Una interessante intervista, densa di cultura, è stata rilasciata da Putin al giornalista statunitense Tucker Carlson. L’intervista non ha trovato spazio adeguato sui media, evidentemente votati a proseguire la loro offensiva propagandistica in favore della guerra. Ne è emerso un Putin che dimostra di conoscere molto bene la storia del suo vasto Paese.

Il probabile vincitore delle elezioni presidenziali in Indonesia di questa settimana è un ex generale delle forze speciali durante la dittatura di Suharto, profondamente implicato in assassinii, rapimenti e svariati altri sanguinosi episodi di violenza. Prabowo Subianto avrebbe ricevuto poco meno del 60% dei consensi già al primo turno, anche se i dati sono per ora basati su proiezioni provvisorie, in attesa di quelli ufficiali che verranno annunciati solo dopo la metà di marzo. L’Indonesia è il quarto paese più popoloso al mondo e una delle principali potenze dell’Asia orientale. Per queste e altre ragioni è oggetto di un’accesa competizione internazionale e il cambio della guardia ai suoi vertici politici e istituzionali potrebbe avere conseguenze importanti negli equilibri strategici di tutto il continente asiatico.

Meno di due settimane fa, il governo autonomo dell’Irlanda del Nord, istituito dall’Accordo del Venerdì Santo del 1998, è stato ufficialmente ripristinato con l’assegnazione per la prima volta in assoluto della carica di primo ministro a un esponente del Sinn Féin. Abbiamo chiesto alla dottoressa Agnès Maillot, direttrice del dipartimento di studi interculturali e lingue applicate dell’Università di Dublino, specializzata nelle questioni politiche e sociali nordirlandesi, un commento sulle circostanze di questo evento storico e sulle implicazioni per il futuro dell’isola d’Irlanda.

I risultati delle elezioni legislative di settimana scorsa in Pakistan vanno letti come un chiarissimo rifiuto delle manovre dei militari per rimuovere dal panorama politico del paese l’ex premier, Imran Khan, e riportare al potere un altro ex capo di governo, il riabilitato Nawaz Sharif. Anche se il partito di Imran (PTI) ed egli stesso erano stati vittime di una pesante campagna repressiva, i candidati a esso riconducibili, presentatisi ufficialmente come “indipendenti”, hanno ottenuto il maggior numero di seggi all’Assemblea Nazionale. Le trattative sono ora in corso per cercare di escludere il PTI dal prossimo governo, ma il periodo di instabilità che si prospetta per il Pakistan lascia aperte le porte a svariate soluzioni che potrebbero essere esplorate nelle prossime settimane.

Le tre condanne affibbiate nell’arco di pochi giorni a Imran Khan alla vigilia del voto, il divieto imposto al PTI di presentarsi con il proprio simbolo alle elezioni e il black-out mediatico, che ha limitato drasticamente le informazioni sul partito dell’ex primo ministro, avevano fatto ipotizzare un possibile crollo dell’affluenza e un successo piuttosto semplice del partito di Nawaz (PML-N). A presentarsi ai seggi è stato invece il 48% degli elettori, cioè una quota solo di poco inferiore rispetto al 2018 (51%).

Aerei israeliani vomitano bombe su Rafah, il luogo dove avevano invitato i civili palestinesi ad andare per mettersi al riparo dai bombardamenti su Gaza. Sono un milione e mezzo i rifugiati palestinesi che si sono concentrati in una città capace di ospitarne centomila. Da ieri sono già più di 200 i morti e innumerevoli gli edifici distrutti. Il bersaglio preferito, come sempre, è quello dei rifugiati. Del resto hanno già dimostrato a Gaza quale sia la dottrina militare delle forze armate israeliane: sparare nel mucchio è più semplice e meno rischioso che affrontare a terra Hamas

Quello di indicare un luogo sicuro ai civili per poi, una volta ammassati, li si possa colpire indiscriminatamente è un ulteriore passo di Tel Aviv nella barbarie assoluta. Non sovvengono precedenti storici di tale infamia. L’uccisione in massa di donne e bambini non è un danno collaterale, è una strategia politica. Non ci sono errori di mira, c’è l’annientamento programmato e voluto. L’obiettivo è impedire la riproduzione del popolo palestinese, sterminare oggi gli adulti di domani. Si vuole lo sterminio etnico, non il riconoscimento reciproco.


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