La ripresa dei bombardamenti indiscriminati su Gaza nelle prime ore di martedì da parte di Israele è la logica conseguenza degli sforzi delle ultime settimane per affondare la tregua con Hamas firmata lo scorso mese di gennaio. Le bombe contro obiettivi civili, che hanno massacrato centinaia di donne e bambini, si sono accompagnate alla solita ondata di propaganda israeliana e americana. La nuova aggressione sionista avviene in un contesto segnato dall’emergere di pericolosissime tensioni tra gli Stati Uniti da una parte e l’Iran e il movimento Ansarallah che controlla parte dello Yemen dall’altra, rendendo ancora più esplosiva la situazione in Medio Oriente.

Gli attacchi aerei sullo Yemen di quella che è diventata a tutti gli effetti la prima vera guerra americana del secondo mandato alla presidenza di Donald Trump sono proseguiti nelle prime ore della giornata di lunedì, nonostante l’autentica strage di civili registrata nel fine settimana. L’operazione riprende la fallimentare campagna avviata dalla precedente amministrazione democratica ed è collegata sia alle manovre di Israele per sabotare la tregua in vigore e strangolare la popolazione palestinese a Gaza sia all’escalation del confronto tra Iran e Stati Uniti.

Lunedì è stato il governatorato di Hodeidah a essere colpito con almeno due incursioni USA. Tra sabato e la mattina di domenica era toccato invece alla capitale Sana’a e ad altre località della parte del paese controllata dal movimento Ansarallah (“Houthis”), di fatto la componente più attiva dell’asse della Resistenza, assieme a Hezbollah, nel combattere il genocidio palestinese dopo i fatti del 7 ottobre 2023. I bombardamenti del fine settimana, secondo fonti yemenite, hanno fatto almeno 53 vittime e oltre 100 feriti, incluse donne e bambini, come hanno confermato le drammatiche immagini girate negli ospedali e nelle strade della capitale del paese della penisola arabica.

A sentire le trombe della propaganda europea, pare che la guerra in Ucraina sia appesa solo alla disponibilità di Putin di aderire o no alla richiesta di cessate il fuoco proposta da Trump e Zelensky, il primo per togliersi di mezzo il secondo e le sue questue, il secondo per ordine del primo senza cui il suo regime durerebbe forse 15 giorni.

Trump naturalmente vuole arrivare ad un punto dove la precedente amministrazione si è ben guardata dall’avventurarsi e gli interessa anche solo far finta di confermare quanto detto prima della sua elezione circa la sua capacità di fermare la guerra rapidamente. Putin, com’è ovvio prima che giusto, nel premettere che la Russia non è contraria a far tacere le armi, ha sostanzialmente chiesto di precisare meglio in cosa consisterebbe ed a cosa servirebbe questa tregua, trattandosi di una paginetta di buone intenzioni priva di qualunque proposta operativa.

Per la tregua sarebbe bene specificare di che durata e chi e cosa coinvolge: belligeranti o anche alleati? Operazioni militari o anche riorganizzazione dei reparti? Invio di armi? E, in aggiunta: chi dovrebbe vegliare sul mantenimento effettivo della tregua? I duemila chilometri di frontiera comune da chi sarebbero sorvegliati? Con quale mandato? E quali entità statuali, quali figure istituzionali siglerebbero la tregua?

L’amministrazione Trump ha dato il via a una nuova escalation nella guerra commerciale globale, implementando dazi del 25% sulle importazioni di acciaio e alluminio che graveranno non solo sui tradizionali rivali economici, ma anche su storici alleati come l’Unione Europea, il Giappone, la Corea del Sud e l’Australia. La posta in gioco è enorme: nel 2023, gli scambi commerciali soltanto tra USA e UE hanno raggiunto un valore complessivo di 1.600 miliardi di euro, con un surplus commerciale europeo pari a 155,8 miliardi di euro per le merci, bilanciato solo parzialmente da un deficit di 104 miliardi nel settore dei servizi. Questo confronto, tutt’altro che circoscritto, rischia di destabilizzare ulteriormente l’economia e gli equilibri geopolitici globali.

I colloqui di martedì in Arabia Saudita tra Stati Uniti e Ucraina sono solo una delle primissime mosse di quello che si annuncia come un complicatissimo processo diplomatico per cercare di mettere fine alla guerra in corso con la Russia. Molti commentatori indipendenti hanno legittimamente espresso delusione per l’esito del summit con la proposta, da sottoporre a Mosca, di un cessate il fuoco generale di un mese. È molto probabile infatti che il Cremlino respinga l’offerta, visto che ha chiarito in più occasioni il proprio interesse non in un congelamento delle ostilità ma in un accordo di ampio respiro che elimini alla radice le ragioni della crisi. Un’evoluzione di questo genere non prospetterebbe nulla di buono sul fronte ucraino, ma è consigliabile quanto meno attendere la risposta ufficiale del governo russo alla proposta ucraino-americana e, ancora di più, i colloqui che seguiranno a breve tra esponenti del governo di Washington e quello di Mosca, inclusi molto probabilmente i presidenti Trump e Putin.


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