mastella, aprendo la crisi di governo: un redde rationem anticipato solo di due giorni che ha di fatto vanificato il gran lavorio delle diplomazie, fin dal mattino all'opera per scongiurare il peggio.

di Fabrizio Casari

Rutelli e Binetti, Alemanno e Cesa, Franceschini e Cicchitto. I caporali di complemento dei partiti si sono apparecchiati il loro passaggio nei tg di pranzo e cena. Tutti nello stesso posto. Che non è l’emiciclo di Montecitorio, dove dovrebbero confrontarsi e scontrarsi idee e programmi - se solo ce ne fossero - ma Piazza San Pietro, dove di bipartisan c’è solo l’inginocchiamento. Sono corsi tutti lì, prostrati, non tanto ad ascoltare la “Verità” del pastore tedesco, quanto piuttosto a reiterare, con la loro presenza e le dichiarazioni di banalità, la loro vocazione a stare genuflessi. L’ennesimo scatto di reni per intercettare voti e favori della curia, l’ennesima dimostrazione di quanto l’idea della laicità della politica, dell’autonomia dei valori che dovrebbe far da sfondo a ruoli diversi ed obiettivi diversi, sia superata dalla naturale inclinazione alla servitù. La religione, infatti, ha smesso da tempo di essere un’intima convinzione, un rapporto con la propria coscienza che deve fermarsi davanti all’interesse pubblico che si è chiamati a rappresentare. Non c’è nessuna contraddizione tra invocare libertà per sé e ordinare precetti per gli altri, soprattutto se questo rende, politicamente e non solo. Non è nemmeno necessario agire in coerenza; si vive benissimo inchinandosi al Papa con la propria vita indifferente ai dettami di Santa Romana Chiesa. C’erano infatti più divorziati al Family day che a un congresso radicale, ma si sa: consensus no olet.

di Giovanna Pavani

E' in corso una discreta mobilitazione mediatica per non far finire nel dimenticatoio l'incidente dell'apertura dell'anno accademico alla Sapienza di Roma dove – è bene ribadirlo – il Papa non è andato perchè non voleva essere contestato dagli studenti e anche da qualche professore. Con maggiore astuzia e conoscenza dell'utilizzazione dei media e delle coscienze, Benedetto XVI (e con lui soprattutto il cardinal Ruini) ha capito che il declinare l'invito del Rettore Guarini alla Sapienza lo avrebbe trasformato in un martire dell'intolleranza laicista, consentendogli di alzare ulteriormente l'asticella dello scontro contro la laicità dello Stato e le sue leggi. Il disegno è stato subito chiaro non appena il medesimo cardinal Ruini, manovratore di piazze al pari di un politico populista, ha immediatamente chiamato a raccolta le legioni dei cattolici integralisti ( e non solo) invitandoli a rendere omaggio al pontefice “oltraggiato” domenica prossima all'Angelus. L'intento è chiaro, fin troppo: portare un nuovo, pesante attacco al “contropotere” laico per riaffermare con grande forza che d'ora in poi, e sempre di più, la politica di questo Paese dovrà fare i conti con un nuovo, temibilissimo partito politico, di stampo reazionario, che strizza l'occhio alle frange più dure della destra e tende la mano ai fautori dell'integralismo a cui le aperture del Concilio Vaticano II non sono mai andate a genio.

di Fabrizio Casari

Quanto ci vuole per trasformare un Parlamento in una riffa? Tre, massimo quattro ore, al netto del pranzo. In 180 minuti, infatti, la Consulta ha dichiarato ammissibili i quesiti referendari proposti da Segni e Guzzetta, relativi al sistema di voto per Camera e Senato. Quesiti che verranno ora sottoposti al voto popolare. Semmai, pur dovendosi svolgersi in un arco temporale che va dal 15 Aprile al 15 Giugno, si tratterà di vedere se effettivamente il referendum si celebrerà. Perché la vicenda politica assume ora un significato diverso. La Decisione della Corte Costituzionale, frettolosa ed evidentemente già presa in precedenza rispetto alla riunione che ne ha sancito la legittimità, se apparentemente si limita a sancire la legittimità dei quesiti (elemento che era chiamata a determinare) non coglie – o non vuole cogliere – l’impatto sulle conseguenze che l’eventuale vittoria del referendum comporterebbe proprio in termini di costituzionalità. Perché i quesiti approvati non si propongono solo di abolire la legge elettorale vigente, ma prefigurano – attraverso un insieme aberrante di norme - una vera e propria nuova legge elettorale, contravvenendo così de facto al principio per il quale i referendum possono avere solo carattere abrogativo o consultivo, ma non possono – direttamente o surrettiziamente – produrre un sistema di norme che prefigura una legge, compito che solo il Parlamento può esercitare.

di Rosa Ana De Santis

Una visita protocollare, quasi di cortesia. Un modo come un altro, per quanto rituale, di ribadire una sorta di concertazione, una esibizione di sorrisi e deferenze scopo flash a ricordare un sostanziale co-governo della capitale tra il Sindaco di Roma e il Vescovo di Roma. Questo doveva essere l’incontro della settimana tra Papa Ratzinger e Veltroni. Ma così non è stato, giacché il pastore tedesco, ultimo esponente vivente dell’ultima monarchia assoluta imperante, ha deciso di tendere un’imboscata al Sindaco. Lo ha fatto a freddo, rimproverando all’amministrazione capitolina il degrado ed i problemi di Roma, facendo intendere come la Chiesa sia pronta a schierarsi all’opposizione nelle vesti di suggeritore morale del centrodestra. Eppure, solo pochi giorni prima, il 17 dicembre scorso, Veltroni aveva dimostrato cortese sollecitudine verso i voleri papalini, impedendo che passasse al Consiglio comunale di Roma una mozione per il riconoscimento dell’anagrafe per le unioni civili. Sfidando quindi la tenuta della sua maggioranza ed il buonsenso, oltre che la concezione laica dello Stato e della società. E dunque? Perché il Papa, nonostante tanta genuflessione ha deciso comunque l’affondo verso l’amministrazione capitolina?


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