di Ilvio Pannullo

Il presidente Barak Obama batte i pugni: "Non vogliamo, non possiamo e non lasceremo scomparire l'industria automobilistica americana". E' categorico l’inquilino della Casa Bianca nell'annunciare che il suo governo non accoglie i piani di rilancio presentati dalle grandi compagnie che "non si stanno muovendo nella giusta direzione". È dunque tempo di terremoti a catena nel mondo dell'auto: mentre Rick Wagoner, presidente e amministratore delegato della General Motors, si è dimesso dopo le critiche del presidente Usa, in Francia è stato estromesso Christian Streiff, presidente del comitato di sorveglianza di Peugeot-Citroen. A ciò si aggiunga che, se entro trenta giorni non sarà raggiunto un accordo con la Fiat, il governo americano lascerà che anche la Daimler-Chrysler fallisca. Immediati i contraccolpi dei titoli automobilistici nelle Borse mondiali: Renault -6%, Peugeot -5,6%, Daimler -5,1%, Fiat -9,1%. Ancora peggiore, se possibile, la reazione di Wall Street: in apertura di contrattazioni il titolo GM apriva in calo del 29,83%, per poi limitare le perdite a quota 25,97%.

di Michele Paris

L’ondata di violenza legata alla guerra tra i cartelli della droga e il governo federale che travaglia il Messico da oltre un anno sta coinvolgendo in maniera sempre più pesante anche gli stati americani del confine meridionale. La recente visita a Città del Messico del Segretario di Stato Clinton ha contribuito alla presa d’atto che la situazione attuale non può essere liquidata semplicemente come un problema interno messicano. Soprattutto alla luce del fatto che gli USA rappresentano il mercato principale degli stupefacenti provenienti dal Centro e dal Sud America e che il 90% delle armi da fuoco impiegate in un conflitto che ha causato oltre sette mila morti tra il 2008 e i primi mesi del 2009 proviene proprio dagli Stati Uniti. Il diverso approccio dell’amministrazione Obama rappresenta indubbiamente un passo avanti rispetto al recente passato. Allo stesso tempo tuttavia, ogni miglioramento della questione messicana rischia di essere ostacolata dai contrasti che persistono tra i due paesi nell’ambito delle loro relazioni commerciali.

di Eugenio Roscini Vitali


Anche se il sogno del popolo etiope è quello di vivere in un paese dinamico e moderno, in uno Stato dove la povertà e la fame sono incubi legati al passato e la disperazione è solo un vago ricordo di cui non aver paura, la realtà è un’altra, diversa ed ancora una volta terrificante: lo spettro della carestia che lo scorso anno ha devastato il Corno d’Africa è destinato a non finire, un flagello iniziato all’inizio del 2008 che ha già causato migliaia di vittime e che entro breve tempo, in Eritrea, Etiopia, Gibuti, Kenya e Somalia, arriverà a colpire più di 20 milioni di persone, 5 milioni dei quali bambini, 2 milioni quelli sotto i cinque anni. Secondo il governo di Addis Abeba, in Etiopia la siccità avrebbe già distrutto gran parte dei raccolti e più della metà dei capi di bestiame sarebbe andata persa; 13 milioni gli etiopi a rischio, un sesto della popolazione che a causa della drastica riduzione delle scorte alimentari, dovuta soprattutto alla crescita smisurata dei prezzi dei generi di prima necessità, sarebbe afflitta da gravissimi problemi di malnutrizione.

di Michele Paris

Con l’approvazione di una mozione di sfiducia presentata in Parlamento dall’opposizione socialdemocratica, il primo ministro della Repubblica Ceca e presidente di turno dell’Unione Europea nel semestre in corso – Mirek Topolanek – ha incassato una pesante sconfitta per il proprio governo nel bel mezzo di una gravissima crisi economica che sta colpendo in maniera particolare i paesi dell’ex blocco sovietico. A determinare il crollo dell’esecutivo ceco non sono state tuttavia questioni legate alla situazione dell’economia, bensì, almeno a prima vista, dispute politiche interne. La crisi di governo in realtà colpisce duramente una coalizione ed un partito conservatore – il Partito Democratico Civico (ODS) – che ha suscitato un profondo dissenso nel paese in seguito al perseguimento ossessivo di politiche neo-liberiste e, più recentemente, a causa di una trattativa con gli Stati Uniti – ora messa in stand-by dall’amministrazione Obama – per la creazione di uno scudo missilistico sul proprio territorio.

di Luca Mazzucato


NEW YORK. Le storie agghiaccianti dei giovani soldati di ritorno da Gaza aprono uno spiraglio su una guerra essenzialmente “off limits” per i media occidentali, a cui l'esercito israeliano ha vietato l'ingresso a Gaza. In una recente inchiesta di ha'aretz, i soldati raccontano di rastrellamenti e stragi di civili inermi, vecchi, donne e bambini uccisi a sangue freddo. Amira Hass, corrispondente da Gaza, scrive del ritrovamento di un documento dal titolo incredibile: “Regole d'ingaggio: sparate anche sui soccorsi.” L'uccisione di decine di paramedici palestinesi durante la guerra non sarebbe dunque un incidente. Abbiamo chiesto una spiegazione ad un refusenik israeliano: Itai, un dottorando di fisica all'Università di New York. Itai era un soldato dell'IDF da quattro anni, quando nel 2002 decise di non prendere più parte alle attività dell'esercito di Occupazione, e si rifiutò di servire nei Territori. La sua reazione alle confessioni dei soldati non è di sorpresa: è sempre lo stesso spunto per entrare nella dinamica nazionale dello “sparare piangendo.”


Altrenotizie.org - testata giornalistica registrata presso il Tribunale civile di Roma. Autorizzazione n.476 del 13/12/2006.
Direttore responsabile: Fabrizio Casari - f.casari@altrenotizie.org
Web Master Alessandro Iacuelli
Progetto e realizzazione testata Sergio Carravetta - chef@lagrille.net
Tutti gli articoli sono sotto licenza Creative Commons, pertanto posso essere riportati a condizione di citare l'autore e la fonte.
Privacy Policy | Cookie Policy