di Carlo Benedetti

Lotte, agitazioni, caos, contestazioni, scontri. E’ il quadro sociale e politico della Moldavia di queste ore dopo il contestato voto delle “parlamentari” che hanno segnato la vittoria di quanti vengono considerati come gli “eredi” del vecchio sistema comunista. Tutto ha preso avvio il 6 aprile scorso quando il Partito Comunista della Moldavia ha ottenuto una vittoria nelle elezioni legislative con circa il 50% dei voti. La formazione si è così assicurata la maggioranza assoluta con il 49,92% dei suffragi (nel 2005 aveva avuto il 46,1%) e, con i 61-62 seggi in Parlamento che ha conquistato, il partito dovrebbe avere la maggioranza dei tre quinti necessaria per l'elezione del nuovo Capo dello Stato. Il partito liberale ha ottenuto il 12,9%, il partito liberaldemocratico il 12,24% e Nostra Moldavia il 9,87%. Ma ora nel paese ci sono manifestanti che contestano il voto “comunista” e gridano di “essere romeni” e di voler entrare in Europa. Tutto nel nome di un bieco nazionalismo e di un forte spirito antidemocratico alimentato da Bucarest.

di Luca Mazzucato

NEW YORK.Quando si parla di nucleare ed Iran, la confusione regna sovrana: le opinioni di politici e scienziati sono diametralmente opposte. Secondo Netanyahu, l'Iran è a un passo dall'ottenere la bomba e va fermato a tutti i costi, incluso un attacco. Secondo l'intelligence americana, l'Iran ha fermato il suo programma militare nel 2003, concentrandosi sulla costruzione di una centrale ad uso civile. Pochi giorni fa, in diretta sulla CNN, il capo delle forze armate americane Mike Mullen, ha dichiarato che, ebbene sì, l'Iran possiede abbastanza uranio arricchito per produrre una bomba. Per districarsi in questa confusione, abbiamo controllato le fonti, ovvero le stime basate sul rapporto degli ispettori dell'ONU. Che per il momento smentiscono la capacità di produrre bombe dell'Iran. E forniscono una via d'uscita.

di Michele Paris

Mentre in California si attende di conoscere la sorte definitiva dei matrimoni gay, una sentenza della Corte Suprema dell’Iowa pochi giorni fa ha ufficialmente cancellato il divieto di celebrare nozze tra persone dello stesso sesso. Lo stato del Midwest, da dove prese il via quindici mesi fa la trionfale corsa nelle primarie democratiche di Barack Obama, è tradizionalmente riconosciuto per l’indipendenza della popolazione e del proprio sistema giudiziario. Nondimeno, la decisione del supremo tribunale statale ha colto di sorpresa quanti ritenevano possibile un’evoluzione favorevole al riconoscimento delle unioni gay solo nelle consolidate roccaforti liberal del New England o della costa occidentale. All’Iowa ha fatto seguito pochi giorni dopo il Vermont, giunto allo stesso risultato tramite un’iniziativa della legislatura locale e diventando così il quarto Stato americano che riconosce il diritto di matrimonio a due persone dello stesso sesso - assieme a Massachusetts e Connecticut - anche se ben presto altri stati potrebbero seguire lo stesso percorso.

di Mariavittoria Orsolato

Si dice spesso che l’erba del vicino è sempre più verde e, nel caso della nostra miserrima nazione, ci sono buoni motivi per pensarla così: scuola, welfare, sistema politico, tutto quello che è europeo ci sembra infinitamente migliore se visto dallo stivale. C’è però un campo delle competenze statali in cui le brillanti distinzioni di leadership europee e internazionali sembrano omologarsi perfettamente, per riunirsi in quella zona grigia e sfocata che è la tutela dell’ordine. Sui giornali di questi giorni, oltre all’immane tragedia abruzzese, si è letto che due agenti della Polfer milanese sono stati accusati per l’omicidio (a botte) di un clochard a cui avevano preso le generalità, e che l’uomo morto per un malore al G20 londinese è stato in realtà assalito e picchiato dalla polizia inglese. Due storie sicuramente diverse, ma che fanno riflettere sull’atteggiamento che le forze dell’ordine tengono nei confronti dei cittadini inermi.

di Mario Braconi

Davanti al palazzo in cui, nel luglio del 2008, si è tenuto un Summit sui cambiamenti climatici organizzato da The Guardian, un gruppo di persone ha manifestato contro E.On, mostrando divertenti cartelli (E.On/F-Off, con un gioco di parole efficace ma purtroppo intraducibile, pressappoco: “E.On, va a farti fottere”, oppure, più bonariamente, “sfida E-On!”). La multinazionale dell’energia, infatti, pur essendo sponsor della manifestazione, aveva in programma (e non sembra abbia cambiato idea) di rimpiazzare la vecchia centrale a carbone di Kingsnorth, a Medway, nel Kent, con una nuova struttura, sempre a carbone. Secondo gli ecologisti (ma anche secondo ogni persona di buon senso, se correttamente informata) questa di Kingsnorth è una pessima idea: la ONG World Developement Movement ha dichiarato che la centrale rilascerà in atmosfera una quantità di CO2 superiore a quella prodotta dal Ghana; della stessa idea è James Hansen, capo del NASA Goddard Institute of Space Studies: “Un solo stabilimento con una vita utile di diverse decine di anni distruggerà gli sforzi di milioni di cittadini per ridurre le loro emissioni”.


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