Nel terzo giorno della tregua a Gaza, la fragile pace dopo oltre quindici mesi di orrore sembra resistere nonostante le forze di occupazione israeliane abbiano iniziato una nuova operazione repressiva contro la resistenza palestinese in Cisgiordania. In questa prima fase dell’accordo sottoscritto a Doha tra Netanyahu e Hamas, si stanno accendendo le discussioni sui motivi che hanno convinto Tel Aviv a fermare il genocidio e le due amministrazioni americane a fare pressioni in maniera decisiva sul regime sionista per accettare i termini del cessate il fuoco. Le dinamiche degli ultimi mesi in Medio Oriente, a loro volta modellate dagli eventi del 7 ottobre 2023 e dalla successiva reazione israeliana, sono evidentemente un fattore, ma il cambiamento del clima nella regione in apparenza favorevole allo stato ebraico è solo una parte della storia, visto che, di fatto, nessuno degli obiettivi fissati da Netanyahu all’inizio della brutale aggressione nella striscia è stato raggiunto al momento della firma dell’accordo con Hamas.

Nel suo secondo discorso inaugurale a Washington, il neo-presidente americano Trump ha salutato lunedì l’inizio di una nuova “età dell’oro” americana e una rapida inversione del declino degli Stati Uniti. L’annuncio di una serie di decreti presidenziali, che potrebbero già arrivare poco dopo il suo insediamento ufficiale alla Casa Bianca, preparano piuttosto, com’era ampiamente prevedibile, un’era segnata da un’ulteriore accelerazione in senso reazionario della politica USA. L’attitudine dell’amministrazione repubblicana entrante sembra d’altra parte riflettere gli sforzi disperati della classe dirigente della declinante potenza planetaria di far fronte alle sfide crescenti che si stanno moltiplicando sul fronte domestico e internazionale, nel tentativo di superare crisi e contraddizioni attraverso una spinta marcatamente autoritaria.

Amerikatsi di Michael Goorjian racconta una storia di appartenenza, identità e disillusione. Ambientato nel dopoguerra, il film segue Charlie, un armeno nato negli Stati Uniti che decide di tornare nella terra dei suoi antenati rispondendo all’invito di Stalin agli armeni della diaspora. Ma ciò che trova nell’Armenia Sovietica è ben diverso da ciò che aveva immaginato. Invece di comunità e calore, trova un regime soffocante, una realtà fredda e opprimente in cui ogni espressione di individualità è vista come una minaccia.

Accusato di diffondere valori capitalistici per il semplice fatto di indossare una cravatta elegante, Charlie finisce in prigione. Qui, inizia la parte più potente e simbolica del film. Attraverso un buco nella recinzione della sua cella, Charlie riesce a guardare dentro la casa di una delle guardie. Quella finestra rubata diventa il suo unico contatto con la vita armena che aveva tanto desiderato. Attraverso le sbarre, osserva scene di vita quotidiana: banchetti, celebrazioni, nascite, litigi. Charlie vive l'Armenia indirettamente, come uno spettatore di un mondo che gli è stato negato.

La forza del film risiede proprio in questo contrasto tra sogno e realtà. L’Armenia che Charlie immaginava era un luogo di appartenenza e radici; quella che trova è un mondo regolato dalla paura e dalla repressione. Ma il suo sguardo non si spegne: attraverso il buco nella recinzione, vede non solo ciò che ha perso, ma anche ciò che ancora può amare.

Pur presentato come una commedia, Amerikatsi è un film profondamente nostalgico e malinconico. Charlie affronta le sue disavventure con ironia e leggerezza, ma il tono generale del film è tutt'altro che comico. È una riflessione sull'identità frammentata di chi appartiene a due mondi e si trova sempre a metà strada tra passato e presente, sogno e disillusione.

La performance di Michael Goorjian, che oltre a dirigere il film interpreta anche il protagonista, è intensa e autentica. Charlie non è un eroe classico, ma un uomo comune che cerca un posto nel mondo. La sua interpretazione è piena di sfumature, capace di trasmettere sia la speranza che la delusione, la tenacia e la nostalgia.

Tra i personaggi secondari, spicca la guardia che Charlie osserva dalla sua cella. Questa figura rappresenta un legame simbolico tra due mondi opposti: il prigioniero e il carceriere, entrambi vittime, in modi diversi, del sistema sovietico. La guardia diventa inconsapevolmente il veicolo attraverso cui Charlie riscopre la cultura armena, i piccoli gesti quotidiani che rendono viva un'identità.

Dal punto di vista estetico, Amerikatsi ha un forte impatto emotivo, ma pecca di un aspetto importante: manca un senso visivo del luogo. L'Armenia reale è un mosaico di colori e paesaggi mozzafiato, una terra di valli alpine, fiori selvatici e antiche tradizioni. Il film non riesce a catturare appieno questa bellezza visiva, lasciando lo spettatore con la sensazione che la storia potrebbe svolgersi ovunque. Questo è forse il limite maggiore del film, che avrebbe potuto trarre maggiore forza narrativa da un'ambientazione più caratteristica.

Nonostante ciò, Amerikatsi è un film ricco di emozioni, capace di raccontare con delicatezza e profondità il dramma di chi cerca le proprie radici in un mondo che non riconosce più. È un film che parla di memoria, di appartenenza e di libertà, e che offre uno sguardo diverso sulla storia armena, lontano dai temi consueti legati al genocidio. È un’opera che merita di essere vista, soprattutto per la sua capacità di combinare leggerezza e riflessione, umorismo e tragedia. Amerikatsi non è solo un viaggio attraverso la storia di un uomo, ma un’esplorazione di ciò che significa sentirsi parte di una terra, anche quando quella terra non è più la stessa che si ricordava.

 

Amerikatsi (Armenia 2022)

Regia: Michael A. Goorjian
Cast: Michael A. Goorjian, Hovik Keuchkerian, Nelli Uvarova, Mikhail Trukhin, Narine Grigoryan, Aram Karakhanyan, Aram Novosardyan, Karine Janjukazyan, George Hovakimyan, Lernik Harutyunyan
Sceneggiatura: Michael A. Goorjian
Fotografia: Ghasem Ebrahimian
Produzione: People of Ar
Distribuzione: Cineclub Internazionale Distribuzione

La dichiarazione d'indipendenza delle Tredici Colonie dalla Gran Bretagna in Nord America il 4 luglio 1776 ebbe un valore universale: per la prima volta nell'era del capitalismo si ruppe con il colonialismo e si costituirono gli Stati Uniti come primo Paese ispirato agli ideali e ai valori del pensiero illuminista, che trasformò la libertà e la democrazia nei fondamenti inseparabili della sua evoluzione successiva.

Secondo svariate fonti ufficiali delle parti coinvolte nelle trattative in corso, una tregua “totale” sarebbe stata raggiunta tra Hamas e il regime di Netanyahu per fermare il genocidio palestinese in corso da oltre quindici mesi a Gaza. A dare l’impulso decisivo sembra essere stato l’intervento dell’amministrazione americana entrante di Donald Trump, ma, se il cessate il fuoco dovesse alla fine andare realmente in porto, determinanti potrebbero risultare sia le sempre più complicate condizioni sul campo per le forze di occupazione israeliane sia i cambiamenti politici e degli equilibri strategici avvenuti in Medio Oriente nelle ultime settimane. L’accordo deve comunque ancora essere approvato in forma ufficiale dal gabinetto israeliano, all’interno del quale restano forti resistenze, dopo che verranno definiti gli ultimi dettagli del documento in discussione.

La tregua dovrebbe entrare in vigore domenica prossima e prevede tre fasi distinte. La prima, della durata prevista di sei settimane, prevede un limitato scambio di prigionieri, un parziale ritiro delle truppe israeliane dai centri abitati di Gaza e un afflusso massiccio di aiuti umanitari nella striscia, con un massimo di 600 camion al giorno. Israele consentirà ai civili di tornare nelle loro case nel nord di Gaza, dove la crisi umanitaria ha raggiunto livelli critici, e aprirà il valico di Rafah con l’Egitto dopo una settimana dall’inizio della tregua.


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