La guerra illegale di Israele e Stati Uniti contro l’Iran non ha risolto nessuno dei “problemi” alla base dell’aggressione, ma ha se possibile aggravato le preoccupazioni dei due alleati relativamente ai rapporti di forza in Medio Oriente. La resistenza e la controffensiva della Repubblica Islamica hanno infatti rovesciato la narrativa sionista e occidentale degli ultimi venti mesi, che voleva Israele padrone praticamente assoluto dei destini della regione, soprattutto dopo il crollo del governo di Assad in Siria e l’indebolimento di Hezbollah in Libano. Inebriato da questi “successi”, il premier/criminale di guerra Netanyahu riteneva di applicare la stessa formula all’Iran, ma, una volta retta l’onda d’urto iniziale e nonostante le gravi perdite subite, Teheran ha di fatto messo alle corde lo stato ebraico, costringendolo precocemente a implorare l’intervento dell’alleato americano.

La Corte Suprema degli Stati Uniti ha confezionato questa settimana un altro regalo per l’amministrazione Trump nell’implementazione del programma ultra-reazionario diretto contro gli immigrati. I sei giudici di estrema destra che ne compongono la maggioranza hanno infatti annullato l’ingiunzione di un tribunale federale che aveva congelato le espulsioni forzate di migranti condannati per qualche reato verso paesi “terzi”, cioè con cui non hanno nessun legame, anche se in stato di guerra o in condizioni di estrema precarietà economica e sociale.

Dopo meno di 48 ore dal bombardamento illegale americano di tre siti nucleari iraniani, la Repubblica Islamica ha lanciato un attacco contro la più importante base militare USA in Medio Orienta, quella di Al Udeid in Qatar. La struttura era già stata evacuata e Teheran aveva avvisato in anticipo dell’operazione sia Doha sia Washington. La situazione resta estremamente fluida e ancora non si è dissolta la “nebbia della guerra” sui contorni dell’operazione ordinata da Donald Trump nelle prime ore di domenica. Quel che appare certo è che il successo “spettacolare” annunciato da quest’ultimo, sia in termini materiali sia dal punto di vista geo-strategico, resta una fantasia, mentre sarà sempre più complicato per la Casa Bianca sganciarsi dall’abbraccio mortale di Netanyahu. La palla passa ora nel campo americano, con l’amministrazione repubblicana e il regime sionista che dovranno valutare molto attentamente quali obiettivi intendono realmente raggiungere, calcolare fino a che punto saranno disposti a destabilizzare il Medio Oriente e rischiare un allargamento del conflitto, ma soprattutto quale prezzo pagare per le proprie scelte.

È arrivato il momento di sospendere Israele dalle Nazioni Unite. Qualcuno può pensare che sia science fiction, ma la richiesta all’Assemblea generale dell’Onu è arrivata l’anno scorso dal relatore speciale per il diritto al cibo, Michael Fawkri, con l’autorevole denuncia dell’“attacco di Israele al sistema Nazioni Unite”. La revoca delle credenziali di Israele è invocata anche da Francesca Albanese, relatrice speciale sui diritti dei palestinesi nei Territori Occupati.  Dopo decenni di illegale occupazione della Palestina, la sfrenata impunità di Israele è culminata nel “dissolvimento dell’ordine internazionale a Gaza” e nel “deliberato progetto di estinzione dei palestinesi”, si legge in un comunicato da lei promosso e firmato da 19 relatori speciali.

Diversamente da quanto annunciato circa i tempi della sua decisione, Trump ha fatto sferrare un attacco aereo ai siti iraniani di Fordow e di Natantz, dove erano situati i laboratori per l’arricchimento dell’uranio, regolarmente ispezionati dalla Aiea e considerati dalla stessa intelligence USA “non in grado di porre una minaccia a medio termine”. I bombardieri B2, decollati dalla base di Diego Garcia e provenienti dalla loro base in Missouri, hanno sganciato 12 bombe GBU-57, capaci di penetrare il sottosuolo fino a 100 metri. Azione inutile ai fini militari, giacché da diversi giorni Fordow, Natantz e altri siti erano stati evacuati, e non a caso l’AIEA ha registrato assenza di radiazioni a seguito del bombardamento USA.


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