di Dante Brioni

Il quadro della riorganizzazione dell'eversione nera nel nostro Paese appare piuttosto inquietante, dopo il recente blitz nel nord Italia partito dalla procura di Varese. L'indagine è nata circa un anno fa, negli uffici varesini, quando sulle scrivanie degli inquirenti era arrivato il programma del "Partito nazional socialista dei lavoratori". Non tutto è ancora chiaro, tant'è vero che lo stesso capo della procura di Varese, Maurizio Grigo, non esita a dichiarare: "Abbiamo fatto le perquisizioni per capire meglio, il materiale trovato è cospicuo e interessante". Il blitz ha portato la polizia di Stato nelle abitazioni di 47 tra aderenti e simpatizzanti del Pnsl in diverse città del nord e del centro. Secondo l'accusa, gli aderenti alla formazione neonazista avrebbero anche raccolto fondi in solidarietà con persone in carcere perché legate allo stragismo e all'eversione nera, come Pierluigi Concutelli. Alle perquisizioni hanno partecipato oltre 150 agenti. L'accusa principale è la violazione dell'articolo 3 della legge 75, con un programma contenente discriminazioni di razza e di religione.

di Alessandro Iacuelli

In Italia a volte c'è da meravigliarsi non solo per le cose che succedono, ma anche per le reazioni che le cose suscitano. Così, può apparire strano che l'ultima mossa di marketing di Luca Cordero di Montezemolo abbia ottenuto tanti consensi sia dal mondo politico che dalla società civile. Al "fuori da Confindustria gli imprenditori che pagano il pizzo" il plauso è stato quasi unanime: dopo decenni nei quali politica e imprenditoria si sono battuti per convincere il mondo che la mafia non esiste, finalmente Confindustria prende una posizione netta. Ma è davvero una posizione così netta? Leggendo tra le righe, non sembra. A ricordarlo è praticamente l'unica voce di dissenso che si leva dall'interno del mondo imprenditoriale, quella di Filippo Callipo, presidente della Confindustria calabrese fino all'anno scorso, quando decise di lasciare l'incarico perché si era ritrovato da solo a denunciare il racket in Calabria. "Se continuo a denunciare quello che gli altri non vogliono mai denunciare - dichiarò al momento dell'addio - finirà che mi prenderanno per pazzo". Partiamo da un assunto molto semplice: un imprenditore taglieggiato, che fino ad oggi non si è mai opposto all'estorsione, magari per paura, ammetterà mai di pagare il pizzo? E chi di costoro deciderà che, pur di rimanere in Confindustria, è il caso di non pagare più e di guadagnarsi magari una bomba per sé ed una per la propria azienda?

di Fabrizio Casari

Le diverse generazioni che dagli anni sessanta ad oggi si sono susseguite nel calpestare le non sempre rette vie del nostro Paese, hanno ritenuto, con maggiore o con minore convinzione, che la criminalità italiana avesse due sostanziali caratteristiche: una di essere “sistema”, l’altra di produrre ingovernabilità sociale e politica proporzionale alle ricchezze che generava. C’era semmai un dubbio, relativo alla commistione tra associazioni criminali e alcuni partiti politici; il dubbio era se fossero le prime ad aver infiltrato i secondi o viceversa. Alla fine, il dubbio si dimostrava ozioso, risultando chiaro che in quel tipo di società alcuni partiti e le cosche divenivano azionisti di maggioranza o di minoranza in corrispondenza di fasi diverse, ma sostanzialmente erano (sono?) elementi distinti di un progetto comune. Adesso però, finalmente, ci rendiamo conto di quanto quelle ipotesi delle diverse generazioni fossero sbagliate, perché sbagliati erano i presupposti (ideologici, certamente) che le determinavano. Sappiamo oggi, infatti, grazie ad un’opera di chiarificazione storica e sociale di alto profilo, che l’illegalità italiana non è fatta di Mafia, Camorra, ‘Ndrangheta, Sacra Corona, Mafia del Brenta o bande di tante magliane; di logge massoniche, colletti bianchi e di narcomafie, di racket delle estorsioni o di trafficanti di droghe e armi. Oggi ci è tutto più chiaro: la criminalità italiana è fatta di lavavetri, writers e disperati clandestini.

di Alessandro Iacuelli

Le parole, pronunciate a margine del Meeting dell'amicizia di Rimini, sono dell'amministratore delegato dell'Enel, Fulvio Conti: "Prevedo che tra settembre e ottobre sarà necessario aprire un tavolo con i colleghi di Edf e vedremo se in questa occasione riusciremo a rendere concreto l'accordo siglato due anni fa su una nostra partecipazione al nucleare". Quindi, l'Enel prevede di avviare tra settembre ed ottobre un tavolo con Electricité de France per giungere ad una soluzione del programma di collaborazione. Con il gruppo francese Enel aveva raggiunto un accordo per la partecipazione alla produzione nucleare Epr un paio d'anni fa, accordo poi mai concretizzatosi. Ora che il capitolo delle acquisizioni in Spagna ed in Europa dell'est è chiuso, in un periodo caratterizzato da nessun timore per l'andamento dei mercati, l'Enel a quanto pare sente l'esigenza di diversificare il proprio impegno energetico, aprendo ancora una volta al nucleare. Con il completamento a ottobre dell'Opa su Endesa "possiamo dire completata la nostra fase di espansione", spiega Conti, "anche se non escludiamo altre piccole iniziative funzionali alle nostre strategie", ad esempio l'acquisizione di alcuni degli asset che la Società del Canale di Suez "deve vendere in Belgio, come gli impone l'Antitrust".

di Fabrizio Casari

La nascita del Partito democratico è stato ed è un fattore di destabilizzazione del quadro politico. D’altro canto, la debolezza intrinseca di una maggioranza che si regge su uno o due voti al Senato, non offre molto spazio all’iniziativa politica ed anche le fibrillazioni nello schieramento di sinistra dell’Unione non aiutano. Ma questo quadro di difficoltà – oggettive e in alcuni casi circostanziali - poggia fondamentalmente sulla mancanza d’identità politica del Governo, ormai avviato – salvo scatti di reni - verso l’imbrunire. Succede però che anche chi dovrebbe muovere verso una sua ripresa, dimostri di avere poche idee e per giunta confuse. Desta particolare scoramento, infatti, vedere che le proposte per armonizzare il gettito fiscale mostrino una volta di più l’esistenza di due distinte maggioranze. Con quella radicale che, giustamente, non è disposta ad ingoiare altri rospi e quella che si definisce moderata, che mentre risulta dotata di una vena ideologica che poco o niente produce sotto l’effetto del risultato concreto, chiarisce l’assoluta incompatibilità con un progetto riformatore. Il cosiddetto “centro moderato”, infatti, continua nella sua partita di assestamento in funzione di ogni tipo possibile di scenario politico e che, per bocca di insospettabili quanto inediti “coraggiosi” e ministri improvvisatisi improbabili marinai, invia segnali di guerra al programma che hanno firmato ed alla coalizione di cui fanno parte.


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