La svolta drastica impressa dalla nuova amministrazione americana alla crisi ucraina continua a generare gravi tensioni nei rapporti transatlantici, con la Casa Bianca sempre più decisa a ridisegnare gli equilibri geo-politici degli ultimi decenni e l’Europa, stordita e priva di una reale leadership, alle prese con la nuova realtà con cui dovrà prima o poi fare i conti. Dopo il clamoroso scontro in diretta TV allo Studio Ovale tra Trump e Zelensky della scorsa settimana, il presidente repubblicano ha annunciato la sospensione immediata di tutti gli aiuti economici e militari diretti all’Ucraina. Decisione che ha con ogni probabilità accelerato l’annuncio di martedì della Commissione Europea sul lancio di un programma di prestiti per favorire il processo di riarmo dei paesi membri, ufficialmente per far fronte a una inesistente minaccia russa.

Ha destato grande stupore e grandi preoccupazione nell’establishment europeo e nei giornali di regime lo scontro tra Trump e Vance da un lato e Zelensky dall’altro. Al netto della veemenza, che quando c’è viene ricondotta nella formula “colloquio franco e cordiale”, è difficile negare che Trump abbia messo il dito nella piaga. Quattro i concetti fondamentali sferrati in faccia come uno sganassone: 1) l’Ucraina cerca di portare il mondo ad un conflitto globale; 2) Zelensky non dispone di nessun elemento decisivo al fine di indirizzare una trattativa in una o altra direzione; 3) sei vivo grazie a noi; 4) non sei espressione di una democrazia.

Difficile annotare passaggi di maggior disprezzo verso il guitto da parte di Trump che, con la consueta assenza di misura e understatement ha voluto ribaltare la narrazione imposta da Biden, al cui figlio Zelensky ha consentito lucrosi affari ed ha fornito protezione dall’inchiesta che lo FBI svolse a suo carico. I rapporti tra USA e Ucraina non volgono al bello e la fine della favola dell’eroe popolare della democrazia dev’essere considerata ormai come dato acquisito.

L’Unione Europea ha avuto sin dall’inizio dell’operazione destabilizzatrice in Ucraina un ruolo tutt’altro che marginale. Dalla fabbricazione mediatica della “pasionaria” Timoshenko al sostegno di Poroshenko, fino alla vittoria di Zelinsky, Bruxelles è stata un attore importante della vicenda politica ucraina. La frattura con la Russia ha inizio infatti quando la UE stimola Kiev ad un atteggiamento di aperto contrasto con Mosca, per poi proporre scambi commerciali ed integrazione economica alternativi a quelli con la Russia fino a proporgli l’ingresso nell’Unione Europea.

Il voto tedesco è arrivato ed ha portato il sommovimento che si prevedeva. Gli exit-poll assegnano una crescita impetuosa ai nazisti di AfD che è solo in parte compensata dalla crescita della sinistra di Die Linke e dall’affermazione del BSW, a pochi voti dal superare la soglia di sbarramento. Il dato politico altrettanto rilevante riguarda però il crollo della SPD, il partito di governo colpevole del coinvolgimento della Germania nella guerra alla Russia che ha determinato una violenta crisi industriale.

L’affermazione della CDU indica uno spostamento al centro dell’elettorato ma è presto per capire se vi saranno le condizioni per una coalizione di governo, ovvero se la maggioranza numerica possa diventare maggioranza politica. In generale, ma a maggior ragione quando un Paese si trova nell’epicentro di una crisi, la somma matematica non offre sempre un risultato politico. E che la situazione in Germania (come in tutta Europa) sia in preda a sommovimenti non vi sono dubbi; è chiaro che il ciclone Trump sta portando a riflessioni e considerazioni inedite, tutte da decifrare. Al momento, comunque, sembra possibile solo un’alleanza della CDU con la SPD e con i Verdi, anch’essi ridotti di 3 punti rispetto al passato, proprio perché entusiasti adoratori del guitto Zelensky.

È trascorso solo un mese dal ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca ma la direzione intrapresa dalla sua seconda presidenza verso un consolidamento dei poteri dell’esecutivo in senso autoritario appare già chiaramente visibile. Tra le altre iniziative riconducibili a questa involuzione, una delle più controverse è quella che stabilisce l’autorità sostanzialmente assoluta del presidente su una serie di agenzie federali considerate indipendenti e che operano in svariati ambiti, producendo direttive e regolamentazioni, assicurandone l’implementazione e imponendo sanzioni per il mancato rispetto di esse. Trump si è auto-assegnato questo potere attraverso un decreto presidenziale firmato nei giorni scorsi. La decisione ha già innescato cause legali che finiranno probabilmente davanti alla Corte Suprema, dove il principio alla base dell’indipendenza di questi organi potrebbe essere cancellato in via definitiva.


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