La pubblicazione da parte della rete russa RT di una conversazione riservata sulla guerra in Ucraina tra alcuni ufficiali delle forze armate tedesche continua a pesare sul dibattito politico in Germania, aggravando la già precaria posizione del cancelliere Olaf Scholz. La risposta del governo sembra consistere nella solita tattica di attribuire la responsabilità dell’accaduto al Cremlino. Per Berlino, il problema sarebbe la fuga di notizie in sé e non l’imbarazzante contenuto del file audio diventato di pubblico dominio. Il colloquio intercettato da Mosca è tuttavia altamente significativo per svariate ragioni, a cominciare dalla conferma del grado di disperazione raggiunto dall’Occidente davanti al tracollo dell’intero progetto ucraino.

“E’ un maledetto pazzo figlio di puttana”. Così, sobriamente, con lo stile che lo caratterizza, il Presidente Biden ha definito il Presidente Russo, Vladimir Putin, innovando così i concetti già precedentemente espressi di un “criminale di guerra” e “macellaio” . Sarà però proprio con Putin che il rimbambito presidente USA dovrà trattare se vorrà uscire fuori dal pantano ucraino. Ma davvero il presidente eterodiretto vorrà farlo? Dipende, perché del destino degli ucraini gli interessa poco, ma di quello della sua possibile permanenza alla Casa Bianca, invece, molto.

I motivi di interesse delle elezioni primarie americane di questa settimana nello stato del Michigan vanno ricercati tra le righe di risultati in larga misura scontati sia per il Partito Repubblicano sia per quello Democratico. Per il presidente Biden, in particolare, il sostegno relativamente ampio ottenuto da una blanda operazione di disturbo della sua campagna elettorale, da collegare al ruolo degli Stati Uniti nel genocidio palestinese in corso a Gaza, rappresenta un ulteriore segnale di pericolo in vista delle presidenziali di novembre. Il Michigan, come sempre, sarà uno degli stati decisivi nella corsa alla Casa Bianca e l’equilibrio che si prospetta tra i due probabili candidati potrebbe rendere fondamentale l’appoggio o meno della consistente minoranza di arabi e musulmani americani che ospita.

Una classe politica anche solo minimamente razionale, davanti alla tragedia consumata in Ucraina in questi due anni e alle conseguenze economiche disastrose provocate dalle (auto-)sanzioni nominalmente dirette contro la Russia, trarrebbe le logiche conclusioni di scelte sciagurate per cercare di trovare una soluzione diplomatica alla guerra in corso nel paese dell’ex Unione Sovietica. I governi europei, al contrario, continuano a rilanciare le fallimentari politiche ultra-aggressive che hanno provocato il disastro, col rischio di scatenare uno scontro diretto con Mosca. Questa pericolosa farsa ha avuto l’ennesima replica nel vertice UE organizzato lunedì a Parigi, al termine del quale il padrone di casa, il presidente francese Macron, ha addirittura prospettato nel prossimo futuro il possibile dispiegamento di forze di terra occidentali in Ucraina.

Le due tesi fondamentali su cui si è basata e in larga misura continua a basarsi la campagna di propaganda occidentale contro la Russia sono la natura “non provocata” dell’intervento militare lanciato quasi esattamente due anni fa e il semplice appoggio esterno dei paesi NATO al regime di Zelensky, ufficialmente contrari a una partecipazione diretta alle operazioni belliche contro Mosca. Un lungo articolo del New York Times, pubblicato nel fine settimana, ha smentito però entrambe le versioni, confermando sia la strettissima collaborazione tra gli Stati Uniti e, in particolare, la CIA e le forze ucraine sia la valanga di provocazioni orchestrate da Washington e Kiev almeno a partire dal colpo di stato neo-nazista del febbraio 2014.


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