di Marco Montemurro

Negli Stati Uniti il sogno delle macchine grandi e potenti è ormai in declino e sono in forte calo le richieste di fuoristrada e Suv, le classiche icone del mito americano e simbolo di opulenza. Adesso le piccole vetture, in passato considerate mediocri e incapaci di soddisfare i desideri dei consumatori, vengono apprezzate anche negli Stati Uniti dove incomincia a diventare oneroso il prezzo dei carburanti. Si prevedono grandi cambiamenti nel mercato automobilistico dal momento che la situazione è molto diversa rispetto a dieci anni fa. Prima la benzina nei distributori era disponibile a 1 dollaro al gallone, ma ora il prezzo è salito fino a 4 dollari e ciò comporta che, secondo uno studio del Cambridge Energy Research Associates, gli americani devono spendere in carburanti il 4% dei loro guadagni lordi, non più l’1,9% come nel 1998.

di Mario Braconi

A rompere il tabù nazionale era stato il primo ministro israeliano, il quale, in un’intervista rilasciata al quotidiano Haaretz a fine 2007, si era detto convinto che il possibile fallimento della “soluzione dei due stati” avrebbe potuto scatenare iniziative di lotta finalizzate al riconoscimento dell’uguaglianza di diritti di voto per palestinesi e israeliani sul tipo di quelle che in Sud Africa avevano messo in crisi il regime dell’apartheid: in quell’occasione Ehud Olmert ha riconosciuto che nemmeno gli americani riuscirebbero a mantenere il proprio appoggio ad Israele se esso si dimostrasse “incapace di garantire democrazia e parità di diritti a tutte le persone che vi risiedono”. Se Olmert si è spinto paragonare lo stato che rappresenta al Sud Africa dell’apartheid, cioè ad usare un argomento che in Israele è visto come il fumo negli occhi, lo ha fatto certamente per provocare lo choc necessario a coagulare consenso attorno al proseguimento dei negoziati israelo-palestinesi.

di Giuseppe Zaccagni

Come dire: eppur si muove. Perché il lungo e forte silenzio tra il Vaticano di papa Ratzinger e la Chiesa ortodossa di Alessio II viene di tanto in tanto rotto dal rumore di qualche intervento fuori programma. Questa volta la prima mossa spetta a Paolo Pezzi, arcivescovo cattolico che rappresenta a Mosca la Chiesa di Roma. Il personaggio si è conquistato in terra russa una certa notorietà. Nato nel 1960 in Emilia si è dedicato alla filosofia e alla teologia presso la Pontificia Università di Roma e si è laureato con una tesi - guarda caso - sui cattolici in Siberia. Deve poi a papa Ratzinger il posto di metropolita dell’Arcidiocesi della “Madre di Dio” a Mosca. Ed è qui che risiede dall’ottobre 2007 tentando di stringere i rapporti con gli ortodossi. Funzione, comunque, difficile tenendo conto che Pezzi viene da “Comunione e Liberazione”, movimento che ha ovviamente esportato anche in Russia. E’ questo uno dei lati deboli della sua missione di proselitismo. Per ora, comunque, tutto funziona regolarmente.

di Eugenio Roscini Vitali

Con l’accusa di genocidio e crimini contro l’umanità, il Tribunale penale internazionale (Tpi) dell’Aja ha incriminato il presidente della Repubblica del Sudan, Omar Hassan al-Beshir. L’impianto accusatorio sviluppato dal procuratore generale del tribunale delle Nazioni Unite, Luis Moreno-Ocampo, si riferisce ai fatti riguardanti la guerra civile che dal febbraio 2003 sconvolge la regione occidentale del Paese e alle atrocità commesse contro la popolazione autoctona del Darfur. Secondo il magistrato argentino il presidente del Sudan avrebbe orchestrato e guidato la sanguinosa campagna di violenze che in cinque anni ha causato più di trecentomila vittime e duemilioni di profughi. Moreno, che ha presentato nuove documentazioni, è certo che i vertici politico-militari di Khartoum avrebbero armato le milizie arabe janjaweed allo scopo di impedire e reprimere ogni possibile rivolta. Nei giorni scorsi il procuratore generale aveva già chiesto l’arresto del ministro degli Affari Umanitari sudanesi, Ahmed Harun, e del leader dei janjaweed, Ali Kosheib, accusati di esse coinvolti in 51 casi di crimini di guerra e crimini contro l’umanità.

di Elena Ferrara

Alle spalle ha già otto viaggi: ha visitato varie parti d'Europa (Colonia, la Polonia, Valencia, la Baviera, la Turchia e l'Austria) e dell'America (Brasile e Stati Uniti): ora affronta l’Oceania, il “nuovissimo continente” dove il Vaticano non gode buona salute pur se sul piano del proselitismo ha già fatto notevoli passi. La missione - iniziata il 12 luglio - si protrarrà sino al 21 luglio per un totale di 32.836 chilometri a bordo di un aereo “Alitalia B777-4000”. Per Papa Ratzinger saranno nove giorni di attività più che mai intensa. Un vero tour de force all’insegna della propaganda per cercare di portare il continente nell’area di influenza vaticana. L’occasione ufficiale del lungo raid, comunque, è quella della partecipazione alla XXIII Giornata mondiale della gioventù. Perché in terra australiana si stanno dando appuntamento le organizzazioni cattoliche di ogni parte del mondo. Una sorta di congresso mondiale per il quale il Vaticano e la Chiesa hanno investito miliardi portando sul posto intere flotte aeree dalle quali sbarcano giovani, suore, missionari ed organizzatori religiosi.


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