di Sara Michelucci

Anche nel mondo dei killer c’è una gerarchia, una sorta di elitismo che fa essere alcuni dei veri professionisti del crimine. Killer Elite, il film dell’esordiente Gary McKendry, si circonda di un cast da urlo (Robert De Niro, Jason Statham, Clive Owen e Dominic Purcell) per raccontare la storia di Danny Brice (Jason Statham), uno dei più bravi assassini su commissione che, insieme al suo mentore Hunter (Robert De Niro) e a un gruppetto di affidabili colleghi, decide di ritirarsi in un luogo tranquillo, ricercando la cosa più difficile e che nessuna arma può conquistare: la serenità di una vita normale.

Danny scopre, però, che Hunter è prigioniero del sultano dell’Oman ed è costretto, suo malgrado, a correre in aiuto dell’amico. Decide, così, di seguire un piano, ma il compito è decisamente molto arduo, perché deve vendicare la morte dei figli del sultano, che furono uccisi per mano di alcuni ex membri dei Sas, i Servizi segreti britannici, durante la segreta guerra dell’Oman, alcuni anni prima.

Ma non è tutto. Danny scopre che i suoi bersagli sono protetti da una squadra clandestina di uomini spietati: i "Feather Men", capitanati da Spike (Clive Owen), ex Sas assetato di combattere una nuova guerra. Danny con la sua squadra e Spike con i suoi uomini sono missili la cui traiettoria è destinata a scontrarsi, ciascuno pronto a battersi per ciò che ritiene giusto. Killer Elite è la storia della loro guerra segreta, combattuta dalla Gran Bretagna all'Oman, da Parigi all'Australia.

Il film è tratto dal romanzo The Feather Men scritto da Sir Ranulph Fiennes nel 1991, ma ha lo stesso titolo di un grande film, girato nel 1975, da Sam Peckinpah. Il film tenta, attraverso colpi di scena e azione, di tenere il ritmo serrato del libro, ma il tempo a disposizione è sicuramente molto inferiore ed è costretto a scegliere e concentrare le azioni.

Siamo poi negli anni Ottanta, ma il film è girato nel 2011 e quindi l’utilizzo di una regia ‘nervosa’ e veloce fa perdere un po’ di credibilità alla pellicola. De Niro, però, riesce finalmente a ritrovare un po’ del suo splendore, perso in alcune recenti interpretazioni e nonostante il suo fisico non sia più quello di Taxi Driver o di Cape Fear - ma gli anni passano per tutti, anche per i grandi attori come lui - la sua interpretazione non lascia a desiderare e il suo solo sguardo basta per lasciarsi attirare dal personaggio. 

Killer Elite (Australia, USA 2011)
regia: Gary McKendry
sceneggiatura: Gary McKendry, Matt Sherring
attori: Jason Statham, Robert De Niro, Clive Owen, Yvonne Strahovski, Dominic Purcell, Adewale Akinnuoye-Agbaje, Grant Bowler
fotografia: Simon Duggan
montaggio: John Gilbert
musiche: Reinhold Heil, Johnny Klimek
produzione: Omnilab Media, Ambience Entertainment, Current Entertainment, International Traders, Mascot Pictures Limited, Palomar Pictures
distribuzione: Lucky Red (Key Films)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

È duro essere professori nelle degradate periferie statunitensi, dove i ragazzi, per la maggior parte afroamericani, vivono di espedienti, non hanno obiettivi e se ce li hanno vengono calpestati da genitori irresponsabili o troppo impegnati a sbarcare il lunario. The Detachment (Il Distacco), diretto da Tony Kaye, il regista di American History X, racconta la storia di un professore, il bravo Adrien Brody, che anche questa volta si distingue per la capacità di dare al personaggio una forza tale da renderlo di grande spessore, riuscendo a mostrare sentimenti ambivalenti che si alternano e creano una complessa personalità.

Nelle tre settimane che il giovane professore Henry Barthes passerà in un liceo in progressivo degrado culturale e sociale, con adolescenti violenti e senza speranza, predestinati al fallimento e all'emarginazione sociale, il professore metterà a dura prova se stesso e il suo doloroso passato, che ogni volta gli torna davanti con l’immagine di una madre suicida e un nonno in fin di vita che porta un terribile segreto dentro di sé. Quei ragazzi sono lo specchio di una realtà miope e fatiscente, in cui i punti di riferimento, a partire dall’educazione impartita dalla famiglia, mancano completamente.

Henry, però, è portato a prendersi cura degli altri. Lo fa con suo nonno, con cui è cresciuto, lo fa con la ragazza di strada che si prostituisce per pochi dollari e che il giovane professore riesce a salvare, l’unica a cui riuscirà a dare una nuova vita.

Non ci riuscirà, infatti, con l’alunna Meredith, dotata di una notevole sensibilità artistica, ma disperata per via delle umiliazioni subite dai compagni e da suo padre riguardo il suo fisico. Meredith riesce a far capire ad Henry, attraverso una fotografia che lo ritrae in una classe vuota e senza volto, il suo distacco dalla realtà e il suo essere in un “non luogo”, la classe appunto. Da qui la sua esistenza cambierà totalmente, e il suo vivere non sarà più in modo distaccato dalle cose e dalla persone.

Il ruolo dell’insegnante, in questo film, non si limita ad essere visto solo nel rapporto con i ragazzi e all’interno della classe, ma coinvolge l’intera vita di questo giovane professore, la sua esistenza, fatta di ricordi e di incontri, e attraverso di lui si consegna allo spettatore lo spaccato di una società in bilico e che rischia l’autodistruzione.

Bello l’incipit, con la citazione di Albert Camus: “And never have I felt so deeply at one and the same time so detached from myself and so present in the world” (Non mi sono mai sentito allo stesso tempo così distaccato da me stesso e così presente nella realtá).

The Detachment - Il distacco (Usa 2012)

regia: Tony Kaye
sceneggiatura: Carl Lund
attori: Adrien Brody, Lucy Liu, Bryan Cranston, Christina Hendricks, James Caan, Renée Felice Smith, Blythe Danner, Marcia Gay Harden, Tim Blake Nelson, Sami Gayle, Doug E. Doug, Isiah Whitlock Jr.
montaggio: Michelle Botticelli, Barry Alexander Brown, Geoffrey Richman
produzione: Paper Street Films, Appian Way, Kingsgate Films
distribuzione: Officine UBU

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Bionda, bellissima, ma con una grande fragilità interiore. L'icona del cinema, Marilyn Monroe che ha fatto tanto parlare di sé, torna sugli schermi cinematografici interpretata dalla brava Michelle Williams, in Marilyn, diretto da Simon Curtis. Il film si basa sui diari di Colin Clark, The Prince, The Showgirl and Me e My Week with Marilyn, scritti nel 1957 quando era un giovanissimo aiuto regista per il film Il principe e la ballerina, interpretato da Marilyn Monroe e Laurence Olivier.

Il film racconta la settimana che la bella Monroe trascorse in Gran Bretagna per le riprese del film e dei momenti passati in compagnia del giovane aspirante regista, dopo che suo marito, Arthur Miller, lasciò il paese per tornare negli Stati Uniti. Una rottura che crea in Marilyn profondo tormento, ma che la farà avvicinare a questo giovane promettente che fa di tutto per lavorare nel cinema, anche rinunciando ai soldi della sua ricca famiglia.

Nel film emerge tutta l'instabilità e la sofferenza di una donna probabilmente poco capita e considerata solo per il personaggio che aveva creato: la vamp sexy che faceva cadere ai suoi piedi tutti gli uomini che la incontravano.

Colin Clark, invece, è diverso. È gentile con lei, la ascolta e la capisce e questo la aiuta a terminare il film con Olivier, che le mette addosso molta ansia. La sceneggiatura è stata adattata e scritta da Adrian Hodges e il lavoro segna il debutto cinematografico del regista Simon Curtis, al suo primo lungometraggio.

La prima parte del film mostra quello che c'era dietro il cinema inglese del periodo, con le beghe sindacali, la difficoltà di lavorare nel settore e i circoli viziosi che si creavano all'interno per riuscire a sfondare. Ma quando arriva Marilyn si crea un effetto destabilizzante sia per la sua bellezza, sia per le abitudini lavorative differenti rispetto a quelle rigidissime di Olivier.

Proprio questo creerà tensione tra i due, ma sarà anche un modo per guardare al cambiamento e per guardarsi dentro. Molto azzeccata anche l'interpretazione di Kenneth Branagh, che nei panni di Olivier mette in evidenza un'autoironia degna di nota che lo porterà ad evidenziare la sua natura bipolare, divisa tra cinema e teatro e tra vecchio e nuovo. In Italia il film è stato presentato fuori concorso al Festival Internazionale del Film di Roma 2011.

Marilyn (Gran Bretagna 2011)

Regia: Simon Curtis
Attori: Michelle Williams, Kenneth Branagh, Julia Ormond, Eddie Redmayne, Dougray Scott, Judi Dench, Pip Torrens, Emma Watson, Geraldine Somerville, Michael Kitchen, Miranda Raison, Toby Jones, Philip Jackson, Robert Portal, Jim Carter, Victor McGuire
Fotografia: Ben Smithard
Mintaggio: Adam Recht
Musiche: Conrad Pope
Produzione: BBC Films, Lipsync Productions, Trademark Films, UK Film Council, The Weinstein Company
Distribuzione: Lucky Red

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Sette registi hanno scattato un’istantanea dell’Avana di oggi: un ritratto contemporaneo di una città attraverso una eclettica pellicola composta da sette capitoli prodotti da Benicio del Toro, Pablo Trapero, Julio Medem, Elia Suleiman, Gaspar Noe, Juan Carlos Tabío e Laurent Cantet. Sette Giorni in Havana racconta una città densa di fascino e di contraddizioni, attraverso le diverse sensibilità, origini e stili cinematografici dei sette che firmano la pellicola, dando una vitalità diversificata a una città che è unica nel suo stile.

Alcuni registi hanno avuto il desiderio di attraversare la realtà cubana in sintonia con la sua quotidianità e attraverso gli occhi di estranei. Altri hanno scelto l’immersione totale e sono stati ispirati dalla vita della popolazione locale.

Ogni capitolo racconta un giorno della settimana, attraverso la vita di tutti i giorni e mettendo in risalto una caratteristica diversa. Lontano dai luoghi comuni, questo film ha lo scopo di scovare l’anima di questa città, attraversando gli eclettici quartieri, le atmosfere più intense, le generazioni e le culture.

Sette storie con diverse trame, anche se i registi hanno deciso di inserire il loro racconto all’interno di una cornice parzialmente collegata alle altre storie, per creare insieme un'impressione di unità drammatica.

Alcuni luoghi delle riprese, come l’Hotel Nacional o il Malecon, appaiono più volte nel corso dei capitoli. Alcuni personaggi principali e secondari fanno da sponda da un film all’altro, collegando così le storie, in modo da mostrare L'Avana attraverso l’intersecarsi di tessuti sociali diversi.

Già in Buena Vista Social Club Wim Wenders raccontava uno spaccato de L'Avana, ma lo faceva attraverso lo strumento del documentario e gli occhi del musicista Ry Cooder. Nel documentario venivano presentati i talenti della musica, sconosciuti al grande pubblico. Lì, come in quest'ultima pellicola su Cuba, è L'Avana la vera protagonista.

Una città dove si mescolano povertà, colori, vecchie Cadillac rimaste lì dai tempi di Batista, cultura, musica e bambini che rincorrono i turisti. Il film sceglie la suddivisione in capitoli proprio per dare il senso della diversità e della mescolanza, dando allo stesso tempo 'movimento' al racconto.

La sceneggiatura è stata scritta dallo scrittore cubano Leonardo Padura Fuentes e il film è stato presentato nella sezione Un Certain Regard al Festival di Cannes 2012.

7 Days in Havana (Spagna, Francia 2012)

Regia: Benicio Del Toro, Laurent Cantet, Julio Medem, Elia Suleiman, Pablo Trapero, Gaspar Noé, Juan Carlos Tabío
Sceneggiatura: Leonardo Padura
Attori: Emir Kusturica, Josh Hutcherson, Daniel Brühl, Elia Suleiman, Melissa Rivera, Jorge Perugorría, Vladimir Cruz, Mirta Ibarra, Luis Alberto Garcia, Daisy Granados
Fotografia: Daniel Aranyò, Diego Dussuel
Montaggio: Thomas Fernandez, Véronique Lange, Alex Rodríguez, Zack Stoff, Rich Fox
Produzione: Full House, Morena Films
Distribuzione: BIM

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

di Sara Michelucci

Non è facile la vita per Simon, un dodicenne che vive in Svizzera, nelle case popolari soprannominate “Le Torri”, ai piedi delle Alpi, con sua sorella Louise. Per mantenersi, Simon è costretto a rubare attrezzi da sci ai ricchi turisti che si trovano in vacanza lì, e dopo averli rimessi a nuovo con metodi casalinghi, li vende a un ricettatore che lavora nella cucina dell'Hotel più famoso del posto. Non ruba per comprarsi videogiochi o dvd, ma per pura necessità, per acquistare pane, pasta e carta igienica.

Ma un segreto si cela dietro il rapporto tra Simon e sua sorella. Dopo aver incontrato l’ennesimo fidanzato della sorella, che ha passato la notte da loro, Simon se ne esce con un: “Non è mia sorella, è mia madre”. È la verità, ma Louise lo odia per ciò che ha rivelato quel peso che la giovane madre si porta con sé. Un figlio non voluto, mai desiderato, ma di cui è stata costretta a occuparsi, anche se non come una vera mamma. Non ha remore nell’abbandonarlo durante le feste natalizie per andare a divertirsi con un uomo, né a farsi prestare i soldi guadagnati rubando, per comprarsi un paio di jeans.

Sister (L'enfant d'en haut) è il nuovo film diretto da Ursula Meier e vede come protagonisti Kacey Mottet Klein e Léa Seydoux. Il film ha gareggiato al Festival di Berlino del 2012, dove ha ottenuto una menzione speciale per l’Orso d’argento.

È il confine, territoriale, dei sentimenti e dei rapporti a segnare tutto il film. In bilico continuo tra ciò che è giusto e ciò che non lo è, la regista mette lo spettatore di fronte a un malessere e a una difficoltà nel vivere che non fa patteggiare per uno dei due protagonisti, ma per entrambi. Non si può giudicare una madre-bambina abbandonata a se stessa da un uomo troppo egoista o da un tessuto familiare che non l’ha riconosciuta come degna di appartenervi. Come non si riesce a condannare un bambino che ruba ai ricchi per poter sopravvivere.

La sceneggiatura asciutta, l'assenza di qualsiasi elemento ironico o sopra le righe, offrono uno spaccato di vita vera quasi neorealistica, nonostante manchi quel qualcosa in più che stacchi il racconto da un eccesso di cronaca naturalistica. Certamente l'occhio della regista è buttato verso il bel film dei fratelli Dardenne, Il ragazzo con la bicicletta, che vede anch'esso un giovane protagonista dover fare i conti con il mancato affetto genitoriale. Ma in questo caso la storia riesce ad avere un'evoluzione importante e i personaggi “crescono” e cambiano attraverso le esperienze vissute e i dolori affrontati.

Sister (Svizzera Francia 2012)

regia Ursula Meier
sceneggiatura: Antoine Jaccoud, Ursula Meier
attori: Léa Seydoux, Kacey Mottet Klein, Martin Compston, Gillian Anderson, Jean-François Stévenin, Yann Trégouët, Gabin Lefebvre, Dilon Ademi, Magne-Håvard Brekke
fotografia: Agnès Godard
montaggio: Nelly Quettier
musiche: John Parish
produzione: Archipel 35, Vega Film in coproduzione con RTS Radio Télévision Suisse, Bande à part Films
distribuzione: Teodora Film e spazioCinema

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 


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