di Fabrizio Casari

Cinquant’anni fa, mentre il mondo era intento a celebrare l’arrivo del nuovo anno, a Cuba fu anno nuovo per sempre. Barbudos si chiamavano, terroristi venivano definiti dal regime sanguinario che mordeva il cuore dell’isola; guerriglieri erano, liberatori furono. Quella casa da gioco a cielo aperto, postribolo di mafiosi e vergogna di un popolo, spirava i suoi ultimi respiri mentre il crepitare dei fucili annunciava il nuovo ordine che rimetteva gli uomini al comando delle cose. Il dio denaro soccombeva alla rivolta degli dei, gli esclusi diventavano protagonisti, i fucili si giravano e i sadici fuggivano mentre i giusti prendevano casa. Persino le bandiere ondeggiavano in senso opposto, il vento della dignità spirava dalla Sierra Maestra e soffiava forte verso Miami, restituendo l’immondizia al suo luogo d’origine. I grattacieli delle banche diventavano ospedali, le strade si trasformavano in residenze permanenti del popolo, le fabbriche si tingevano di lavoro degno e le ruote delle auto macinavano futuro. Fidel Castro, con Ernesto "Che” Guevara de la Serna e Camilo Cienfuegos, guidavano le colonne liberatrici che entravano nella capitale, di colpo divenuta una città cubana.

di Mariavittoria Orsolato

Come ogni anno, immancabile come il panettone o i botti napoletani, arriva l'eminentissima classifica di Newsweek sulla "Global Elite" (le maiuscole sono d'obbligo). Il prestigioso settimanale statunitense stila ogni dicembre una lista delle 50 personalità più influenti a livello globale, uomini e (poche) donne che nel corso dell'anno si sono distinti non tanto per particolari meriti filantropici, ma piuttosto per il peso specifico che hanno acquisito nel circo Barnum mediatico, politico e finanziario globale. La posizione raggiunta nel countdown non è indicativa del prestigio politico, scientifico, bellico o religioso, ma mira semplicemente a rispecchiare la peculiare capacità di questi individui di marcare indelebilmente il tempo in cui viviamo, di lasciare la cosiddetta “impronta”.

di Eugenio Roscini Vitali

Bloccare i razzi Qassam per far cadere il regime di Hamas e costringere il movimento islamico a lasciare la Striscia di Gaza nelle mani di Fatah e del presidente Abu Mazen: questi gli obiettivi di Israele che, dopo tre giorni di bombardamenti, dichiara l'area intorno a Gaza zona militare chiusa e parla ormai di “prima fase di una guerra totale ad Hamas ed ai suoi simili”. Che il fine ultimo dell’operazione “piombo fuso” sia quello di smantellare la struttura politico militare che attualmente governa la Striscia, lo conferma lo stesso vice-premier israeliano, Haim Ramon, che da Gerusalemme parla apertamente di immediata cessazione delle attività militari a patto che qualcuno prenda il posto di Hamas nella Striscia. In caso contrario, e qui a parlare è il vice Capo di stato maggiore delle Forze di Difesa, Dan Harel, il peggio potrebbe non essere ancora arrivato. A settantadue ore dall’inizio dell’attacco il bilancio, peraltro provvisorio, è di 325 morti e 1600 feriti; in base ai dati raccolti negli ospedali dal personale della United Nations Relief and Works Agency, tra le vittime ci sarebbero almeno 57 civili.

di Luca Mazzucato

A un anno e mezzo dalla presa del potere da parte di Hamas a Gaza, il governo israeliano ha infine deciso di esportare la democrazia nella Striscia. Seguendo il modello dell'Operazione Mesopotamia, l'Israeli Air Force sta bombardando massicciamente la minuscola porzione di terra, per livellare ogni struttura appartenente ad Hamas per poi procedere con la fanteria pesante. Il presidente dell'ANP Abu Mazen, il cui mandato in scadenza verrà provvidenzialmente prorogato, ha dichiarato con Mubarak che Hamas è il vero responsabile dei bombardamenti. Il trio israeliano Olmert-Livni-Barak ha aspettato lo scadere della tregua di sei mesi negoziata con Hamas, per dichiarare che non si può trattare con i terroristi di Hamas e scatenare l'offensiva elettorale, Secondo i sondaggi, l'attacco sta dando ottimi risultati in vista delle elezioni anticipate di Febbraio.

di Carlo Benedetti

I “nuovi russi”, ricchi oligarchi, scoprono ora che il denaro non è tutto. E così vanno a caccia di titoli nobiliari per annullare la parentesi “sovietica” e ricollegare la famiglia a presunte glorie antiche. Vere o false non conta. Importante è che nel bigliettino da visita si possano aggiungere una coroncina, un aquilotto… Testimonianze (postume) di una magica Russia sullo sfondo sociale di un vivere sperperato, ma nobile. E così prende il via la caccia al casato, al sangue blu, alla bella epoque. Si rispolverano nomi doc e sono in molti che si sentiranno gratificati quando qualcuno li chiamerà “Conte”, “Knias”, “Baron”. Il mito è quello tolstoiano del Conte Rostov o della Principessa Drubetskaja. Un rivivere, oggi, i fasti di “Guerra e pace” o quelli del “Nido dei nobili” di Turgeniev…


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