di Carlo Benedetti

I titoli del telegiornale di Mosca sono questi: Vladimir Putin gela i Paesi consumatori di gas annunciando che “sta finendo l'era delle risorse energetiche a buon mercato, nonostante la crisi”; Gazprom conferma l’intenzione di esercitare l'opzione, prevista dagli accordi con l’Eni, per rilevare la quota del 20% di “Gazprom Neft” attualmente detenuta dal gruppo italiano; l’Ucraina deve fare molta attenzione perché è attraversata dall’80% del gas russo diretto verso l’Europa e quindi verso l’Italia; la Russia rivendica il pagamento del debito accumulato dagli ucraini (3 miliardi di dollari a fine 2008) e Kiev non sembra avere i soldi per pagarli; a Mosca i ministri dell'energia di 14 paesi esportatori di gas hanno dato vita ad una nuova organizzazione che ha già annunciato di assumersi la piena responsabilità per la stabilità globale e la sicurezza energetica; siamo alla vigilia di una nuova Bretton Woods come nel luglio del 1944 quando 44 Paesi si accordarono sulle regole che avrebbero riorganizzato il commercio internazionale?

di mazzetta

Lansana Conté, dittatore della Guineau è morto e poche ore dopo il suo trapasso le strade della capitale Conakry si sono riempite di blindati. Giunto al potere con un golpe, Conté ha incarnato a lungo il prototipo del dittatore africano fantoccio delle potenze straniere, nel caso di specie Francia e Stati Uniti, che mai hanno contestato la sua permanenza al potere, nonostante più di vent'anni di violenze e di elezioni-farsa. Fatte le debite proporzioni è come se in Italia fosse morto Mussolini e desta sensazione la pioggia di necrologi con i quali numerose corporation di paesi democratici e occidentali si sono “unite al dolore e alla commozione dei guineani” che invece non vedevano l'ora di liberarsi del dittatore. Per la Guinea, che l'hanno scorso si era ribellata al dittatore e chi si era acquietata solo quando questo aveva fatto sparare sulla folla facendo decine di morti, si apre un periodo d'incertezza.

di Eugenio Roscini Vitali

Un delitto eccellete che trasforma il misterioso omicidio del Generale Faisal Alavi, cognato del celebre scrittore britannico Vidiadhar Surajprasad Naipaul, premio Nobel per la Letteratura nel 2001, in un terremoto politico; un caso che rischia di smascherare il doppio gioco di uno Stato che probabilmente inizia a soffrite della sindrome di Stoccolma. Ex comandante delle forze speciali pachistane, Faisal Alavi, viene ucciso il 19 novembre ad Islamabad; a portare a termine l’attacco è un commando formato da due killer che, armati di pistole 9 mm simili a quelle in dotazione all' esercito, bloccano la sua auto e lo trucidano insieme al suo autista. Un’operazione perfetta, veloce, pulita, lontana dagli attentati a cui ci hanno abituato i terroristi e che ci ricorda piuttosto gli omicidi libanesi, un regolamento di conti che mira ad eliminare un personaggio scomodo. Gli investigatori però indicano immediatamente la pista del terrorismo internazionale che dopo qualche giorno viene smentita dalle rivelazioni di Carey Schofield , una giornalista del Sunday Times che pubblica una lettera datata 21 luglio 2008 che il Generale aveva inviato al capo delle Forze Armate, Sajid Kyani.

di mazzetta

Dopo aver speso un miliardo di dollari in aiuti all'Etiopia, gli Stati Uniti sembrano rassegnati a lasciare la Somalia alla forma di autogoverno che riuscirà a darsi. La dittatura etiope ha bisogno di denaro, ma anche di uomini, per tenere sotto controllo la situazione interna e quella alla frontiera con L'Eritrea e oggi, diversamente da quanto accaduto negli ultimi due anni quando ha minacciato il ritiro per sollecitare aiuti economici americani, ha già ridotto drasticamente la forza d'occupazione inviata in Somalia a poco più di duemila uomini. L'ONU ha sollecitato una missione internazionale per sostituire gli etiopi, ma non si fa avanti nessuno, nemmeno dall'Africa. Il governo somalo imposto dall'Occidente ha ormai perso quel poco di controllo del paese che aveva guadagnato con la forza etiope alle spalle ed è lacerato dalle divisioni.

di Luca Mazzucato

Questa volta non sono i russi a linciare gli ebrei come accadeva un secolo fa: ora sono i coloni israeliani a voler linciare i palestinesi a Hebron. La scena è una casa in fiamme abitata da venti palestinesi, tutti donne e bambini eccetto tre uomini. Attorno alla casa, decine di coloni ebrei col volto mascherato, dopo aver appiccato il fuoco alla proprietà, lanciano pietre nelle finestre rotte per stanare i palestinesi. Le urla terrorizzate dei bambini sovrastano il frastuono dell'incendio: gridano aiuto, ma nessun vicino corre in soccorso. L'edificio infatti è isolato dal resto del quartiere da centinaia di coloni e guardie armate, accorsi dal vicino insediamento illegale di Kyriat Arba per godersi lo spettacolo. I vigilantes con i mitra spianati si occupano di tenere a distanza le ambulanze e i vigili del fuoco palestinesi. Esercito e polizia israeliani non sembrano interessati agli eventi.


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