di Carlo Benedetti

MOSCA. Da oggi quando parleremo di Russia, di Medvedev e di Putin, saremo tutti costretti a fare riferimento anche ad un altro “leader”. Il quale, segnando in negativo la vita e le vicende del Caucaso, crea, nello stesso tempo, non pochi problemi alla Georgia e ai protettori americani. Il personaggio è il presidente attuale della repubblica georgiana: Michail Nikolaevic Saakasvili. Il suo nome tornerà a risuonare ancora per molto in vista che si riunisca un Tribunale internazionale che giudichi le sue azioni criminali che hanno provocato il genocidio del popolo ossetino e le distruzioni dell’Ossezia del Sud. Ma mettiamo da parte le giuste emozioni del momento e cerchiamo di ricostruire la carriera di questo duce del Caucaso. Michail nasce a Tbilisi il 21 dicembre 1967 nella famiglia di un medico. La madre si chiama Ghiuli Alasanija, professoressa di storia specializzata nella cultura medioevale della Georgia. Il padre, Nikolos, è un medico abbastanza noto in tutto il paese; il nonno è un funzionario del Kgb.

di Ilvio Pannullo

Il dibattito su quanto petrolio si possa ancora sfruttare sul nostro pianeta appare confuso: si va da chi sostiene che il picco massimo di estrazione (il c.d. “Peak Oil”) è stato già superato a coloro che sostengono che il problema non si porrà per molti anni a venire. In ogni caso, indipendentemente dalla tesi che si voglia sposare, esiste al mondo una netta sperequazione circa lo sfruttamento di quella che rappresenta, a tutti gli effetti, la linfa dell’economia internazionale. Gli Stati Uniti producono, infatti, solo il 4% del petrolio mondiale, mentre ne consumano circa il 26%. È dunque evidente il gap energetico strutturale dell’economia americana, che ha portato lo stesso Presidente Bush ad affermare che “l’America è malata di petrolio”. Nel corso degli ultimi 30 anni gli USA hanno infatti visto salire vertiginosamente la loro dipendenza dal petrolio estero. Infatti, mentre nel 1973 era solo del 28%, in questi anni sta superando il 60%, con stime per il 2025 che vedono l’economia americana dipendente per il 70% (!) dall’importazione del greggio straniero.

di Carlo Benedetti

MOSCA. Soffiano venti di guerra anche nelle gole abchase del Kodorskje (quelle che portano ancora i segni dell’antico regno della Colchide) perchè la dirigenza russa - Putin in testa - si dichiara sempre più pronta a sostenere le rivendicazioni separatiste dell’Abkhazia del presidente Sergej Bagapsh. E così anche questa fetta di territorio compreso nella Georgia (8.600 km² nell'estrema parte occidentale, sulla costa del Mar Nero, con 600mila abitanti) torna al centro del conflitto caucasico: cede alla logica delle circostanze e riapre il “contenzioso” con il potere del georgiano Saakasvili ormai bollato dal Cremlino come il responsabile del genocidio degli ossetini. Tutto era in qualche modo annunciato, ma ora si scopre che sta avvenendo secondo piani già ben prestabiliti, perchè il potere locale - quello che opera nella capitale Sukumi, città segnata da una presenza genovese nel XII secolo - alza il tiro contro Tbilissi dopo che, nel 1992, forte dell'appoggio di Mosca, aveva unilateralmente proclamato la propria indipendenza.

di Eugenio Roscini Vitali

La tensione crescente sull’arsenale atomico iraniano pare aver incontrato un momento di pausa. Forse le previsioni dei più scettici non corrispondono alla reale situazione geopolitica mediorientale, o forse è esagerato pensare che possa accadere, tanto alto sarebbe il prezzo che migliaia di civili pagherebbero, dall’una e dall’altra parte. Ma anche se quella militare non è la sola opzione scelta da Israele, è ormai certo che Tel Aviv sta assemblando una capacità di attacco tale da piegare definitivamente le ambizioni atomiche di Teheran. Questa volta però la soluzione armata non vede i favori degli Stati Uniti, che dal luglio scorso hanno cambiato praticamente il loro modo di affrontare il problema del nucleare iraniano ed hanno deciso, per la prima volta dal 1979, di aprire con la Repubblica Islamica relazioni dirette.

di Carlo Benedetti

MOSCA. La crisi che sconvolge la terra del Caucaso si sposta nel mare, dal momento che la flotta russa si aggira sullo specchio d’acqua dove si affaccia l’Abchasia. E le conseguenze possono essere immense ed anche disastrose perchè l’esercito di Kiev ha annunciato che controllerà che la flotta russa nel Mar Nero - basata nel porto ucraino di Sebastopoli - rispetti le nuove restrizioni imposte dal presidente di Kiev, Viktor Yushcenko. Questo vuol dire che le “porte” del mare potranno essere aperte solo se gli ucraini lo consentiranno. Ai russi che “utilizzano” le basi navali della costa non si presentano, al momento, alternative. Perchè se lasciano i porti dovranno dare assicurazione agli ucraini che le missioni non saranno di guerra. Spetterà a Kiev decidere. E così torna ad aprirsi un contenzioso (del resto mai sopito) tra l’Ucraina post-sovietica e il Cremlino.


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